Sentenza nº 180 da Constitutional Court (Italy), 27 Luglio 2018

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione27 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 180

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis della legge 13 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), promossi dal Tribunale ordinario di Reggio Emilia, con ordinanze del 23 maggio e del 13 giugno 2017, iscritte rispettivamente ai nn. 75 e 76 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione di P. R., di P. V., di G. B. e di M. V., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’Unione delle Camere Penali Italiane;

udito nella udienza pubblica del 4 luglio 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi gli avvocati Gaetano Pecorella per P. V., per M. V. e per l’Unione delle Camere Penali Italiane, Luca Andrea Brezigar per P. R., Beniamino Migliucci per G. B. e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale ordinario di Reggio Emilia, con ordinanza del 23 maggio 2017 (r.o. n. 75 del 2018), ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 13, 24, 27, 70, 97, 102 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis della legge 13 giugno 1990, n. 146 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge), nella parte in cui consente che il codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati (valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con delibera n. 07/749 del 13 dicembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del 2008) stabilisca (art. 4, comma 1, lettera b) che nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, analogamente a quanto previsto dall’art. 420-ter, comma 5, del codice di procedura penale, si proceda malgrado l’astensione del difensore solo ove l’imputato lo consenta.

    Il rimettente – premesso che innanzi a sé si sta celebrando un processo con centocinquanta imputati per il reato di associazione per delinquere «di stampo ’ndranghetistico» e di molteplici reati fine – riferisce che all’udienza del 23 maggio tutti i difensori, con il consenso degli imputati in stato di custodia cautelare in carcere, hanno aderito all’astensione proclamata dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura (OUA).

    Il tribunale ordinario dà atto di aver – in una precedente analoga occasione – investito la Commissione di garanzia per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (da ora: la Commissione) perché si pronunciasse su una serie di temi; in particolare, se il rinvio dell’udienza – sulla base della previsione del codice di autoregolamentazione che consente agli avvocati di dare corso alla dichiarazione di astensione in un processo con rilevante numero di imputati detenuti (oltre venti), in qualche caso sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis della legge 26 aprile 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), là dove gli imputati prestino il consenso all’iniziativa dei propri difensori – presenti profili da sottoporre in via preliminare all’autonoma valutazione della Commissione affinché la stessa possa rivalutare il consenso dato al codice di autoregolamentazione, sulla base degli strumenti e delle forme che alla stessa Commissione sono conferiti dalla legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

    Il rimettente – dopo aver esaminato la normativa risultante dalla disposizione censurata (art. 2-bis della legge n. 146 del 1990) e dall’art. 4, primo comma, lettera b), del codice di autoregolamentazione – dà poi conto ampiamente della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 marzo 2014 ‒ 29 settembre 2014, n. 40187, che, per un verso, ha ribadito la valenza cogente erga omnes delle norme del codice di autoregolamentazione aventi forza e valore di normativa secondaria e regolamentare; per altro verso, ha escluso la configurabilità nell’attuale assetto normativo di un potere giudiziale di bilanciamento tra il diritto all’astensione e gli altri diritti e valori di rilievo costituzionale, essendo tale bilanciamento già stato operato dal legislatore.

    Il Tribunale rimettente, dopo aver precisato che la legge, integrata dal codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione, consente ai difensori nei processi penali di astenersi anche in processi con detenuti in custodia cautelare, a meno che gli imputati non chiedano espressamente che si proceda nonostante i difensori abbiano aderito all’astensione collettiva dalle udienze, afferma che la questione di legittimità costituzionale «è rilevante in relazione alla decisione che il tribunale deve adottare di disporre il rinvio dell’odierna udienza nella quale tutti i difensori hanno ritualmente dichiarato di aderire all’astensione collettiva proclamata dall’associazione delle Camere penali». Pertanto, in presenza di un’astensione collettiva conforme al codice di autoregolamentazione, «il tribunale secondo il diritto vivente non ha alcuna possibilità di valutare autonomamente la legittimità dell’astensione e di bilanciare il diritto all’astensione con altri beni e valori costituzionalmente rilevanti ma deve disporre il rinvio, nonostante sia evidente il pregiudizio per altri fondamentali diritti della persona e del cittadino imputato, producendo conseguentemente gli effetti che si connettono al rinvio determinato dall’astensione dei difensori».

