N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 marzo 2009

IL TRIBUNALE Nel procedimento ex art. 700 c.p.c. promosso ante causam da C. C.

e M. E. con gli avvocati Maria Paola Costantini, Sebastiano Papandrea, Ileana Alesso e Massima Clara, ricorrente, contro dott. V.

A., resistente.

Letti gli atti, esaminati i documenti, ha emesso la seguente ordinanza.

I signori C. C. e M. E:, coniugi di cui risulta accertata l'infertilita' primaria da oligoastenoteratozoospermia severa e da fattore tubarico, hanno Premesso: di essere portatori, la signora C., di drepanocitosi, il sig. M., di beta-talassemia, patologie da cui deriva il 25% di possibilita' di malattia per la prole; di essersi rivolti alla dott. V., dello S. S., sussistendone tutti i requisiti di legge, per accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, svolgendo i colloqui del caso al fine di individuare le metodiche piu' appropriate alla propria situazione e per aviare le procedure del caso; di aver ottenuto dal medico l'approvazione per l'avviamento di una procedura di fecondazione in vitro per ottenere una gravidanza ed, a seguito dell'emanazione delle Linee Guida di applicazione della legge n. 40/2004, di effettuare la diagnosi pre-impianto relativamente ed esclusivamente in ordine alla patologia di cui sono portatori; di essere stati, pero', informati dalla dott.

V. della sussistenza di divieti ed obblighi frapposti dalla legge n.

40/2004 (o, comunque, dalla interpretazione restrittiva della stessa) che impediscono di applicare ad essi ricorrenti le migliori pratiche mediche diffuse ed accettate dalla comunita' scientifica internazionale.

In particolare l'applicazione della miglior pratica medica a favore dei coniugi C. - M., individuata perche' l'intervento abbia piu' probabilita' di successo e la salute della sig. C. sia maggiormente tutelata, e' impedita:

1) dal comma 2 dell'art. 14 della legge n. 40/2004 (che vieta di creare un numero di embrioni superiore a tre e comunque in correlazione ad un unico contemporaneo impianto) che, impedendo la produzione di piu' di tre embrioni, risulta inadeguata alla situazione concreta della coppia per la quale, secondo le indicazioni delle societa' scientifiche, e' necessario che siano prodotti piu' di tre embrioni cosi' da poter trasferire gli embrioni idonei alla gravidanza e poter individuare quelli sani in ordine alla specifica patologia, limitando la reiterazione delle procedure di stimolazione ovarica preparatorie alla fecondazione in vitro; la limitazione di cui alla norma citata si risolve, dunque, in una prassi inadeguata e si sostanzia in un comportamento inumano per le conseguenze derivanti sul piano psicologico e fisico per madre e nascituro, amplificate dall'obbligo di trasferire in utero tutti gli embrioni prodotti senza alcuna valutazione medica e relativa all'interita' psico-fisica dei soggetti coinvolti;

2) dall'art. 14, comma 1 (che vieta la crioconservazione e la soppressione degli embrioni, salvo quanto previsto dalla legge n.

194/1978), comma 3 (che consente la crioconservazione temporanea degli embrioni solo nel caso di impossibilita' temporanea dovuta a forza maggiore relativa alla salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione) e comma 4 (che vieta la riduzione embrionaria, salvo i casi previsti dalla legge n. 194/1978) che, prevedendo il divieto di crioconservazione dell'embrione - con deroga esplicita e per un limitato periodo di tempo solo in presenza di un problema di salute della donna di natura non prevedibile al momento della fecondazione e transitorio - impediscono di tenere conto dell'ipotesi ben piu' grave il cui il rischio sia prevedibile e di natura non transitoria e che, nel caso in esame, si sostanzia nel grave rischio per l'integrita' psicofisico per la donna, provata dagli effetti devastanti che la malattia genetica trasmissibile al nascituro ha prodotto su amici e familiari e che le ha provocato un grave stato di depressione, ansia e disagio psichico legato al desiderio di non far soffrire e vedere soffrire il futuro bambino delle stesse sofferenze;

