Sentenza nº 123 da Constitutional Court (Italy), 26 Maggio 2017

RelatoreGiancarlo Coraggio
Data di Resoluzione26 Maggio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 123

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, promosso dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nel procedimento vertente tra S. S. ed altri e l’Università degli studi di Napoli Federico II ed altri, con ordinanza del 4 marzo 2015, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di costituzione di F. F. ed altri, di T. C. ed altri, dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);

udito nell’udienza pubblica del 7 marzo 2017 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Riccardo Marone e Raffaella Veniero per F. F. ed altri, Riccardo Marone Giuseppe Maria Perullo per T. C. ed altri, Angelo Abignente per l’Università degli Studi di Napoli Federico II e Dario Marinuzzi per l’INPS.

Ritenuto in fatto

  1. − L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione al parametro interposto dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo».

    1.1.− Il rimettente espone in punto di fatto che:

    − i ricorrenti avevano svolto dal 1983 al 1997 funzioni assistenziali presso il Policlinico dell’Università degli studi di Napoli Federico II (d’ora in avanti: l’Università o l’Università di Napoli), sulla base di contratti a termine aventi ad oggetto l’esplicazione di attività professionale medica remunerata a gettone;

    − con ricorsi proposti nel 2004 innanzi al TAR Campania essi avevano chiesto il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro di fatto alle dipendenze dell’Università, con conseguente riconoscimento del diritto al versamento dei relativi contributi previdenziali;

    − il TAR adito aveva accolto in parte i ricorsi, riconoscendo che l’attività espletata dai ricorrenti era assimilabile a quella dei ricercatori universitari, «non ponendosi quindi problemi in ordine alla sussistenza della giurisdizione amministrativa»;

    − diversamente, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, pronunciandosi in sede di appello con la sentenza n. 4 del 2007, aveva ritenuto applicabile alla controversia l’art. 45, comma 17, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della L. 15 marzo 1997, n. 59), poi confluito nell’attuale art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale dispone, per le liti relative al pubblico impiego “privatizzato”, che «[l]e controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore a tale data [30 giugno 1998] restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000»;

    − in principio si era ritenuto che la disposizione in parola prevedesse per i ricorsi proposti successivamente a tale data la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro; era successivamente prevalso, nella giurisprudenza tanto della Corte di cassazione quanto del Consiglio di Stato, il diverso orientamento che «ricollegava alla scadenza di tale termine la radicale perdita del diritto a far valere, in ogni sede, ogni tipo di contenzioso»; anche la Corte costituzionale aveva avallato tale interpretazione, ritenuta coerente con le esigenze organizzative connesse al trapasso da una giurisdizione all’altra;

    − uniformandosi a tale giurisprudenza più recente, l’Adunanza plenaria aveva dichiarato l’inammissibilità per tardività dei ricorsi proposti in primo grado dopo il 15 settembre 2000;

    − alcuni dei ricorrenti soccombenti nel giudizio di appello avevano quindi presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, con le sentenze Mottola contro Italia e Staibano contro Italia del 4 febbraio 2014 (d’ora in avanti: sentenze Mottola e Staibano), aveva accertato una duplice violazione degli obblighi convenzionali da parte dello Stato italiano;

    − in particolare, la Corte di Strasburgo aveva accertato la violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, relativamente al diritto di accesso a un tribunale, poiché, anche se tale diritto non è assoluto, potendo in astratto essere condizionato, nel caso di specie era risultato ingiustamente leso nella sua sostanza; nonché dell’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione stessa: i ricorrenti erano titolari di un «bene» ai sensi del citato parametro convenzionale, poiché il loro diritto di credito pensionistico aveva una base sufficiente nel diritto interno alla luce della giurisprudenza all’epoca consolidata, e la decisione del Consiglio di Stato aveva svuotato la loro legittima aspettativa al conseguimento di tale bene;

    − relativamente, invece, alla domanda di equa soddisfazione formulata ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, la Corte EDU si era riservata la decisione «tenuto conto della possibilità che il Governo e i ricorrenti addivengano ad un accordo»;

    − alla luce di tali sentenze, i soccombenti nel giudizio di appello definitosi con la citata sentenza n. 4 del 2007 dell’Adunanza plenaria (alcuni dei quali ricorrenti a Strasburgo) hanno iniziato il giudizio a quo per la sua revocazione, chiedendo al Consiglio di Stato di procedere a una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 106 del d.lgs. n. 104 del 2010 (d’ora in avanti: cod. proc. amm.) e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., ovvero, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale di tali articoli, per violazione degli artt. 111 e 117, primo comma, Cost.;

    − «[n]el merito», i ricorrenti hanno chiesto al giudice adito, in conformità alle pronunce della Corte EDU, di applicare l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, «nella sola interpretazione resa possibile dalla sentenza della Corte europea, e cioè nel senso della perdurante giurisdizione amministrativa, delle controversie riguardanti vicende del pubblico impiego, precedenti la traslazione della giurisdizione»; e conseguentemente, accertata la natura di fatto del loro rapporto d’impiego, di confermare la sentenza del TAR Campania che aveva condannato l’amministrazione resistente al pagamento della contribuzione previdenziale e dell’indennità di fine rapporto;

    − nel giudizio a quo si è costituito l’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), eccependo l’inammissibilità del ricorso, non vertendosi in alcuno dei casi di revocazione previsti dalla legge; che il giudicato interno non può essere travolto da una sentenza della Corte EDU; e che la Corte costituzionale si era già pronunciata nel senso della non illegittimità dell’art. 69, comma 7, citato;

    − si è del pari costituita l’Università di Napoli, eccependo la inammissibilità del ricorso per insussistenza dei presupposti normativi per la revocazione; l’irrilevanza della questione di costituzionalità poiché la riapertura del processo non consentirebbe all’Adunanza plenaria di entrare nel merito della domanda dei ricorrenti, ostandovi l’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001; l’assenza di un obbligo di riaprire il processo alla luce delle sentenze della Corte di Strasburgo; la inutilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale, essendosi la Corte costituzionale già pronunciata sul citato art. 69, comma 7.

    1.2.− Tanto premesso, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in punto di «ammissibilità» del ricorso per revocazione, ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 106 cod. proc. amm. e degli artt. 395 e 396 cod. proc. civ.

    Rammenta in primo luogo il rimettente che, alla stregua della consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, il giudice comune non può disapplicare la norma interna che ritenga incompatibile con la CEDU, a differenza di quanto accade per il diritto dell’Unione, dovendo, invece, laddove ravvisi un contrasto tra la prima e la seconda non risolvibile con lo strumento dell’interpretazione convenzionalmente conforme, sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

    Nel caso in esame vi sarebbe «una tensione tra le norme interne che disciplinano la revocazione della sentenza amministrativa passata in giudicato e...

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