Sentenza nº 98 da Constitutional Court (Italy), 15 Maggio 2018

RelatoreMarta Cartabia
Data di Resoluzione15 Maggio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 98

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

-- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 31, comma 1, e 34, commi 3 e 4, della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 28 febbraio-2 marzo 2017, depositato in cancelleria il 7 marzo 2017, iscritto al n. 28 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nella udienza pubblica del 20 febbraio 2018 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 28 febbraio-2 marzo 2017 e depositato in cancelleria il successivo 7 marzo (reg. ric. n. 28 del 2017), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 31, comma 1, e 34, commi 3 e 4, della legge della Regione Veneto 30 dicembre 2016, n. 30 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2017).

    1.1.– L’art. 31, comma 1, della legge regionale impugnata, che sostituisce l’art. 40 della legge della Regione Veneto 14 settembre 1994, n. 55 (Norme sull’assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo delle unità locali socio sanitarie e delle aziende ospedaliere in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, così come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517), è denunciato in relazione alla disciplina dei rimborsi delle spese sostenute dai componenti del collegio sindacale delle aziende sanitarie locali (ASL), nella legislazione della Regione Veneto denominate aziende ULSS, nella parte in cui dispone che: «Non sono previsti rimborsi per spese di vitto, alloggio e di viaggio per il trasferimento tra la residenza o domicilio del componente e la sede legale dell’Azienda sanitaria». Il ricorrente, pur ammettendo che tale previsione è volta alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi e al contenimento delle spese per missioni, ritiene che essa contrasti con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, «segnatamente nella parte relativa alla materia del coordinamento della finanza pubblica, ravvisandosi, nella sostanza, elementi di disarmonia con la normativa statale in materia di vigilanza e controllo sulla spesa pubblica».

    Premette il ricorrente che generalmente il Ministero dell’economia e delle finanze designa quale proprio rappresentante in seno ai collegi sindacali delle aziende sanitarie locali un proprio dirigente e che il compito di vigilanza e controllo sui conti pubblici, esercitato dal Ministero dell’economia e delle finanze anche mediante l’operato dei propri rappresentanti in seno ai collegi di revisione e sindacali delle amministrazioni pubbliche, è regolato dall’art. 16 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica). Inoltre, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123 (Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell’articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196), sono attribuiti al Ministero dell’economia e delle finanze compiti di controllo di regolarità amministrativa e contabile, anche mediante l’attività dei collegi di revisione e sindacali, al fine di assicurare la legittimità e proficuità della spesa. Ancora, ai sensi dell’art. 20 dello stesso d.lgs. n. 123 del 2011, i medesimi collegi provvedono agli altri compiti a essi demandati dalla normativa vigente, compreso il monitoraggio della spesa pubblica.

    Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la compresenza di componenti statali e regionali nei collegi sindacali delle ASL «costituisce un essenziale meccanismo di coordinamento finanziario nel campo della spesa sanitaria e ne rappresenta quindi un principio fondamentale», principio che sarebbe violato dalla disposizione regionale impugnata, la quale comprometterebbe irrazionalmente il funzionamento dei collegi sindacali delle aziende ULSS venete. L’assenza di rimborsi per le spese di trasferta tra la residenza o domicilio del componente e la sede legale dell’azienda ULSS, infatti, non consentirebbe ai componenti dei loro collegi sindacali l’assolvimento della primaria funzione di controllo della spesa pubblica, metterebbe in pericolo l’autonomia delle attività di vigilanza con particolare riguardo ai componenti fuori sede e ostacolerebbe l’adempimento dell’obbligo di partecipazione a tutte le attività di verifica pianificate dallo stesso organo di controllo, potendo pregiudicare il principio di collegialità. Pertanto, il contingentamento delle spese, così come regolato nella legge regionale, non solo comprometterebbe le funzioni di controllo in capo al Ministero dell’economia e delle finanze – anche alla luce del fatto che, laddove il rappresentante sia un dirigente del Ministero, egli sarebbe soggetto al regime retributivo della onnicomprensività, per cui non sarebbe destinatario neppure della indennità prevista dalla stessa legge regionale per i componenti del collegio –, ma limiterebbe anche l’attività connessa ai doveri e alle conseguenti responsabilità in capo ai collegi sindacali in tutti quei casi in cui le amministrazioni, titolari del potere di designazione, optino, in base a valutazioni discrezionali, per un componente sindaco non residente nel luogo in cui ha sede l’ente.

    1.2.– In relazione all’art. 34, commi 3 e 4, della legge reg. Veneto n. 30 del 2016, che modifica la legge della Regione Veneto 16 agosto 2002, n. 22 (Autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e sociali) nel senso di escludere la competenza del Comune sulle autorizzazioni alla realizzazione degli ospedali di comunità, delle unità riabilitative territoriali e degli hospice, e di demandare alla Giunta regionale tale competenza, il ricorrente denuncia innanzitutto la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. per il contrasto con il principio fondamentale in materia di «tutela della salute» posto dall’art. 8-ter, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Tale disposizione statale, coordinando le competenze istituzionali dei Comuni con la programmazione sanitaria regionale, porrebbe il principio secondo cui la finalità sanitaria di una costruzione non può privare il Comune del potere di verificarne la compatibilità urbanistica e di rilasciare il permesso di costruire (si richiama la sentenza n. 132 del 2013). Inoltre, la norma regionale che affida a un organo della Regione il potere di autorizzare la realizzazione dei tre tipi di strutture sociosanitarie in questione comporterebbe una violazione delle prerogative comunali sia ai sensi dell’art. 118, secondo comma, Cost., perché la competenza al rilascio dei permessi di costruire, quando le strutture sociosanitarie sono realizzate da soggetti privati, è attribuita al Comune direttamente dalla legge statale; sia ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., perché comunque la norma regionale contrasterebbe con il principio di sussidiarietà e di adeguatezza. Il carattere specifico delle tre descritte strutture sanitarie, che debbono essere necessariamente di dimensioni ridotte proprio per assicurare ai particolari malati che ne abbisognano un’assistenza di tipo protetto, ma non ospedaliero, comporterebbe infatti che le valutazioni edilizie e urbanistiche a esse relative siano espresse dall’ente ordinariamente competente, cioè dal Comune; e che l’intervento regionale si limiti, quindi, al coordinamento delle decisioni del Comune con la programmazione sanitaria regionale, attraverso la verifica di compatibilità sanitaria prevista dalla norma statale interposta di cui all’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992.

  2. – Con atto depositato in data 6 aprile 2017 si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 31, comma 1, della legge regionale impugnata sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata, e che la questione relativa all’art. 34, commi 3 e 4, della medesima legge regionale sia dichiarata non fondata.

    2.1. Quanto alla questione di costituzionalità dellart. 31, comma 1, la difesa della Regione osserva che dalla lettura del motivo di impugnazione non è possibile evincere quale sia il principio di coordinamento della finanza pubblica che sarebbe violato dalla disposizione di legge regionale, il che farebbe ritenere limpugnazione inammissibile, prima ancora che infondata, per la sua intima contraddittorietà e per l’inconferenza del parametro di costituzionalità richiamato. Neanche il riferimento alla compresenza di componenti statali e regionali nei collegi sindacali potrebbe servire a motivare la violazione dei principi in materia di «coordinamento della finanza pubblica», perché tale compresenza rappresenterebbe piuttosto una misura di natura organizzativa. Peraltro la disposizione della legge regionale avrebbe una finalità di riduzione della spesa pubblica che si porrebbe in perfetta assonanza con le molteplici e costanti richieste legislative che in tal senso lo Stato impone alle Regioni. Né tale misura apparirebbe...

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