Sentenza nº 149 da Constitutional Court (Italy), 11 Luglio 2018

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione11 Luglio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 149

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, nella procedura di sorveglianza ad istanza di D. D.A., con ordinanza del 28 aprile 2017, iscritta al n. 119 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di costituzione di D. D.A.;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò;

udito l’avvocato Annamaria Marin per D. D.A.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale di sorveglianza di Venezia, con ordinanza del 28 aprile 2017, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che i condannati all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 630 del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno ventisei anni» di pena.

  2. – Il giudice rimettente illustra preliminarmente di essere investito di una istanza di concessione del beneficio della semilibertà ai sensi dell’art. 50 ordin. penit., formulata da un condannato all’ergastolo per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che aveva cagionato la morte del sequestrato, previsto dall’art. 630, terzo comma, cod. pen.

    Il Tribunale espone che, al momento del deposito dell’ordinanza di rimessione, l’istante, tenendo conto delle detrazioni di pena conseguite a titolo di liberazione anticipata, aveva espiato ventidue anni, undici mesi e ventidue giorni di detenzione, periodo ampiamente superiore al limite di venti anni di pena espiata cui è normalmente subordinata, ai sensi dell’art. 50, comma 5, ordin. penit., la concessione della semilibertà nei confronti dei condannati all’ergastolo.

    Rileva altresì il rimettente che il detenuto istante ha nel frattempo compiuto una rivalutazione critica in relazione al grave reato commesso, dando prova di «eccezionale impegno negli studi universitari» e di «condotta sempre regolare» all’interno dell’istituto penitenziario, dove da alcuni anni lavorava presso un call center gestito da una cooperativa; ed evidenzia come l’istanza di semilibertà sia corredata da un’offerta di contratto di lavoro all’esterno proveniente da altra cooperativa.

    Sottolinea infine il Tribunale che, nella specie, non sussistono le condizioni ostative alla concessione dei benefici penitenziari stabilite dall’art. 4-bis ordin. penit., dal momento che il detenuto si è trovato sin dall’inizio nell’impossibilità di prestare un’utile collaborazione a norma dell’art. 58-ter ordin. penit., essendo le autorità da subito pervenute all’integrale accertamento dei fatti e delle relative responsabilità.

    Il Tribunale evidenzia allora come l’unico ostacolo alla concessione del beneficio richiesto sia rappresentato dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit., che preclude la concessione di tutti i benefici indicati nell’art. 4-bis, comma 1, della legge medesima ai condannati per i delitti di cui agli artt. 289-bis e 630 cod. pen. che abbiano cagionato la morte del sequestrato, se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell’ergastolo, almeno ventisei anni.

    Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale disposizione, limitatamente alla parte che si riferisce ai condannati all’ergastolo per il delitto di cui all’art. 630, che abbiano cagionato la morte del sequestrato.

    2.1.– Preliminarmente, il Tribunale rammenta che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’ineliminabile funzione rieducativa della pena sancita dall’art. 27, terzo comma, Cost. si opporrebbe, nell’ambito del diritto penitenziario, ad una «prevalenza assoluta delle esigenze di prevenzione sociale su quelle di recupero dei condannati» (sentenza n. 189 del 2010), essendo invece criterio «costituzionalmente vincolante» quello che «esclude rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzante caso per caso» (sentenza n. 436 del 1999).

    Sottolinea quindi il rimettente che la disposizione censurata «rappresenta un’eccezione in peius rispetto ad un regime già connotato di specialità peggiorativa» come quello sancito dall’art. 4-bis ordin. penit., regime caratterizzato dalla «previsione di condizioni temporali di accesso» ai benefici più gravose per coloro che siano stati condannati per i reati menzionati nello stesso art. 4-bis rispetto alla generalità degli altri condannati.

    Occorrerebbe pertanto verificare, ad avviso del Tribunale, «se tale eccezione – o meglio “ultra-eccezione” rispetto ad una previsione già speciale – sia costituzionalmente sorretta da un autonomo criterio di ragionevolezza nel quadro del rispetto del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost.», criterio che dovrebbe peraltro essere «ulteriore ed aggiuntivo rispetto a quello che già sorregge il regime speciale».