    Il rimettente reputa illegittima la disciplina che è chiamato ad applicare in quanto i valori costituzionali – quali la libertà personale, il diritto di difesa dell’imputato in vinculis, il giusto processo, la garanzia che il processo con imputati detenuti si svolga in tempi compatibili con la presunzione di non colpevolezza e quindi il giusto contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processuali e tempi della custodia – risultano considerati come subvalenti rispetto al diritto di astensione.

    Secondo il Collegio rimettente vi sarebbe violazione dell’art. 13, primo e quinto comma, Cost. in relazione all’art. 27 Cost., nella parte in cui stabilisce l’inviolabilità della libertà personale e la rigorosa definizione per via legislativa dei casi in cui l’imputato deve essere sottoposto a misura di custodia cautelare in carcere durante lo svolgimento del processo. L’imputato non può subire il protrarsi della restrizione della libertà personale per motivi diversi da quelli considerati espressamente dalla legge, con riferimento a quegli essenziali interessi pubblici che giustificano, per l’imputato, presunto non colpevole, il ricorso alla custodia cautelare in carcere. La presunzione di non colpevolezza che accompagna l’imputato fino al momento della sentenza definitiva comporta che non solo i casi di restrizione della libertà per esigenze processuali e di sicurezza nella fase processuale siano tassativamente definiti dalla legge, ma anche che la stessa durata della custodia sia fissata dal legislatore nell’esclusiva considerazione delle esigenze che giustificano un ragionevole contemperamento del diritto di libertà fino a sentenza irrevocabile. La tassatività dei casi di restrizione della libertà personale si estende anche alla durata della stessa, nel senso che le sole ragioni che possono giustificare per i tempi stabiliti dal legislatore la privazione della libertà devono essere espressamente considerate da quest’ultimo.

    Sotto altro profilo, la disciplina dell’astensione dalle udienze degli avvocati in processi con imputati detenuti confliggerebbe con il quinto comma dell’art. 13 Cost., in relazione al principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), nonché al principio di subordinazione del giudice alla legge (art. 101 Cost.). Solo il legislatore potrebbe stabilire il tempo massimo assegnato all’autorità giudiziaria per concludere il processo a carico di imputati detenuti. Il legislatore ha previsto un termine massimo per la pronuncia di una sentenza irrevocabile con imputato detenuto, contemperando le esigenze cautelari e l’esigenza pubblica di perseguire i reati con il diritto alla libertà personale.

    Nei processi con imputati detenuti la custodia cautelare non può oltrepassare, in relazione a tutti i gradi di giudizio, i termini di durata complessiva fissati nell’ultimo comma dell’art. 303 cod. proc. pen. Ciò significa che il rinvio delle udienze nel primo grado di giudizio, a seguito dell’astensione dei difensori nei processi con imputati detenuti, non sarebbe affatto neutro, quanto agli effetti sulla possibilità di definire il giudizio nei diversi gradi entro i termini massimi complessivi, ma finisce con l’erodere il tempo che il legislatore ha ritenuto e assegnato come ragionevole per definire tempestivamente il processo prima della scadenza dell’invalicabile termine cumulativo dei termini massimi di fase.

    L’ordinanza di rimessione mette anche in evidenza la torsione che la norma sull’astensione dalle udienze con imputati detenuti produce sul diritto di difesa. Far dipendere dall’imputato detenuto la scelta di consentire al proprio difensore se astenersi, o meno, metterebbe sullo stesso piano soggetti che sono su un...

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