Sentenza nº 174 da Constitutional Court (Italy), 23 Luglio 2018

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione23 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 174

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Lecce e Brindisi, nel procedimento su reclamo di M. D.D., con ordinanza del 22 maggio 2017, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 22 maggio 2017, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2017, il Magistrato di sorveglianza di Lecce e Brindisi ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 21-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui tale disposizione, facendo rinvio all’art. 21 della medesima legge n. 354 del 1975, esclude dal beneficio dell’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci il detenuto condannato «per reato ostativo» che non abbia ancora espiato almeno un terzo della pena.

    1.1.– Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dal giudice chiamato a decidere il reclamo presentato, ex art. 35-bis della legge n. 354 del 1975, da M. D.D., condannata alla pena di quattro anni e dieci mesi di reclusione per i delitti di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), con fine pena al 30 maggio 2021.

    Il giudice a quo ricorda che la condannata, in quanto madre di tre figli (due gemelli di cinque anni e un figlio di tre anni), ha chiesto all’amministrazione penitenziaria di essere ammessa all’assistenza all’esterno dei figli minori ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 354 del 1975, ma che tale istanza è stata rigettata, in quanto M. D.D. non ha ancora espiato un terzo della pena. Tale requisito è previsto dall’art. 21, comma 1, cui rinvia la disposizione da ultimo citata, per i detenuti condannati per uno dei reati elencati all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, della legge n. 354 del 1975. Il difensore di M. D.D., nell’insistere per l’accoglimento del reclamo, ha dedotto l’illegittimità costituzionale del ricordato art. 21-bis.

    Il giudice rimettente osserva che le questioni di legittimità costituzionale eccepite dalla parte sarebbero rilevanti, atteso che, con il reclamo presentato ex art. 35-bis, è stato lamentato – ai sensi dell’art. 68, comma 2, lettera b) [recte: art. 69, comma 6, lettera b)], della legge n. 354 del 1975 – l’attuale e grave pregiudizio determinato dall’adozione di un atto di rigetto dell’ammissione al beneficio da parte dell’amministrazione penitenziaria, la quale ha assunto la propria decisione sulla base dell’art. 21-bis della legge n. 354 del 1975.

    Evidenzia, inoltre, il giudice a quo che, sebbene a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 76 del 2017 la detenuta possa avanzare istanza per l’accesso alla detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies della legge n. 354 del 1975, ella «in concreto» non risulterebbe «ancora nelle condizioni di merito per accedere alla misura alternativa, attesa l’esiguità della pena espiata e la valutazione di prematurità per l’avvio di una progettualità in esternato, espressa anche dall’Equipe di Osservazione».

    Ad avviso del rimettente, la misura alternativa alla detenzione prevista dal citato art. 47-quinquies costituirebbe uno strumento trattamentale non sovrapponibile, bensì complementare e progressivo, rispetto a quello dell’assistenza all’esterno dei figli minori, che conserva carattere inframurario.

    Ne consegue – secondo il rimettente – che la detenuta ha interesse alla fruizione del beneficio penitenziario previsto dall’art. 21-bis della legge n. 354 del 1975 pur successivamente alla decisione della Corte costituzionale n. 76 del 2017.

    1.2.– Nel merito, il rimettente ricorda che la disposizione censurata fu introdotta dalla legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori), ossia da una legge preordinata a tutelare il diritto del minore a mantenere, nella prima infanzia, un sano e corretto rapporto con la madre detenuta in un contesto diverso da quello carcerario, del tutto inadatto a tale scopo.

    La disposizione censurata, contenendo quel che il rimettente definisce un «automatismo di preclusione assoluta» all’accesso al beneficio, si porrebbe, invece, in contrasto con gli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost. e, in particolare, con il diritto del minore a mantenere un rapporto con la madre all’esterno del carcere (diritto, peraltro, già riconosciuto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007). In particolare, l’art. 21-bis della legge n. 354 del 1975 sarebbe in contrasto con il principio secondo cui il «superiore e preminente» interesse del minore può essere «limitato», in occasione di decisioni assunte «da autorità pubbliche o istituzioni private», solo a seguito di un bilanciamento con interessi contrapposti (come quelli di difesa sociale sottesi all’esecuzione della pena).

    Affermando di non ignorare che tale bilanciamento è rimesso a scelte discrezionali di politica legislativa, il giudice a quo lamenta, tuttavia, che la disposizione censurata si limiterebbe «a fissare una preclusione rigida» e che essa impedirebbe la concessione del...

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