    Un tale criterio potrebbe in ipotesi ravvisarsi, secondo il rimettente, o in ragioni di ordine oggettivo, e dunque in relazione al maggiore disvalore dei fatti di reato in questione rispetto alle altre ipotesi contemplate dal medesimo art. 4-bis ordin. penit.; ovvero in ragioni di tipo soggettivo, in relazione alla maggiore pericolosità espressa dal condannato per uno dei due titoli criminosi cui si riferisce la disposizione censurata rispetto ai condannati per tutti gli altri reati menzionati nell’art. 4-bis ordin. penit.

    Quanto al primo profilo, il Tribunale nega che possa in linea generale ravvisarsi una maggior gravità del delitto di sequestro di persona qualificato dalla morte della vittima rispetto ad altri gravissimi reati puniti con l’ergastolo, che implicano spesso la causazione della morte di una o più persone (come nel caso paradigmatico della strage), ma che cionondimeno sfuggono al rigoroso regime penitenziario discendente dalla disposizione censurata, a volte non essendo neppure ricompresi nell’elenco dei reati che danno luogo alle preclusioni stabilite dall’art. 4-bis ordin. penit.

    Né potrebbe, secondo il rimettente, predicarsi in via generale una maggiore pericolosità soggettiva «di chi uccida la vittima precedentemente sequestrata a scopo di estorsione (magari proprio nell’immediatezza del fatto, come nel caso qui in esame esauritosi nell’arco di poche ore) rispetto a chi, in un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso e proprio al fine di agevolare i finalismi illeciti del sodalizio, uccida, in maniera premeditata, futile ed efferata la vittima, precedentemente sequestrata, magari anche al fine di apprendere da questa fatti a sua conoscenza».

    Tanto basterebbe, ad avviso del giudice a quo, «per dimostrare che la presunzione di maggiore gravità/disvalore attribuita oggettivamente al delitto di cui all’art. 630, comma 3, c.p., o soggettivamente al condannato per tale fatto – tanto da meritarsi un trattamento penitenziario deteriore – è una presunzione irragionevole in quanto contrastante con l’art. 3 Cost., non rispondendo a dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula dell’id quod plermque accidit».

    2.2.– Un secondo profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 58-quater ordin. penit. atterrebbe, nella prospettazione del giudice rimettente, alla sua irragionevolezza intrinseca in rapporto alla necessaria finalità rieducativa della pena, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost.

    Ritiene il Tribunale che la disposizione sospettata di incostituzionalità si porrebbe in contrasto con la «logica della progressione trattamentale penitenziaria che, notoriamente, deve caratterizzare l’espiazione della pena detentiva in rapporto al finalismo di cui all’art. 27 Cost.». In tale ottica, non sarebbe razionale «allineare alla stessa elevatissima quota-parte di espiazione della detenzione (26 anni) il presupposto per la concessione di benefici penitenziari aventi finalità e portate diverse fra loro e tradizionalmente preordinati a costituire una scala di gradualità nell’opera di rieducazione del condannato (dal permesso premio […] fino alla liberazione condizionale, magari passando per il regime di semilibertà)». Sarebbe dunque «del tutto irrazionale […] prevedere che l’ergastolano per il delitto ex art. 630, comma 3, c.p. possa accedere ad un permesso premio, magari solo di poche ore, dopo l’espiazione di 26 anni di pena “effettiva”, mentre già alla medesima soglia di pena – anzi, quella risultante anche dal computo della liberazione anticipata – il condannato ergastolano per un diverso “reato 4-bis” (di pari o maggiore gravità), possa accedere addirittura alla liberazione condizionale».

  3. – Con atto depositato il 9 ottobre 2017 si è costituita la parte privata D. D.A. a mezzo del proprio difensore, che ha sostanzialmente ribadito la trama argomentativa dell’ordinanza di rimessione, sottolineando peraltro l’ulteriore profilo di irragionevolezza intrinseca della disciplina censurata consistente nel suo asserito effetto disincentivante la collaborazione processuale del condannato...

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