3) dall'art. 6, comma 3 (che impedisce la revoca del consenso informato dopo la fecondazione dell'ovulo) che, comportando che la coppia sia costretta ad accettare di proseguire tutta la procedura dopo la fecondazione dell'ovulo e cio' senza alcun riguardo alle concrete condizioni fisiche od ad altri eventi, impone di proseguire nel trattamento terapeutico e cio' in contrasto con il diritto incondizionato dei cittadini (salvo i casi previsti per i trattamenti sanitari obbligatori) di rifiutare le cure mediche.

Ad avviso dei ricorrenti, solo attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata possono essere raggiunti gli obbiettivi perseguiti dalla norma, non incorrendo in contraddizioni, consentendo che la PMA sia eseguita secondo le migliori tecniche mediche, con una maggiore probabilita' di successo e con minori rischi per la donna ed il nascituro.

I ricorrenti hanno proposto, ai fini dell'accoglimento del ricorso, le seguenti interpretazioni normative:

a) la previsione del comma 2 dell'art. 14 della legge n.

40/2004 puo' essere interpretata valorizzando l'inciso 'tenuto conto dell'evoluzione tecnico-scientifica' di cui alla prima parte della norma medesima, cosi' che la lettura corretta della norma sarebbe nel senso che 'il medico, secondo le proprie conoscenze mediche, applicando le migliori e piu' appropriate tecniche, dovra' creare il numero di embrioni necessario per le esigenze concrete della paziente, effettuando il trasferimento in utero di un numero di embrioni (comunque) non superiore a tre per unico trasferimento' e cio' anche in considerazione del fatto che la norma parla non di contemporaneo trasferimento in utero ma di 'impianto', evento successivo al trasferimento e solo eventuale, di cui il medico puo' prevedere l'incidenza statistica in base alle risultanze scientifiche;

b) l'art. 14, commi 1, 3 e 4 puo' interpretarsi tenendo conto del richiamo, quale eccezione, alla legge n. 194/1978 e, quindi, al bilanciamento degli interessi e dei diritti dei soggetti coinvolti previsti in tale legge; bilanciamento piu' volte confermato dalla Corte costituzionale (sent. n. 27/1975 e n. 35/1997) e richiamato anche dall'art. 1 della legge n. 40/2004; detto bilanciamento consentirebbe di tenere conto del grave rischio per l'integrita' psicofisico per la donna (nel caso di specie documentato dalla relazione psicologica in atti, dalla storia clinica della coppia e dai dati medici indicanti il forte grado di trasmissibilita' al nascituro di una malattia maligna e non guaribile), consentendo la crioconservazione, che si configura come condizione temporanea passibile di modifica, sia per eventuali possibili cure future della patologia trasmissibile, sia per ripensamenti da parte dell'interessata;

c) l'art. 6, comma 3 puo' leggersi nel senso di consentire al medico, ai sensi dell'art. 6, comma 4, di interrompere la procedura per ragioni inerenti rischi e pericoli per la futura madre, evitando cosi' di imporre un comportamento obbligato alla donna, unico soggetto che subisce conseguenze sulla sua integrita' psicofisica a seguito della PMA.

Parte ricorrente ha sottolineato i rilevanti vizi di ragionevolezza, illogicita' e contraddittorieta' insiti nell'interpretazione rigida delle citate norme, considerando che, in tal caso, le stesse devono ritenersi in contrasto con i principi costituzionali, posto che:

il divieto di produrre piu' di tre embrioni di cui all'art.

14, comma secondo, contrasta con gli arti. 3 e 32 della Costituzione:

in relazione alla tutela della salute della donna che, a causa del limite legislativo, dovrebbe subire ripetuti cicli di stimolazione ovarica (con notevoli rischi alla salute ed, in alcuni casi, possibile aumento del rischio di insorgenza di patologie), poiche' non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti hanno le caratteristiche...

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