Sentenza nº 99 da Constitutional Court (Italy), 10 Maggio 2017

RelatoreGiorgio Lattanzi
Data di Resoluzione10 Maggio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 99

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), e dell’art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Palermo nel procedimento penale a carico di G. B., con ordinanza del 15 luglio 2015, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2017 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza del 15 luglio 2015 (r.o. n. 292 del 2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27 dicembre 1956, n. 1423, 10 febbraio 1962, n. 57 e 31 maggio 1965, n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia), «nella parte in cui si riferisce anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei quali è prevista la trascrizione nei registri immobiliari e la registrazione a fini fiscali», e dell’art. 76, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), «nella parte in cui si riferisce anche alle variazioni patrimoniali compiute con atti pubblici dei quali è prevista la trascrizione nei registri immobiliari e la registrazione a fini fiscali».

    Il giudice rimettente riferisce di essere investito, in seguito a una richiesta di giudizio abbreviato, del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, perché, essendo sottoposta, con decreto divenuto definitivo il 26 febbraio 2009, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, aveva omesso di comunicare al competente nucleo di polizia tributaria, entro trenta giorni dal suo perfezionamento, la vendita della propria quota di proprietà di un appezzamento di terreno, avvenuta il 29 marzo 2010, per il corrispettivo complessivo a lei spettante di euro 30.000.

    La commissione del reato, come riferisce il giudice rimettente, non era contestata ed era comunque ampiamente provata dagli atti del processo, in quanto risultava che l’imputato, pur essendovi obbligato, non aveva comunicato, entro il termine prescritto, la vendita al Nucleo di polizia tributaria di Palermo.

    Il fatto sarebbe peculiare perché la vendita era stata stipulata con atto pubblico rogato da un notaio, che, entro i brevi termini ai quali era tenuto, aveva provveduto sia alla trascrizione nei registri immobiliari sia alla registrazione a fini fiscali.

    Il giudice rimettente osserva che le disposizioni di cui agli artt. 30 e 31 della legge n. 646 del 1982, nella parte in cui si riferiscono alle persone sottoposte alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale «sono state inglobate», rispettivamente, negli artt. 80 e 76, comma 7, del d.lgs. n. 159 del 2011. Perciò la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 31 della legge n. 646 del 1982, applicabile ratione temporis, dovrebbe trasferirsi «automaticamente sull’analoga disposizione dell’art. 76, comma 7, del decreto legislativo» già citato.

    Ricorda il giudice rimettente che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, il bene giuridico tutelato dal reato contestato sarebbe costituito dall’ordine pubblico, in quanto l’incriminazione in questione sarebbe diretta a consentire l’esercizio di un controllo patrimoniale più penetrante da parte della Guardia di Finanza, nei confronti delle persone considerate particolarmente pericolose, al fine di accertare tempestivamente se le variazioni patrimoniali dipendono dallo svolgimento di attività illecite (è citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima, 22 novembre 2001, n. 45798). In ogni caso, a prescindere dall’individuazione del bene tutelato, si sarebbe di fronte ad un «reato omissivo proprio c.d. “di pura creazione legislativa”». Verrebbe imposto a soggetti gravati da «precedenti giudiziari (penali o di prevenzione)», indicati nel citato articolo 30, un dovere di comunicazione di condotte che in sé considerate non solo non sarebbero offensive di alcun bene, ma anzi sarebbero ordinariamente valorizzate, tutelate e favorite dall’ordinamento. Si tratterebbe cioè di una fattispecie rientrante tra i cosiddetti reati di sospetto, i quali presenterebbero «profili di attrito con i principi cardine del sistema penale contenuti nella Carta fondamentale».Nelle prime pronunce relative all’art. 31 della legge n. 646 del 1982, questa Corte, nel ritenere manifestamente infondate le questioni allora sollevate, avrebbe attribuito un rilievo decisivo all’interpretazione della citata disposizione, condivisa da una parte della giurisprudenza, volta ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo «per le condotte consistenti nell’omessa comunicazione di variazioni patrimoniali compiute mediante atti soggetti a forme di pubblicità legale».

    Successivamente però si sarebbe «consolidato e definitivamente imposto» l’indirizzo secondo cui il delitto in questione è configurabile anche quando l’omissione riguarda operazioni effettuate mediante atti pubblici.

    Il giudice rimettente ricorda quindi la pronuncia di questa Corte n. 81 del 2014, che, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31 della legge n. 646 del 1982, concernente il «carattere irragionevole e sproporzionato della pena» prevista, aveva tuttavia ravvisato un «indubbio profilo di criticità del paradigma punitivo considerato», da...

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