Sentenza nº 170 da Constitutional Court (Italy), 20 Luglio 2018

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione20 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 170

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150» come sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), promosso dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nel procedimento relativo a M. E. con ordinanza del 28 luglio 2017, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di M. E., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 3 luglio 2018 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Aldo Loiodice per M. E. e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con ordinanza del 28 luglio 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150», nel testo sostituito dall’art. 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 (Sospensione dell’efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario), nella parte in cui prevede quale illecito disciplinare l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici anche per i magistrati fuori del ruolo organico della magistratura perché collocati in aspettativa «per motivi elettorali».

    1.1.– La sezione disciplinare rimettente premette che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha esercitato l’azione disciplinare nei confronti di M. E. – magistrato attualmente fuori del ruolo organico della magistratura per lo svolgimento del mandato amministrativo di sindaco del Comune di Bari (dal giugno 2004 al giugno 2014), di assessore «esterno» del Comune di San Severo e del mandato elettivo di Presidente della Regione Puglia (dal giugno 2015 sino alla data odierna) – contestandogli la violazione degli artt. 1, comma 1, e 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006, come modificato dalla legge n. 269 del 2006, per aver ricoperto gli incarichi di segretario regionale del Partito Democratico - PD della Puglia (dall’ottobre 2007 all’ottobre 2009), di Presidente del Partito Democratico - PD della Puglia (dal novembre 2009 al gennaio 2014), nuovamente di segretario del Partito Democratico - PD della Puglia (dal febbraio 2014 al 21 maggio 2016), e, con una successiva contestazione, per aver presentato, nel marzo 2017, la propria candidatura per l’elezione a segretario nazionale del Partito Democratico. Secondo il titolare dell’iniziativa disciplinare tutte le cariche ricoperte – «non coessenziali con l’espletamento dei mandati amministrativi presso gli enti territoriali» – presuppongono, per statuto, l’iscrizione al partito politico di riferimento; in tal modo, M. E., «iscrivendosi ad un partito e svolgendovi attività partecipativa e direttiva in forma sistematica e continuativa», avrebbe violato l’art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006, che appunto configura quale illecito disciplinare l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici a garanzia dell’esercizio indipendente e imparziale della funzione giudiziaria, «valevole anche in relazione ai magistrati che non svolgano temporaneamente detta funzione per essere collocati fuori del ruolo organico della magistratura».

    1.2.– Premette ancora il giudice a quo che deve essere disattesa l’eccezione di estinzione del procedimento disciplinare per decorso del termine annuale formulata dalla difesa ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 109 del 2006, in quanto la conoscenza dei fatti che ha dato origine all’azione disciplinare avviata il 30 ottobre 2014 è stata ricondotta ad un articolo di stampa del 2 dicembre 2013 e ad un esposto del 7 marzo 2014, mentre non sono emersi profili che possono assumere un concreto rilievo ai fini della formulazione di circostanziate contestazioni in epoca precedente.

    1.3.– Quanto al merito delle censure sollevate, il giudice a quo ricorda il contenuto della sentenza n. 224 del 2009, con cui la Corte costituzionale si è già pronunciata sulla compatibilità dell’art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006 rispetto ai parametri evocati. Il rimettente sottolinea però la diversità tra il caso da cui avevano avuto origine le questioni allora dichiarate non fondate e quello ora al giudizio della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura: mentre in quella occasione il magistrato nei cui confronti era stata avviata l’azione disciplinare era stato collocato fuori ruolo «per svolgere funzioni tecniche di consulenza a favore di una Commissione parlamentare», nel caso ora alla sua attenzione il magistrato è collocato fuori ruolo per l’esercizio di funzioni elettive «che determinano una fase di sospensione delle funzioni giudiziarie per un arco temporale non definibile e che potrebbe finanche superare il periodo di appartenenza del magistrato all’Ordine Giudiziario».

    Inoltre – secondo il rimettente – poiché le funzioni elettive sono per loro natura connotate da sicuro rilievo politico, la compatibilità della disposizione censurata rispetto ai parametri evocati deve essere esaminata in una diversa prospettiva, quella della tutela dei diritti politici riconosciuti dalla Costituzione.

    A tal fine, la sezione disciplinare rimettente ricorda tutte le disposizioni normative che attualmente consentono ai magistrati di candidarsi alle elezioni politiche e amministrative e di essere nominati assessori negli organi esecutivi.

    Ricorda anche che – «[i]n coerente applicazione del portato precettivo dell’art. 51 della Costituzione - quale previsione che assicura in via generale il diritto di elettorato passivo, riconducibile alla sfera dei “diritti inviolabili della persona” di cui all’art. 2 Cost. – il Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto che l’accesso al pubblico ufficio non è soggetto ad autorizzazione, trattandosi di un diritto politico costituzionalmente riconosciuto in capo ad ogni cittadino senza alcuna distinzione derivante dall’attività o dalle funzioni svolte». Il medesimo Consiglio ha anche ripetutamente affermato la possibilità della contemporanea assunzione di incarichi politico-amministrativi (in forza di mandato elettorale o di incarico di assessore) in capo ai magistrati, fermo restando l’obbligo di ricorrere all’istituto dell’aspettativa ove vi sia coincidenza tra l’ambito territoriale di svolgimento della funzione giurisdizionale e quello della circoscrizione elettorale, e ciò in base al rilievo che le cause di ineleggibilità ed incompatibilità hanno carattere tassativo e che tra esse non è inclusa l’appartenenza all’ordine giudiziario.

    Osserva, quindi, il giudice a quo come la normativa vigente – che consente, a certe condizioni, lo svolgimento di compiti che non possono non manifestare caratteristiche collegate alle dinamiche politico-partitiche – incida sulla corretta interpretazione del significato del divieto disciplinare di cui all’art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 109 del 2006, conducendo ad escludere la rilevanza disciplinare in tutti quei casi in cui la partecipazione del magistrato ad aspetti e momenti della vita politico-partitica sia proporzionalmente e ragionevolmente collegata alle caratteristiche della funzione legittimamente ricoperta dal magistrato fuori ruolo. Secondo il rimettente, sarebbe, infatti, irrazionale e contraddittorio consentire, da una parte, l’assunzione di tali ruoli e, dall’altra, sostanzialmente vietare – ed anzi sanzionare disciplinarmente – alcune manifestazioni e situazioni, ritenute «sintomo di organico schieramento partitico», che risultino strettamente legate all’essenza di quei ruoli.

    1.4.– Posto che attualmente (e nonostante le sollecitazioni rivolte al legislatore dallo stesso Consiglio superiore della magistratura ad intervenire in materia) è consentito ai magistrati di essere eletti al Parlamento nelle liste di partiti politici, di iscriversi ai relativi gruppi parlamentari e di contribuire ad attuarne la linea politica a livello nazionale, il rimettente ritiene che il «confine tra la militanza e la candidatura indipendente è spesso incerto» ed è, pertanto, difficile risolvere «la discrasia»...

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