Sentenza nº 105 da Constitutional Court (Italy), 23 Maggio 2018

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione23 Maggio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 105

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nel testo antecedente alle modificazioni apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dalla Corte d’appello di Trieste, nel procedimento instaurato da A. C. nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, con ordinanza del 9 febbraio 2017, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di costituzione della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense;

udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 9 febbraio 2017, iscritta al n. 88 del registro ordinanze del 2017, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nel testo antecedente alle modificazioni apportate dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80 (Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, in attuazione dell’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui «vietano in sostanza l’erogazione dell’indennità di maternità al padre adottivo anche nel caso in cui la madre abbia rinunziato a detta prestazione».

    Il giudice a quo prospetta la violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 29, primo comma, 31, primo e secondo comma, 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e agli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

    1.1.– La Corte rimettente espone di dover decidere sull’appello proposto da un avvocato iscritto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, che ha chiesto alla Cassa professionale il riconoscimento dell’indennità di maternità in riferimento all’adozione internazionale di tre minori stranieri e ha dedotto, a fondamento della richiesta, che la moglie ha rinunciato espressamente all’indennità di maternità di sua spettanza.

    La richiesta è stata respinta dalla Cassa professionale, con provvedimento confermato dalla sentenza impugnata del Tribunale ordinario di Pordenone, in funzione di giudice del lavoro, sul presupposto che la sentenza di questa Corte n. 385 del 2005, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedono che spetti al padre, in alternativa alla madre, percepire l’indennità di maternità, si configuri come «sentenza additiva di principio» e non sia autoapplicativa.

    La Corte rimettente, nella disamina delle ragioni di gravame, muove dalla premessa che il padre possa godere dell’indennità di maternità, in sostituzione della madre, nelle sole ipotesi tassativamente definite dall’art. 70 e, per i casi di affidamento e di adozione, dall’art. 72 del d.lgs. n. 151 del 2001, che a sua volta rinvia alle disposizioni del citato art. 70 e non prevede l’ipotesi della rinuncia della madre.

    Anche l’art. 70, comma 3-ter, del d.lgs. n. 151 del 2001, aggiunto dal d.lgs. n. 80 del 2015 e peraltro ratione temporis inapplicabile a una richiesta risalente al 2012, avrebbe contemplato le sole ipotesi della morte, della grave infermità della madre, dell’abbandono, dell’affidamento esclusivo al padre, senza includere la fattispecie della rinuncia della madre.

    Il giudice a quo argomenta che, con riguardo ai congedi disciplinati dagli artt. 28 e 31 del d.lgs. n. 151 del 2001, la posizione dei genitori è paritaria, in quanto il padre può goderne quando la madre non abbia avanzato la relativa richiesta.

    La medesima esigenza di trattamento uniforme dei due genitori si ravviserebbe anche nel caso dell’adozione, «in cui la situazione dei genitori è assolutamente paritaria dal momento, come qui, di ingresso dei figli adottivi in famiglia che costituisce come evidente il momento di partenza della nuova vita familiare». Nell’ipotesi dell’adozione, difatti, l’indennità di maternità non perseguirebbe una funzione di tutela della salute della madre: rivestirebbe rilievo preminente la finalità di garantire al fanciullo «un’assistenza completa […] nella delicata fase del suo inserimento in famiglia» e dovrebbe essere salvaguardata la libertà dei genitori di scegliere «chi debba assentarsi dal lavoro per assistere il bambino».

    1.2.– L’assetto delineato dal legislatore contrasterebbe con l’art. 3, primo e secondo comma, Cost., in quanto, nell’ipotesi di adozione, dovrebbe essere garantita la parità di trattamento dei genitori con riguardo alla fruizione dell’indennità di maternità, così come avviene per i congedi previsti dall’art. 31 del d.lgs. n. 151 del 2011, che attribuisce al padre il diritto al congedo, quando non sia richiesto dalla madre. Nel caso di specie, non si ravviserebbe alcuna ragione «per una tutela diversificata della sola figura materna».

    Il rimettente denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 29, primo comma, Cost. e argomenta che il diniego dell’indennità di maternità, soprattutto nell’ipotesi di «contestuale ingresso in famiglia […] di tre figli minori adottivi» pregiudicherebbe il «valore costituzionale del disposto dell’art. 29 I comma Cost. in materia di diritti della famiglia» e precluderebbe «una ragionevole e paritaria soluzione al caso in oggetto».

    La disciplina censurata sarebbe lesiva dell’art. 31, primo e secondo comma, Cost., che protegge «la maternità e l’infanzia e, in termini più estesi, la condizione di genitore» «anche con misure economiche e provvidenze». Invero, il diniego dell’indennità di maternità pregiudicherebbe «la formazione di una famiglia, o come qui il suo incremento, […] e l’adempimento dei compiti genitoriali».

    Le disposizioni censurate, nel determinare un trattamento deteriore per il genitore adottivo, si porrebbero in contrasto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 12 e 14 della CEDU e agli artt. 21 e 23 della CDFUE. Sarebbero violati, in particolare, il «diritto a contrarre matrimonio ed a fondare una famiglia» (art. 12 della CEDU), il principio «di non discriminazione per ragioni di sesso» (artt...

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