Sentenza nº 173 da Constitutional Court (Italy), 23 Luglio 2018

RelatoreGiulio Prosperetti
Data di Resoluzione23 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 173

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso dalla Corte d’appello di Trieste, nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e L. T., con ordinanza del 13 luglio 2017, iscritta al n. 184 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 3 luglio 2018 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

uditi l’avvocato Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 13 luglio 2017, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 35, primo comma, e 38, primo e secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, della legge 2 agosto 1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) e dell’art. 1, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), nella parte in cui non prevedono che, nel caso di esercizio da parte del lavoratore di attività autonoma, successivamente al momento in cui egli abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile calcolata con i contributi minimi già versati, escludendo quindi dal computo, ad ogni effetto, i periodi successivi e la relativa contribuzione meno favorevole e perfino “dannosa”.

    1.1.– In particolare, l’art. 5, comma 1, legge n. 233 del 1990 prevede: «La misura dei trattamenti pensionistici da liquidare, con effetto dal 1° luglio 1990, in favore degli iscritti alle gestioni di cui all’articolo 1 è pari, per ogni anno di iscrizione e contribuzione alle rispettive gestioni, al 2 per cento del reddito annuo d’impresa determinato, per ciascun soggetto assicurato, ai sensi dell’articolo 1, quale risulta dalla media dei redditi relativi agli ultimi dieci anni coperti da contribuzione o al minor numero di essi, anteriori alla decorrenza della pensione».

    1.2.– A sua volta, l’art. 1, comma 18, legge n. 335 del 1995 stabilisce: «Per i lavoratori autonomi iscritti all’INPS che al 31 dicembre 1992 abbiano avuto un’anzianità contributiva pari o superiore ai 15 anni, gli incrementi di cui al comma 17 ai fini della determinazione della base pensionabile trovano applicazione nella stessa misura e con la medesima decorrenza e modalità di computo ivi previste, entro il limite delle ultime 780 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione».

  2. – Espone il rimettente che, con ricorso depositato il 4 settembre 2013, L. T. si era rivolto al Tribunale di Pordenone per chiedere la rideterminazione da parte dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) del proprio trattamento pensionistico, con esclusione dal computo della contribuzione versata dopo il 31 dicembre 2007. Ciò in applicazione del principio più volte affermato dalla Corte costituzionale secondo il quale «dopo il perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione (obbligatoria, volontaria o figurativa), mentre vale ad incrementare il livello di pensione già consolidato, non deve comunque compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata sino a quel momento: effetto, quest’ultimo, che sarebbe, infatti, palesemente contrastante con gli artt. 3 e 38 della Costituzione».

    Il ricorrente aveva rappresentato di essere titolare di pensione di vecchiaia avente decorso dal 1° luglio 2010 (avendo utilizzato la “finestra” del l° luglio dell’anno successivo al compimento del cinquantanovesimo anno di età), ottenuta con il cumulo della contribuzione versata, prima come lavoratore dipendente (numero 112 settimane) e, poi, come lavoratore autonomo-commerciante (numero 1842 settimane dal 1° ottobre 1975 al 30 giugno 2010), il tutto per una retribuzione pensionabile di euro 1.275,89 mensili. Tuttavia, deduceva che già alla data del 31 dicembre 2007, in forza della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale), aveva maturato il requisito contributivo minimo (numero 1824 settimane) e che, in base ai calcoli effettuati dal patronato associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI), non contestati dall’Istituto previdenziale, qualora avesse richiesto la liquidazione della pensione di vecchiaia contestualmente al raggiungimento del requisito minimo contributivo, utilizzando pertanto solo i contributi versati sino ad allora, egli avrebbe percepito un trattamento pensionistico più favorevole (euro 1.618,40 mensili), rispetto a quello che gli era stato corrisposto dal 1° luglio 2010.

    La domanda era stata confutata dall’Istituto anche in sede giudiziale, sulla base di una lettura “rigorosa” dell’art. 5, comma l, della legge n. 233 del 1990 e dell’art. l, comma 18, della legge n. 335 del 1995, e della ulteriore considerazione che non vi è «alcuna norma che consenta l’invocata sterilizzazione dei periodi contributivi nei quali l’odierno ricorrente ha prodotto un reddito di impresa meno elevato».

    2.1.– Riferisce la Corte d’appello che, con sentenza n. 24 del 2015, il Tribunale di Pordenone aveva accolto la domanda di L. T., assumendo a sostegno «una lettura costituzionalmente orientata favorevole al ricorrente delle norme in esame».

    Ad avviso del giudice di primo grado, la Corte costituzionale ha fissato un principio, cosiddetto della “sterilizzazione” dei contributi dannosi, fondando il proprio decisum sulla consapevolezza che sarebbe irrazionale e contrario alla Costituzione che un numero di contributi superiore al minimo occorrente a far sorgere il diritto alla pensione, possa dare origine ad una prestazione di misura inferiore a quella ricollegabile al minimo già conseguito. Secondo il Tribunale di Pordenone, «il vizio di costituzionalità deriva dall’effetto paradossale che contributi ulteriori possano ridurre, invece di aumentare, il trattamento pensionistico».

    2.2.– La decisione di primo grado era stata impugnata dall’ente previdenziale. L’INPS, in particolare, aveva dedotto l’impossibilità di trarre da specifiche ipotesi rispetto alle quali si era pronunciata la Corte un principio di carattere generale, evidenziando, altresì, la diversità del sistema pensionistico del lavoro autonomo rispetto a quello dei lavoratori subordinati.

    Nel giudizio di appello si era quindi costituito L. T., chiedendo il rigetto del gravame.

  3. – Il giudice a quo, ravvisata la presenza delle condizioni per sottoporre al vaglio costituzionale le disposizioni censurate ha, quindi, emanato l’ordinanza di rimessione.

    3.1.– In punto di rilevanza, il rimettente deduce che la questione «si presenta all’evidenza concreta e attuale». Ciò in quanto – «in ipotesi di stretta e puntuale applicazione delle norme impugnate – l’art. 5 l. 233/90 […] impone di calcolare la pensione sulla media del reddito percepito negli ultimi dieci anni di attività e quindi», nel caso di L. T., «tenendo conto dei redditi relativi agli anni dal 2000 al 2010 (I° semestre). Media che risulta significativamente più bassa, di quella che si ottiene prendendo come riferimento i redditi prodotti negli anni 1998/2007», ovvero il decennio antecedente alla data in cui l’interessato aveva conseguito il requisito minimo contributivo.

    3.2.– In ordine alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente deduce che nella gestione assicurazione generale obbligatoria «è oggi vigente, senza dubbio alcuno, il principio della “sterilizzazione” dei contributi dannosi maturati successivamente al raggiungimento del requisito minimo contributivo». Nella sentenza appellata, il Tribunale di Pordenone avrebbe dunque applicato, richiamandosi all’art. 3 Cost., anche al lavoratore autonomo il suddetto principio della “sterilizzazione”, elaborato dalla Corte costituzionale in riferimento esplicito al lavoratore subordinato e normativamente all’art. 3, comma 8, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica). Senonché, ad avviso del giudice rimettente, tale soluzione «si presta tuttavia, come del resto puntualmente rilevato dall’INPS nell’atto di appello, ad una severa critica».

    Il giudice a quo rappresenta che la norma dichiarata incostituzionale nella sentenza richiamata è altra (art. 3, comma 8, della legge n. 297 del 1982), rispetto a quella impugnata che disciplina il caso concreto sottoposto a giudizio (art. 5 della...

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