Sentenza nº 20 da Constitutional Court (Italy), 24 Gennaio 2017

RelatoreMarta Cartabia
Data di Resoluzione24 Gennaio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 20

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dalla Corte di assise d’appello di Reggio Calabria, nel procedimento penale a carico di C.T., con ordinanza dell’8 febbraio 2016 iscritta al n. 67 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza dell’8 febbraio 2016 (r.o. n. 67 del 2016), la Corte di assise d’appello di Reggio Calabria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 266 del codice di procedura penale e degli artt. 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 2 e 3, della legge 8 aprile 2004, n. 95, recante «Nuove disposizioni in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti») e 18-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà).

    1.1.– La Corte rimettente ha premesso di essere investita del processo penale a carico di C.T., fondato su una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché di missive spedite e ricevute in carcere dall’imputato, dalle quali il giudice di primo grado ha inferito l’esistenza di un progetto criminoso volto a consolidare il potere della famiglia dello stesso imputato sul territorio di Siderno e a consumare una serie di specifici fatti delittuosi.

    La Corte di assise d’appello ha precisato che la corrispondenza non è stata sequestrata ai sensi dell’art. 254 cod. proc. pen., ma solo copiata dalla polizia giudiziaria, previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, senza quindi che i destinatari potessero conoscere l’attività investigativa compiuta.

    La Corte rimettente ha riferito che, in un primo tempo, la Corte di cassazione (sentenza 18 ottobre 2007 – 23 gennaio 2008, n. 3579) ha ritenuto utilizzabili i risultati di tali indagini, in base alla considerazione che il provvedimento autorizzatorio del giudice sia in questi casi parificabile a quello, di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., in materia di intercettazioni telefoniche.

    Successivamente, tuttavia, la questione relativa all’intercettabilità della corrispondenza è stata rimessa alle sezioni unite della medesima Corte di cassazione, le quali hanno ritenuto, con sentenza 19 aprile – 18 luglio 2012, n. 28997, inapplicabile in via analogica la disciplina prevista per le intercettazioni o comunicazioni di cui agli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. alle operazioni di intercettazione della corrispondenza e ha, di conseguenza, affermato l’inutilizzabilità, ex art. 191 del codice di rito, delle missive illegittimamente intercettate.

    L’ordinanza di rimessione riferisce che il primo giudice di appello ha, peraltro, considerato utilizzabili le dichiarazioni degli imputati relative al contenuto di alcune lettere, di cui era stata data lettura dal pubblico ministero in sede di interrogatorio dibattimentale, e ha condannato gli imputati per i delitti di tentata estorsione aggravata, associazione mafiosa, associazione finalizzata al narcotraffico, omicidio volontario aggravato e connessi reati in materia di armi.

    La Corte di cassazione ha poi annullato la sentenza di condanna, limitatamente al delitto di omicidio volontario e ai reati in materia di armi, rinviando il giudizio dinanzi alla procedente Corte di assise d’appello di Reggio Calabria.

    1.2.– Ciò premesso, il giudice a quo ha ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 266 cod. proc. pen. e 18 (nel testo previgente le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 2 e 3, della legge n. 95 del 2004) e 18-ter della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consentono la intercettazione della corrispondenza epistolare del detenuto, diversamente da quanto avviene per le comunicazioni telefoniche e le altre forme di telecomunicazione.

    L’esclusione della corrispondenza epistolare dalle intercettazioni, prosegue il rimettente, risulta dall’impossibilità di applicare analogicamente alle missive postali le disposizioni dettate dal codice di rito in materia di intercettazioni telefoniche, così come rilevato dalle sezioni unite della Corte di cassazione, con la citata sentenza, e come risulta inevitabile in materia presidiata da doppia riserva (di legge e di giurisdizione) ai sensi dell’art. 15 Cost. Prova ne sarebbe anche la circostanza che, per includere nella disciplina delle intercettazioni anche la corrispondenza, nel corso della XV legislatura è stato presentato un apposito disegno di legge, mai approvato dal Parlamento.

    Riguardo alla corrispondenza, infatti, secondo il giudice a quo è possibile il solo sequestro ai sensi degli artt. 254 e 353 cod. proc. pen., ma non l’intercettazione all’insaputa del mittente e del destinatario, consentita invece dagli artt. 266 e seguenti del medesimo codice solo per le comunicazioni telefoniche e le altre telecomunicazioni.

    Ad avviso del rimettente, simile limitazione determina una irragionevole disparità di trattamento censurabile ai sensi dell’art. 3 Cost., non giustificabile ex art. 15 Cost., giacché quest’ultima disposizione costituzionale si riferisce non solo alla corrispondenza, ma «ad ogni altra forma di comunicazione», tra le quali rientrano perciò anche le comunicazioni telefoniche.

    La rilevata irragionevolezza della disparità di trattamento sarebbe accentuata nel caso di corrispondenza di detenuti, per i quali l’art. 18-ter dell’ordinamento penitenziario prevede, in caso di controllo, l’apposizione di un visto, che rende i soggetti che intrattengono corrispondenza edotti dell’attività investigativa. In questo modo, secondo il rimettente, lo stato detentivo, da ritenersi irrilevante ai fini investigativi, si porrebbe quale fattore ulteriormente limitativo delle indagini, in quanto imporrebbe all’autorità procedente, per la corrispondenza, oneri comunicativi incompatibili con la necessità di assicurare la segretezza delle indagini, che non sono richiesti per i soggetti non privati della libertà personale. L’irragionevolezza della disciplina relativa alla corrispondenza risulterebbe ancor più evidente a fronte del fatto che la legislazione in vigore consentirebbe le intercettazioni ambientali di colloqui con persone in visita al detenuto, video-riprese che permettano di cogliere segni occulti o altri gesti comunicativi, non meno invasivi della privatezza e della segretezza delle comunicazioni.

    La Corte rimettente ritiene, dunque, che sussista una violazione del principio di uguaglianza presidiato dall’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di disciplina tra le intercettazioni telefoniche e quelle epistolari, nonché per lo status privilegiato che verrebbe riconosciuto all’indagato detenuto rispetto a quello non detenuto.

    1.3.– Il giudice a quo ritiene poi...

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