Sentenza nº 127 da Constitutional Court (Italy), 26 Maggio 2017

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione26 Maggio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 127

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 8, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), promosso dal Tribunale ordinario di Bari, nel procedimento penale a carico di P. P., con ordinanza del 4 aprile 2016, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale ordinario di Bari, con ordinanza del 4 aprile 2016 (r.o. n. 110 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 76 e 77 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, e 8, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67).

  2. – Il rimettente riferisce che, nel procedimento penale sottoposto alla sua cognizione, P. P. risulta imputata «dei delitti di cui agli artt. 392 e 635, 2° comma nn. 2 e 3 del Codice Penale, meglio descritti in rubrica, commessi in Acquaviva delle Fonti (BA) il 28.11.12».

    Dopo aver richiamato l’art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), contenente i principi ed i criteri direttivi ai quali si sarebbe dovuto attenere il legislatore delegato nell’esercizio della delega di depenalizzazione, il giudice a quo evidenzia che l’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, in attuazione della delega, ha previsto, al comma 1, la depenalizzazione (con contestuale trasformazione in illeciti amministrativi) di tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda. Sottolinea, tuttavia, che il comma 3 del medesimo art. 1 stabilisce l’inapplicabilità della disposizione di cui al comma 1 ai reati contemplati dal codice penale – eccettuato il reato nominativamente individuato nel successivo art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 8 del 2016 – escludendo dalla depenalizzazione, dunque, anche il reato di cui all’art. 392 cod. pen., nonostante sia per esso prevista la sola pena della multa fino ad euro 516.

    Tanto premesso, il Tribunale ordinario di Bari ritiene sussistente «uno iato» tra le previsioni della legge delega ed il decreto legislativo di attuazione, in quanto la chiara volontà legislativa sarebbe quella di «depenalizzare indistintamente tutte le fattispecie penali punite con la multa o con l’ammenda, ad eccezione delle materie indicate nell’art. 2, 2° comma, lett. a) u.p.» della legge n. 67 del 2014, che esclude dalla depenalizzazione i reati rientranti in alcune specifiche materie. In tal modo, il Governo avrebbe «inspiegabilmente ridotto tale previsione escludendo le fattispecie previste nel codice penale», tra le quali, appunto, il reato previsto dall’art. 392 cod. pen.

    2.1.– In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente ricorda che l’ipotesi contemplata dall’art. 392 cod. pen., trattandosi di delitto contro l’amministrazione della giustizia, non rientra nell’elenco delle materie escluse dalla depenalizzazione, tassativamente indicate nella legge delega. Pertanto, il reato oggetto del giudizio a quo, «in mancanza di espressa previsione contraria», dovrebbe ritenersi «logicamente e sistematicamente rientrante nell’ipotesi depenalizzatrice voluta dal Legislatore».

    A giudizio del rimettente, il decreto attuativo di una legge delega «deve uniformarsi pedissequamente ai suoi principi e criteri direttivi», sicché la mancata depenalizzazione dei reati, puniti con la sola pena pecuniaria della multa o dell’ammenda, previsti dal codice penale «integra gli estremi di una incostituzionalità sul punto», per violazione dei principi e dei criteri direttivi da parte del legislatore delegato.

    Il Tribunale ordinario di Bari ravvisa, inoltre, una violazione del principio di ragionevolezza e di non discriminazione tra situazioni considerate uguali «per espressa previsione di legge», laddove quest’ultima prevede la depenalizzazione di «tutti i reati puniti con la sola pena della multa e dell’ammenda, ad eccezione di quelli rientranti nelle materie tassativamente elencate»: a parere del giudice a quo, infatti, non si comprenderebbe perché le fattispecie «extra codicem» sarebbero depenalizzate, mentre quelle «intra codicem», invece, sarebbero escluse.

    2.2.– Il giudice rimettente solleva ulteriore questione di legittimità costituzionale, in relazione all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, laddove prevede che le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso: a parere del giudice a quo, infatti, «per il noto principio del favor rei, si nutrono dubbi circa l’assoggettabilità dell’imputato ad una nuova forma di sanzione», dal momento che il principio di legalità di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. imporrebbe che la nuova sanzione – e la stessa legge che la istituisce – siano successive alla commissione dei relativi fatti, come previsto per le sanzioni amministrative dall’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).

    Il rimettente evidenzia, ancora, che la previsione di sanzioni amministrative da applicarsi retroattivamente sarebbe in contrasto con la stessa legge di delegazione n. 67 del 2014, che non aveva contemplato questa ipotesi, configurandosi, anche sotto questo profilo, una violazione dei suoi principi e criteri direttivi.

  3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità delle questioni sollevate e concludendo, comunque, per la loro infondatezza.

    Secondo l’interveniente, l’ordinanza di rimessione presenterebbe un’assoluta carenza in punto di descrizione della fattispecie concreta, non essendo richiamate, nemmeno genericamente, le modalità del fatto contestato. La motivazione sulla rilevanza apparirebbe, dunque, astratta, più ancora che generica, sì da precludere lo scrutinio nel merito circa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale.

    A rafforzare la prognosi d’inammissibilità, a giudizio dell’Avvocatura generale dello Stato, si porrebbe la considerazione che dall’epigrafe dell’ordinanza emergerebbe che i fatti per cui si procede concernono non solo il reato di cui all’art. 392 cod. pen., ma anche quello di cui all’art. 635, secondo comma, numeri 2) e 3), cod. pen. Mancando ogni descrizione dei fatti, non sarebbe possibile comprendere se si sia in presenza di imputazione alternativa ovvero concorrente.

    Nel merito, l’interveniente osserva che, ai sensi del comma 3 dell’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, la depenalizzazione...

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