Sentenza nº 236 da Constitutional Court (Italy), 10 Novembre 2017

RelatoreAugusto Antonio Barbera
Data di Resoluzione10 Novembre 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 236

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, promossi dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, con ordinanza del 10 marzo 2016, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza del 16 giugno 2016, dal Tribunale amministrativo regionale della Puglia con ordinanza del 29 luglio 2016, dal Tribunale amministrativo regionale del Molise con ordinanza del 25 marzo 2016 e dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con ordinanza del 5 dicembre 2016, rispettivamente iscritte ai nn. 82, 246 e 259 del registro ordinanze 2016 e ai nn. 26 e 60 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17, 49 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2016 e nn. 10 e 18, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di G. D. e altro, di C.A.E.R. Q. e altri, di L. F., di G. A. e altri e di A.C. C. e altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 10 ottobre 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per G. D. e S. P., per C.A.E.R. Q. e per G. A. e altri, Costantino Ventura per L. F., Orazio Abbamonte per A.C. C. e altri e l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 10 marzo 2016 (r.o. n. 82 del 2016) il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige, sede di Trento, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della Costituzione.

  2. – Premette il rimettente che nel giudizio principale i ricorrenti, avvocati dello Stato attualmente in servizio presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trento, hanno agito per l’accertamento del diritto alla corresponsione dei compensi professionali loro dovuti senza le decurtazioni e le limitazioni apportate dalla norma censurata alla previgente disciplina inerente il relativo trattamento economico; trattamento regolato dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) nonché dalla legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato) e dalla legge 3 aprile 1979, n. 103 (Modifiche dell’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato).

  3. – Evidenzia il giudice a quo che, secondo quanto prospettato dai ricorrenti, alla data del loro ingresso nel ruolo dell’Avvocatura, questi avrebbero maturato, in forza della disciplina poi modificata dall’art. 9 oggetto di censura, il diritto ad un trattamento economico che prevedeva sia una quota fissa, commisurata a ruolo, titolo e grado del personale dell’Avvocatura ed equiparata, per il quantum, al trattamento dei magistrati dell’ordine giudiziario, sia una quota variabile, in funzione dell’esito delle controversie patrocinate quando la pubblica amministrazione non risultava soccombente. Avuto riguardo a tale quota variabile, i compensi maturati dai ricorrenti nel giudizio principale erano diversificati a seconda della presenza o meno della condanna della controparte alla refusione delle spese in favore dell’amministrazione patrocinata: nel primo caso, curata l’esazione delle stesse da parte della medesima Avvocatura dello Stato, le relative somme venivano poi ripartite per sette decimi tra gli avvocati di ciascun ufficio, in base a norme regolamentari, e per tre decimi in misura uguale fra tutti gli avvocati dello Stato; nella seconda ipotesi, legata ai casi di spese compensate o di transazione senza spese a carico della controparte, l’erario corrispondeva all’Avvocatura la metà delle competenze che sarebbero state liquidate.

    Regime, questo, segnala il rimettente, parzialmente modificato dall’art. 1, comma 457, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», con una temporanea riduzione (nella misura del 75 per cento per il triennio 2014-2016) dei compensi liquidati a seguito di sentenza che riconosceva la Pubblica amministrazione non soccombente.

  4. – Adduce, ancora, il rimettente che, con l’art. 9 oggetto di censura, la misura nonché, in parte, la stessa previsione di tali compensi, avuto riguardo alle relative componenti variabili, è stata oggetto di radicale trasformazione. Con le disposizioni contenute nell’articolo in questione si prevede che: tutti i compensi professionali sono computati ai fini del tetto massimo degli emolumenti di cui all’art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; nell’ipotesi di sentenza favorevole con condanna della controparte alle spese, solo il 50 per cento delle somme recuperate è ripartito tra gli avvocati dello Stato secondo le previsioni regolamentari dell’Avvocatura dello Stato, mentre il residuo 50 per cento è destinato per metà a borse di studio per lo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura dello Stato e per la residua parte al fondo per la riduzione della pressione fiscale di cui all’art. 1, comma 431, della legge n. 147 del 2013; nei casi di integrale compensazione delle spese, ai dipendenti della pubblica amministrazione, ad esclusione del personale dell’Avvocatura dello Stato, sono corrisposti compensi professionali in base alle norme regolamentari o contrattuali vigenti e nei limiti dello stanziamento già previsto; ai regolamenti dell’Avvocatura dello Stato è demandata la indicazione dei criteri per il riparto delle somme recuperate, in base al rendimento individuale e secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto della puntualità negli adempimenti processuali. Precisa, inoltre, il Tribunale rimettente che il comma 2 dell’art. 9 ha poi espressamente abrogato l’art. 1, comma 457, della richiamata legge n. 147 del 2013 e l’art. 21, comma 3, del r. d. n. 1611 del 1933, norma, quest’ultima, che prevedeva la misura degli onorari da corrispondere agli avvocati dello Stato nel caso di compensazione delle spese.

    Di qui la richiesta di accertamento del dovuto secondo la previgente disciplina con il conseguente petitum condannatorio rivolto in danno delle amministrazioni resistenti (Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Avvocatura dello Stato).

  5. – Ciò premesso, si evidenzia nell’ordinanza che: l’accoglimento dei petita articolati nel giudizio principale passa imprescindibilmente dalla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014, prospettata dai ricorrenti in riferimento agli artt. 3, 4, 23, 35, 36, 42, 53, 77, 97 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione sia agli artt. 3 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 sia all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e ratificato con la stessa legge n. 848 del 1955; che le amministrazioni intimate si sono costituite in quel giudizio argomentando diffusamente per l’infondatezza delle censure, chiedendo, in coerenza, la reiezione del ricorso nel merito.

  6. – Ad avviso del rimettente, delle diverse questioni prospettate dai ricorrenti, solo quella legata al parametro di cui all’art. 77, secondo comma, Cost. non può ritenersi manifestamente infondata, atteso che il legislatore avrebbe introdotto una vera e propria riforma strutturale del trattamento economico spettante agli avvocati dello Stato con lo strumento del decreto-legge in assenza dei necessari presupposti della necessità e urgenza.

    6.1.– In punto di rilevanza, il giudice a quo assegna un rilievo decisivo alla circostanza in forza della quale alcune delle norme di cui all’art. 9 del d.l. n. 90 del 2014 sono di immediata cogenza così da incidere, in termini di decisività, sull’interesse sotteso all’azione giudiziale dei ricorrenti.

    6.2.– In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale argomenta muovendo dal tenore letterale dell’epigrafe del d.l. n. 90 del 2014, recante «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari»; del relativo preambolo (che, nella parte di immediata rilevanza, relativa al primo capoverso, profila la straordinaria «necessità e urgenza di emanare disposizioni volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici, a realizzare interventi di semplificazione dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici e ad introdurre ulteriori misure di semplificazione per l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione»); del...

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