Sentenza nº 140 da Constitutional Court (Italy), 14 Giugno 2017

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione14 Giugno 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 140

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 61, 65, 66, 67, 68, 69 e 638, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 29 febbraio 2016, depositato in cancelleria l’8 marzo 2016 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2016.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 maggio 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Regione siciliana, con ricorso iscritto al n. 15 del registro ricorsi 2016, ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 61, 65, 66, 67, 68, 69, anche in combinato disposto con il comma 638, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per violazione degli artt. 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché del principio di leale collaborazione.

    1.1.– Premette la ricorrente che la legge di stabilità del 2016 imporrebbe alla Regione siciliana ulteriori sacrifici che andrebbero a sommarsi alle precedenti riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi anni. La somma di tali riduzioni avrebbe superato, secondo la Regione siciliana, la soglia di legittimità stabilita da questa Corte, in quanto le suddette manovre avrebbero reso impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali.

    Evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza costituzionale ha più volte ammesso che la legge dello Stato può, nell’ambito di manovre di finanza pubblica, anche determinare riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché non sia alterato il rapporto tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi finanziari per farvi fronte (sentenze n. 307 del 1983, n. 123 del 1992, n. 370 del 1993 e n. 138 del 1999).

    Rammenta che al bilancio regionale affluisce solo una ridotta parte del gettito tributario riscosso in Sicilia, come si evincerebbe dai dati richiamati dalla Corte dei conti in sede di parifica del rendiconto per l’esercizio finanziario 2014 (3 luglio 2015 – sezioni riunite in sede di controllo per la Regione siciliana – delibera n. 2/2015/PARI), secondo la quale «Nel corso del 2014, la Struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate ha “trattenuto” le entrate riscosse nella Regione per complessivi 585,5 milioni di euro, riversandole direttamente al bilancio dello Stato a titolo di accantonamenti tributari e, per di più, in assenza di qualsiasi comunicazione formale alla Regione. Quest’ultima, in tal modo, non ha potuto “accertare” la medesima somma in entrata e, conseguentemente in uscita a titolo di concorso alla finanza pubblica atteso che, nell’ordinamento contabile della Regione, le entrate erariali sono accertate all’atto del versamento». Le sezioni riunite della Corte dei conti siciliana avrebbero pertanto evidenziato «come l’operato degli anzidetti Uffici statali, che hanno posto in essere una sostanziale “compensazione per cassa”, abbia realizzato una procedura unilaterale e poco trasparente, che non consente un corretto riscontro al livello di banca dati SIOPE e che mal si concilia con il principio di “leale collaborazione” che deve presidiare i rapporti istituzionali tra Stato e Regione».

    Tale prassi avrebbe prodotto un duplice ordine di criticità: «da una parte non ha consentito alla Regione di operare in termini di corretta contabilizzazione delle entrate, di talché risulta fuorviante e di difficile comprensione, attraverso il rendiconto, non solo la modalità con la quale la Regione ha contribuito al risanamento della finanza pubblica, ma anche l’analisi della “serie storica” degli accertamenti, ai fini di un confronto omogeneo con i dati degli esercizi precedenti; dall’altra, si è generato un disallineamento tra le scritture contabili dello Stato e quelle della Regione, atteso che la quietanza in entrata al bilancio dello Stato del 31 dicembre 2014, è stata successivamente rettificata in diminuzione per l’importo di 585,5 milioni, già trattenuto alla Regione, con effetti sul consuntivo 2014 dello Stato, mentre, nel rendiconto della Regione, le medesime entrate, restituite nel primo trimestre 2015, sono state necessariamente contabilizzate in conto competenza 2015, non potendo incidere in diminuzione del disavanzo di fine esercizio». Dal testo della relazione di parifica del 2015 risulterebbe quindi con tutta evidenza il peso gravoso che la Regione sarebbe costretta annualmente a sostenere per effetto delle varie disposizioni che nel tempo si sono succedute, a partire dalla legge di stabilità 2012, e che le impongono oneri sempre più gravosi a vario titolo.

    1.2.– Sulla scorta di tali premesse la Regione siciliana impugna l’art. 1, comma 61, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 36 e 37 dello statuto, nonché dell’art. 2 delle relative norme di attuazione in materia finanziaria, oltreché del principio di leale collaborazione.

    Espone la ricorrente che la norma dispone la riduzione dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRES) a decorrere dal 2017 (dal 27,5 per cento al 24 per cento) e produce un minor gettito stimato pari a 3.970 milioni di euro l’anno, solo parzialmente compensato da un recupero dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) (comprensivo di addizionali) pari a 114 milioni di euro in ragione d’anno, dovuto alla maggiore imponibilità di dividendi e plusvalenze da partecipazioni qualificate.

    La somma dei due effetti finanziari determinerebbe quindi, a regime, una minore entrata per l’erario, pari a 3.856 milioni di euro l’anno.

    Al riguardo, osserva la Regione che, considerato che la norma impugnata si applica anche all’IRES riscossa in Sicilia, la disposta riduzione dell’aliquota violerebbe l’assetto finanziario stabilito dagli artt. 36 e 37 dello statuto, in base ai quali spettano alla Regione siciliana, oltre alle entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle espressamente riservate allo Stato e di quelle che rispondano ai requisiti di cui all’art. 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria, per darsi luogo alla prevista deroga.

    Né, secondo la ricorrente, sarebbe presente una clausola di salvaguardia che preveda l’inapplicabilità delle disposizioni in esame alle Regioni ad autonomia speciale, ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.

    Osserva, inoltre, la ricorrente che tale riduzione sarebbe stata unilateralmente disposta in assenza di ogni intesa con lo Stato e non sarebbe stata prevista alcuna misura...

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