Sentenza nº 75 da Constitutional Court (Italy), 12 Aprile 2017

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione12 Aprile 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 75

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), promosso dalla Regione Lombardia con ricorso notificato il 18 marzo 2016, depositato in cancelleria il 25 marzo 2016 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2016.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 marzo 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 18 marzo 2016, depositato il 25 marzo 2016 e iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2016, la Regione Lombardia ha impugnato l’art. 49 della legge 28 dicembre 2015, n. 221 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali). Tale disposizione aggiunge il comma 3-bis nell’art. 187 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (in prosieguo, anche: codice dell’ambiente). L’art. 187, comma 1, pone il divieto di «miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi», precisando che «[l]a miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose»; il comma 2 dispone che, «[i]n deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 […]», a determinate condizioni di seguito elencate; il comma 3-bis, aggiunto con la disposizione impugnata, statuisce che «[l]e miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge».

    · La Regione osserva che il comma 3-bis «“liberalizza” le miscelazioni non vietate (quindi quelle relative a rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosità oppure non pericolosi), disponendo anzi l’impossibilità di sottoporre l’operazione di miscelazione a limitazioni in sede autorizzatoria». Essa ricorda poi l’art. 23, paragrafo 1, della direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive: «[g]li Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Tali autorizzazioni precisano almeno quanto segue: a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie». La ricorrente richiama poi l’art. 24 della citata direttiva, in base al quale «[g]li Stati membri possono dispensare dall’obbligo di cui all’articolo 23, paragrafo 1, gli enti o le imprese che effettuano le seguenti operazioni: a) smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi di produzione; o b) recupero dei rifiuti».

    La Regione rileva che «la miscelazione dei rifiuti è l’unione di diversi rifiuti aventi diverso CER, al fine di inviare la miscela ottenuta ad un impianto di smaltimento o recupero». Essa «costituisce una delle operazioni di smaltimento e di gestione dei rifiuti e, pertanto, è disciplinata all’interno dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, con proprie prescrizioni». La ricorrente afferma che tali operazioni sono sottoposte ad autorizzazione dall’art. 23 della direttiva n. 2008/98/CE e che, fino all’entrata in vigore della norma impugnata, «le Regioni (o gli enti dalle stesse delegati), nell’emanare le autorizzazioni, potevano stabilire delle condizioni di esercizio “impianto specifiche” per garantire l’attuazione dei principi di precauzione, prevenzione, sostenibilità ai fini della protezione dell’ambiente e della salute umana, secondo quanto dispone l’art. 29 sexies, comma 9 del d. lgs. n. 152/06».

    In attuazione di tale disposizione e dell’art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Lombardia ricorda di avere «adottato, con proprie deliberazioni, degli atti generali per il rilascio delle autorizzazioni di miscelazione dei rifiuti (DGR n. 8571/2008; DGR n. 3596/2012; DGR n. 127/2013), al dichiarato fine di garantire la tutela dell’ambiente, della salute pubblica e della sicurezza dei lavoratori, considerato che la miscelazione indiscriminata può comportare rischi a causa di reazioni impreviste o di emanazioni di sostanze tossiche».

    La ricorrente osserva poi che la norma censurata incide sulle materie, di sua competenza, della «tutela della salute» e «tutela e sicurezza del lavoro», comprimendo l’autonomia legislativa e amministrativa. Dunque, la Regione sarebbe legittimata a invocare anche parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V, «essendovi una ridondanza sulle attribuzioni regionali».

  2. – Avverso la disposizione impugnata vengono sollevate cinque questioni di costituzionalità.

    In primo luogo, la ricorrente lamenta la violazione «degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione alla Direttiva 2008/98/CE, e dell’art. 117, commi 2 e 3 della Costituzione». La norma statale sottrarrebbe all’autorizzazione «e alle prescrizioni ad essa connesse» alcune operazioni di miscelazione di rifiuti (sopra indicate), che invece il citato art. 23 della direttiva n. 2008/98/CE assoggetterebbe ad autorizzazione.

    Nella prospettiva della normativa europea, non si potrebbe «prescindere dalle considerazioni ed eventuali prescrizioni specifiche per ciascun impianto, così come non si può prescindere dal monitoraggio».

    La violazione della citata direttiva sarebbe apprezzabile anche sotto altro profilo. L’art. 17 di essa dispone che «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie affinché la produzione, la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni tali da garantire la protezione dell’ambiente e della salute umana, al fine di ottemperare le disposizioni di cui all’articolo 13, comprese misure volte a garantire la tracciabilità dalla produzione alla destinazione finale e il controllo dei rifiuti pericolosi al fine di soddisfare i requisiti di cui agli articoli 35 e 36». Consentendo «la miscelazione priva di autorizzazione e di controllo di rifiuti con uguale indice di pericolosità», l’impugnato art. 49 della legge n. 221 del 2015 ne inibirebbe la tracciabilità, «posto che l’operazione di miscelazione termina con l’unione di diversi rifiuti». La Regione ricorda che la tracciabilità dei rifiuti è richiesta anche dall’art. 118-bis del d.lgs. n. 150 del 2006 (recte: art. 188-bis del d.lgs. n. 152 del 2006).

    Contrastando con la direttiva, la norma impugnata violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., con ridondanza «sulle attribuzioni regionali in tema di tutela dell’ambiente che fanno sì che la Regione possa e debba prevedere livelli di tutela adeguati alle norme comunitarie, attraverso la propria legislazione e la propria attività amministrativa» (art. 117, secondo e terzo comma, Cost.).

    In secondo luogo, la Regione lamenta la «violazione dell’art. 117, comma 2 e...

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