Sentenza nº 4 da Constitutional Court (Italy), 18 Gennaio 2018

RelatoreGiorgio Lattanzi
Data di Resoluzione18 Gennaio 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 4

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), inserito dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, nel procedimento vertente tra Mare Azzurro Service srl e il Comune di Messina e altro, con ordinanza del 28 settembre 2016, iscritta al n. 263 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di Mare Azzurro Service srl, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 novembre 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato Antonio Saitta per Mare Azzurro Service srl e l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 28 settembre 2016 (r.o. n. 263 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), inserito dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui stabilisce che l’informazione antimafia è adottata anche nei casi in cui è richiesta una mera comunicazione antimafia e produce gli effetti di questa.

    Il giudice a quo premette di essere investito del ricorso contro: «a) [l’]ordinanza del Comune di Messina n. 43 in data 1 febbraio 2016, con cui è stata disposta la decadenza della segnalazione certificata di inizio attività n. 112582 del 6 maggio 2014 ed è stato fatto divieto alla società di proseguire l’attività di vendita di prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti in Via Stazione 2; b) [la] nota del Ministero degli Interni n. 11001/119/20(9) in data 14 dicembre 2015; c) [la] nota della Prefettura di Messina n. 114429 del 17 dicembre 2015».

    Riferisce il collegio rimettente che la ricorrente, mediante la segnalazione certificata di inizio attività del 6 maggio 2014, aveva ottenuto dal Comune di Messina l’autorizzazione alla vendita al dettaglio di prodotti relativi al «I Settore Alimentare (prodotti freschi e congelati, ittici e non)» nei locali siti nel medesimo Comune.

    In precedenza – riferisce sempre il giudice a quo – la società ricorrente aveva partecipato al bando per l’erogazione di un finanziamento dell’Assessorato regionale dell’agricoltura e nel corso del relativo procedimento, in seguito alla richiesta di rituali informazioni, ai sensi dell’art. 83 del d.lgs. n. 159 del 2011, da parte dell’Amministrazione procedente, la Prefettura di Messina aveva adottato l’informazione antimafia interdittiva dell’11 settembre 2015, peraltro non impugnata, e aveva rilevato la sussistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa, dando atto che il coniuge del legale rappresentante della società era stato rinviato a giudizio per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e che «alcuni procedimenti di natura patrimoniale» si erano conclusi con provvedimenti di sequestro e confisca di beni riconducibili al gruppo imprenditoriale in questione.

    Il Prefetto di Messina, in seguito alla richiesta del Comune di Messina del 18 febbraio 2015 sull’esistenza di cause ostative ai sensi dell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione alla segnalazione certificata di inizio attività del 6 maggio 2014, aveva comunicato l’avvenuta emissione dell’informazione antimafia interdittiva, trasmettendo anche la nota del Ministero dell’interno n. 11001/119/20(9) del 14 dicembre 2015, con allegato il parere del Consiglio di Stato n. 3088 del 17 novembre 2015, in merito all’applicabilità dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 ai provvedimenti di natura meramente autorizzatoria.

    Il Comune di Messina, con nota n. 302385 del 21 dicembre 2015, aveva comunicato alla ricorrente l’avvio del «procedimento per la decadenza della segnalazione certificata di inizio attività» n. 112582 del 6 maggio 2014, e successivamente, «tenuto conto dell’ambito di applicazione» del citato art. 89-bis, aveva emesso l’ordinanza impugnata.

    Come riferisce il collegio rimettente, questo provvedimento era stato impugnato in quanto adottato al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, perché la verifica era stata effettuata in un procedimento diverso da quello relativo alla segnalazione certificata di inizio attività. Inoltre, secondo la ricorrente, l’informazione antimafia dovrebbe riguardare ipotesi in cui l’amministrazione intende stipulare contratti, rilasciare concessioni o disporre erogazioni e non le attività private sottoposte a regime autorizzatorio, per le quali sarebbe invece richiesta la comunicazione antimafia. Perciò la ricorrente, in via subordinata, aveva chiesto al Tribunale amministrativo rimettente di sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011.

    Si erano costituiti nel giudizio a quo il Comune di Messina e il Ministro dell’interno chiedendo il rigetto del ricorso.

    Il Tribunale amministrativo ha rilevato che la comunicazione antimafia deve essere acquisita dai soggetti di cui all’art. 83, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione al rilascio di determinati provvedimenti di natura concessoria o lato sensu autorizzatoria, nonché alla stipulazione di contratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici di importo inferiore a quello per cui è prevista l’acquisizione dell’informazione antimafia. Le cause determinanti il rilascio di una comunicazione interdittiva sarebbero costituite dai provvedimenti definitivi di applicazione delle misure di prevenzione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 159 del 2011 e dalle condanne con sentenza definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati elencati dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

    L’informazione antimafia di cui all’art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 attesterebbe invece, oltre a quanto già previsto per la comunicazione antimafia, anche la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società o dell’impresa interessate.

    Come sarebbe stato rilevato nel parere del Consiglio di Stato 17 novembre 2015, n. 3088/15, la comunicazione antimafia costituirebbe «un “minus” rispetto all’informazione antimafia (attestando quest’ultima anche l’eventuale sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa)» e andrebbe richiesta in relazione a fattispecie di rilievo minore rispetto a quelle per cui è prevista l’informazione.

    In base all’art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, quando dalla consultazione della banca dati nazionale unica, in seguito alla richiesta di una comunicazione antimafia, emerge la sussistenza di cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al precedente art. 67, il prefetto sarebbe tenuto ad effettuare le necessarie verifiche e ad accertare la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati alla...

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