Sentenza nº 42 da Constitutional Court (Italy), 24 Febbraio 2017

RelatoreFranco Modugno
Data di Resoluzione24 Febbraio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 42

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, nel procedimento vertente tra il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e A. A. ed altri, con ordinanza del 22 gennaio 2015, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di costituzione di A. A. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2016 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Maria Agostina Cabiddu per A. A. ed altri e l’avvocato dello Stato Federico Basilica per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 22 gennaio 2015, il Consiglio di Stato, sezione sesta giurisdizionale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 6 e 33 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, lettera l), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), «nella parte in cui consente l’attivazione generalizzata ed esclusiva (cioè con esclusione dell’italiano) di corsi [di studio universitari] in lingua straniera».

    La disposizione censurata, nell’indicare i vincoli e criteri direttivi che le università devono osservare in sede di modifica dei propri statuti, prevede il «rafforzamento dell’internazionalizzazione anche attraverso una maggiore mobilità dei docenti e degli studenti, programmi integrati di studio, iniziative di cooperazione interuniversitaria per attività di studio e di ricerca e l’attivazione, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di insegnamenti, di corsi di studio e di forme di selezione svolti in lingua straniera».

    Alla luce della predetta previsione, il Senato accademico del Politecnico di Milano (delibera del 21 maggio 2012) ha ritenuto di poter determinare l’attivazione, a partire dall’anno 2014, dei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese, sia pur affiancata da un piano per la formazione dei docenti e per il sostegno agli studenti.

    Alcuni docenti dell’ateneo milanese hanno proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ottenendo l’annullamento del predetto provvedimento amministrativo (sentenza 23 maggio 2013, n. 1348).

    Contro la decisione del TAR Lombardia hanno proposto appello il Politecnico di Milano e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. È in tale sede che il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, ritenendo che essa legittimi l’applicazione che ne è stata data dal Politecnico di Milano, «giacché l’attivazione di corso in lingua inglese, nella lettera della norma, non è soggetta a limitazioni né a condizioni».

    Il rimettente ritiene che tale conclusione sia avvalorata dalla previsione del paragrafo 31 dell’allegato B al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 23 dicembre 2010, n. 50 (Definizione delle linee generali d’indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2010-2012), il quale, in deroga al divieto per le università di istituire nuovi corsi di studio posto dal precedente paragrafo 30, consente, al fine di favorire l’internazionalizzazione delle attività didattiche, la possibilità di attivare corsi che ne prevedano l’erogazione «interamente in lingua straniera», sia pure, come ha osservato il TAR Lombardia, nelle sedi nelle quali sia già presente un omologo corso. Poiché, peraltro, la legge n. 240 del 2010, successiva al decreto appena ricordato, non contiene una simile condizione, l’applicazione datane dal Politecnico sarebbe, sotto quest’aspetto, legittima.

    1.1.– Il Consiglio di Stato ritiene non condivisibili le considerazioni sulle quali si fonda la sentenza impugnata del TAR Lombardia, che ha negato, anzitutto, la produzione ad opera della disposizione censurata di un effetto di abrogazione tacita dell’art. 271 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore), il quale prevede che «la lingua italiana è la lingua ufficiale dell’insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari». Sul punto, la previsione del regio decreto sarebbe superata dalla possibilità ora riconosciuta di istituire corsi in lingua diversa dall’italiano; così come la congiunzione «anche», contenuta nella disposizione censurata, non varrebbe a sminuirne la portata innovativa, nel senso postulato dal TAR, dato che essa legittima «anche» l’istituzione di corsi in lingua straniera, opzione che appartiene alla libera scelta dell’autonomia universitaria, esercitata dal Politecnico nel senso che si è detto.

    1.2.– Dopo aver così ricostruito la disciplina censurata – la cui applicazione determinerebbe l’accoglimento dell’appello – il Consiglio di Stato manifesta dubbi sulla conformità a Costituzione della stessa, con riguardo a diversi parametri costituzionali. Essa sarebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., perché non tiene conto delle diversità esistenti tra gli insegnamenti e in quanto non si può in ogni caso giustificare l’abolizione integrale della lingua italiana per i corsi considerati; con l’art. 6 Cost., dal quale si ricava il principio di ufficialità della lingua italiana, come affermato dalla Corte costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 159 del 2009 e n. 28 del 1982) e ribadito dalla legislazione ordinaria (art. 1, comma 1, della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche e storiche); infine, con l’art. 33 Cost., in quanto la possibilità riservata agli atenei di imporre l’uso esclusivo di una lingua diversa dall’italiano nell’attività didattica non sarebbe congruente con il principio della libertà di insegnamento, compromettendo la ivi compresa libera espressione della...

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