Sentenza nº 215 da Constitutional Court (Italy), 12 Ottobre 2017

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione12 Ottobre 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 215

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, promossi dalla Corte militare d’appello di Roma con ordinanze del 18 febbraio, dell’11 e del 26 aprile 2016, iscritte ai nn. 91, 102 e 117 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 21 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione di F. P., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 26 settembre e nella camera di consiglio del 27 settembre 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Valeria Bonfiglio per F. P. e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte militare d’appello di Roma, con tre distinte ordinanze di analogo tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, rispettivamente del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del 2016), dell’11 aprile 2016 (r.o. n. 102 del 2016) e del 26 aprile 2016 (r.o. n. 117 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 52 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 226 del codice penale militare di pace, nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze armate dello Stato, le quali, se poste invece in essere da soggetti non appartenenti alle Forze armate, non sono più previste dalla legge come reato, per effetto del disposto di cui all’art. 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell’articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67).

    1.1.– Nell’ordinanza del 18 febbraio 2016 (r.o. n. 91 del 2016), il rimettente riferisce di essere chiamato a giudicare in ordine all’appello presentato dall’imputato F. P., condannato in primo grado dal Tribunale militare di Roma alla pena di mesi tre di reclusione militare per il reato di ingiuria continuata e aggravata ai danni di un militare subordinato, commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare (ai sensi degli artt. 226 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace e dell’art. 81 del codice penale).

    1.2.– Nell’ordinanza dell’11 aprile 2016 (r.o. n. 102 del 2016), il giudice a quo espone che l’imputato A. T. è stato condannato in primo grado per il reato di ingiuria pluriaggravata (ai sensi degli artt. 47, numeri 2 e 4, e 226 cod. pen. mil. pace) per aver rivolto una frase offensiva nei confronti di una caporal maggiore, mentre si trovavano entrambi all’interno della mensa unificata di una caserma di Milano. Riferisce il giudice a quo che essi condividevano lo stesso tavolo insieme ad altri militari; che durante la consumazione del pasto l’imputato aveva intrattenuto altri due militari presenti raccontando loro come aveva trascorso la serata precedente; e che, nel corso di tale racconto, egli aveva rivolto la frase offensiva nei confronti della caporal maggiore, fino a quel momento non coinvolta nella conversazione.

    1.3.– Infine, la Corte militare d’appello, nell’ordinanza 26 aprile 2016 (r.o. n. 117 del 2016), riferisce di essere chiamata a decidere il ricorso in appello presentato da R. P., imputato di ingiuria aggravata (ai sensi degli artt. 226 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace) e minaccia aggravata (ai sensi degli artt. 229 e 47, numero 2, cod. pen. mil. pace).

    In merito al primo capo d’imputazione, il rimettente ricorda che R. P., tenente colonnello, aveva rivolto una frase offensiva nei confronti di un maggiore in occasione di un acceso scambio di battute, mentre il primo si trovava nel cortile condominiale e la persona offesa era alla finestra del suo appartamento, e che la discussione tra i due sarebbe scaturita da questioni attinenti a rapporti di vicinato e di condivisione condominiale, sia pure relativa ad alloggi militari.

  2. – In tutte le ordinanze, la Corte militare d’appello ricorda, anzitutto, che il d.lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato, tra gli altri, il reato di ingiuria previsto dall’art. 594 cod. pen. (art. 1); ha previsto che il medesimo fatto, se commesso dolosamente, costituisce un illecito civile, obbligando l’autore, oltre alle restituzioni e al risarcimento del danno, al pagamento di una sanzione pecuniaria civile (art. 4); e ha stabilito che tali disposizioni si applicano anche per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo (art. 12).

    Nelle ordinanze è premesso che tale decreto legislativo non ha ricompreso tra le norme da «depenalizzare» anche il reato militare di ingiuria previsto e punito dall’art. 226 cod. pen. mil. pace, e che l’effetto abrogativo non potrebbe essere desunto in via interpretativa, atteso il carattere tassativo dei reati elencati nel decreto, il fatto che spetta al legislatore scegliere quali reati «depenalizzare» e, infine, la necessità di assicurare certezza giuridica in tale materia.

    Con riferimento a tutti e tre i casi sottoposti al suo giudizio, il giudice a quo sottolinea poi che si tratta di vicende riconducibili a contesti esclusivamente personali e privati, del tutto esulanti dalla sfera del servizio e della disciplina militare (come, in particolare, è dimostrato – in tutti i procedimenti – dall’esclusione della configurabilità del reato di cui all’art. 196 cod. pen. mil. pace, che prevede il reato di ingiuria ad un inferiore).

    In tutti e tre i casi sarebbe, dunque, applicabile l’art. 226 cod. pen. mil. pace, che – in seguito alla ricordata «depenalizzazione» – prevede ora il reato «esclusivamente militare» di ingiuria (secondo la definizione contenuta all’art. 37, secondo comma, cod. pen. mil. pace, in base al quale «[è] reato esclusivamente militare quello costituito da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è, in tutto o in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune»).

    Ritiene il rimettente che la «depenalizzazione» del reato di ingiuria di cui all’art. 594 cod. pen. avrebbe determinato un’irragionevole dilatazione della nozione di reato militare, in quanto vi rientrerebbero anche fatti potenzialmente estranei alla tutela degli interessi militari (difettando, per il reato di ingiuria, una norma analoga all’art. 199 cod. pen. mil. pace, che esclude la configurabilità di alcuni reati, se commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare). L’intervento legislativo avrebbe, inoltre, determinato un’irragionevole diversità di trattamento tra militari imputati di ingiuria e soggetti non appartenenti alle Forze armate, in quanto ai primi si applicherebbe ancora la...

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