Sentenza nº 88 da Constitutional Court (Italy), 26 Aprile 2018

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione26 Aprile 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 88

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Frano MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANO’ ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 – promossi dalla Corte di cassazione, sezione sesta civile, con due ordinanze del 20 dicembre 2016, e con ordinanze del 16 febbraio e del 23 gennaio 2017, iscritte rispettivamente ai nn. 68, 69, 73 e 148 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20, 21 e 43, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di G. D. e altri e di G.A. F., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 20 marzo e nella camera di consiglio del 21 marzo 2018 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi gli avvocati Stefano Viti per G. D. e altri, Andrea Saccucci per G.A. F. e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 10 dicembre 2016 (reg. ord. n. 68 del 2017) la Corte di cassazione, sezione sesta civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134 – in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

    L’art. 4 della legge n. 89 del 2001 (cosiddetta legge Pinto), nella versione censurata, prevede che «[l]a domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva».

    Il rimettente riferisce di alcuni ricorrenti che si erano rivolti alla Corte d’appello di Perugia per ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale loro derivato dall’irragionevole durata del giudizio instaurato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio in data 13 marzo 1997 e definito con decreto di perenzione del 14 gennaio 2013. L’adita Corte d’appello aveva dichiarato la domanda inammissibile, pronuncia confermata dalla medesima Corte d’appello in sede di opposizione, atteso che il decreto di perenzione non era ancora divenuto definitivo.

    Adito per la cassazione del decreto che aveva deciso sull’opposizione, il giudice a quo condivide l’interpretazione dell’art. 4 della legge n. 89 del 2011 seguita dalla Corte d’appello e ormai assurta a “diritto vivente”, che esclude la proponibilità della domanda di equa riparazione durante la pendenza del giudizio presupposto, nondimeno dubita della sua legittimità costituzionale, così come sarebbe stato ritenuto, ma non dichiarato, da questa Corte nella sentenza n. 30 del 2014, laddove ha ravvisato nel differimento dell’esperibilità del rimedio all’esito del giudizio presupposto un pregiudizio alla sua effettività, sollecitando l’intervento del legislatore.

    Poiché il vulnus costituzionale riscontrato non sarebbe stato ovviato dai rimedi preventivi introdotti dall’art. 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» – volti a prevenire l’irragionevole durata del processo ma non incidenti sull’effettività della tutela indennitaria una volta che la soglia dell’eccessiva durata sia stata oltrepassata – sarebbe rimasto inascoltato il monito impartito da questa Corte e irrisolto il problema del differimento, perdurando i profili di illegittimità in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., aggravati dalla non reiterabilità della domanda di equa riparazione prematuramente proposta, sebbene, frattanto, il giudizio presupposto sia stato irretrattabilmente definito.

    La questione sarebbe rilevante in quanto i ricorrenti hanno proposto domanda di equa riparazione prima che divenisse definitivo il decreto di perenzione e, perciò, si sono visti precludere l’accesso alla tutela indennitaria.

  2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o, comunque, la manifesta infondatezza della questione.

    Ad avviso dell’interveniente, il rimettente si sarebbe limitato a evocare i parametri costituzionali asseritamente violati, senza indicare i motivi del preteso contrasto. Né sarebbe sufficiente richiamare gli argomenti sviluppati nell’ambito del precedente giudizio di costituzionalità conclusosi con la sentenza n. 30 del 2014, stante il divieto di motivazione per relationem. Peraltro, la questione di legittimità costituzionale sollevata divergerebbe da quella precedentemente scrutinata, rendendo inevitabilmente necessario chiarire le ragioni delle censure.

    Inoltre, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il rimettente avrebbe erroneamente identificato la norma da censurare, atteso che il divieto di riproposizione della domanda respinta sarebbe previsto dall’art. 3, comma 6, della legge n. 89 del 2001, e, comunque, non avrebbe esperito un tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata del combinato disposto degli artt. 3, comma 6, e 4 della legge Pinto, tale da limitare il divieto di riproposizione della domanda alla sola ipotesi di reiezione nel merito e non per ragioni processuali, che di principio non sarebbero suscettibili di giudicato.

    Ancora, l’interveniente sostiene che il giudice a quo non avrebbe indicato la ragione...

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