Sentenza nº 104 da Constitutional Court (Italy), 23 Maggio 2018

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione23 Maggio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 104

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da A. B. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 23 marzo 2016, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 marzo 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 marzo 2016, iscritta al n. 206 del registro ordinanze 2016, il Tribunale ordinario di Palermo, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 299, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui, a favore di coloro che abbiano raggiunto la prevista anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017, esclude la riduzione delle anzianità contributive maturate in data anteriore al 1° gennaio 2012 per le pensioni anticipate decorrenti negli anni 2012, 2013, 2014, con esclusivo riguardo ai ratei di pensione corrisposti dal 1° gennaio 2016.

    1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere una domanda di accertamento del diritto alla corresponsione della pensione anticipata, senza la riduzione percentuale contemplata dall’art. 24, comma 10, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.

    In virtù di tale previsione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, i lavoratori che beneficiano di una pensione «liquidata a carico dell’AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335» possono conseguire la pensione anticipata a età inferiori ai più elevati requisiti anagrafici sanciti dall’art. 24, comma 6, del d.l. n. 201 del 2011 soltanto se abbiano maturato un’anzianità contributiva di quarantadue anni e un mese per gli uomini e di quarantuno anni e un mese per le donne.

    Nell’ipotesi indicata, la legge applica, con riguardo alla «quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012», una riduzione pari a un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di sessantadue anni e una riduzione di due punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.

    L’applicazione di tali disposizioni restrittive – soggiunge il rimettente – è stata esclusa per i «soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017», con un’anzianità contributiva derivante «esclusivamente da prestazione effettiva di lavoro, includendo i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l’assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e di cassa integrazione guadagni ordinaria» (art. 6, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2012, n. 14).

    L’esclusione è stata poi estesa a tutti i «soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017», dapprima con riguardo ai soli «trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015», in virtù dell’art. 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», e successivamente, per effetto della disposizione censurata, anche con riguardo «ai trattamenti pensionistici decorrenti negli anni 2012, 2013 e 2014», per i soli «ratei di pensione corrisposti a decorrere dal 1° gennaio 2016».

    Il giudice a quo evidenzia che tale limitazione pregiudicherebbe la parte ricorrente nel giudizio principale, «pensionata dal 1.10.2014», in quanto condurrebbe all’applicazione della decurtazione prevista dall’art. 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011 sino al 31 dicembre 2015.

    La questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante, poiché sarebbe la disposizione censurata a determinare la decurtazione di euro 263,63 al mese, contestata in giudizio dalla parte ricorrente.

    1.2.– Ad avviso del rimettente, il sistema così delineato determinerebbe un’arbitraria discriminazione tra chi ha ottenuto la pensione anticipata dal 2012 alla fine del 2014, riponendo un affidamento ancor più forte sulla normativa vigente prima del d.l. n. 201 del 2011, e chi ha conseguito la pensione anticipata dal 1° gennaio 2015 sino al 31 dicembre 2017.

    La previsione in esame lederebbe «il principio costituzionale di eguaglianza, di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 3 Cost.». Senza alcuna ragione giustificatrice, la legge riserverebbe un trattamento deteriore a chi ha avuto accesso alla pensione anticipata nel 2012, nel 2013 e nel 2014, maturando prima «i requisiti contributivi utili per il diritto a pensione», rispetto a chi ha ottenuto tale beneficio successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2015.

    Non si potrebbe rinvenire alcuna giustificazione razionale di tale disparità di trattamento nel fatto che, per i soggetti posti in pensione anticipata dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2014, le decurtazioni siano state già operate. L’esigenza di risparmio di spesa dovrebbe essere perseguita nel rispetto di «altri valori di rilevanza costituzionale» e neppure l’eccezionalità della situazione economica giustificherebbe deroghe al principio di eguaglianza (si richiama la sentenza n. 223 del 2012).

    La decurtazione del trattamento pensionistico, disposta con riguardo all’anzianità contributiva effettivamente maturata dal lavoratore, si porrebbe in contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost., in quanto sarebbe lesiva del «principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa».

    Il rimettente denuncia il contrasto anche con il «principio derivante dal combinato disposto degli artt. 36, 38, 2, 3 Cost.», sul presupposto che la decurtazione del trattamento pensionistico, «violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il meccanismo del principio solidaristico e il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno solo di alcuni pensionati, casualmente andati in pensione anticipata nel periodo dal 1.1.2012 al 31.12.2014, invece che prima o dopo detto periodo»

    Sarebbe sacrificato in maniera...

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