Sentenza nº 7 da Constitutional Court (Italy), 11 Gennaio 2017

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione11 Gennaio 2017
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 7

ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giorgio LATTANZI Giudice

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti - CNPADC ed altri e il Ministero dell’economia e delle finanze ed altro, con ordinanza del 4 giugno 2015, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti l’atto di costituzione della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti - CNPADC, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 novembre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Aristide Police per la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti - CNPADC e l’avvocato dello Stato Amedeo Elefante per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza iscritta al n. 208 del registro ordinanze del 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135 – con particolare riguardo al primo, terzo e quarto periodo della disposizione – per violazione degli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione.

    La questione trae origine dall’appello della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti (CNPADC) e da due iscritti alla Cassa in proprio, sigg. W.A. e R.G., proposto contro la sentenza del Tar Lazio – Roma n. 6103 del 18 giugno 2013, che aveva rigettato il ricorso avverso i provvedimenti applicativi dell’art. 8 cit.

    La norma censurata impone alle Casse di previdenza privatizzate di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza), in forza della loro inclusione nell’elenco redatto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), di adottare interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti al 5 per cento per il 2012 ed al 10 per cento a partire dal 2013, nonché di riversare annualmente i risparmi di spesa, così conseguiti sui propri consumi intermedi, al bilancio dello Stato.

    In punto di rilevanza, osserva il Consiglio di Stato che gli atti impugnati sarebbero applicativi dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, per la parte in cui assoggettano anche la CNPADC al regime di versamento previsto dalla predetta norma; nella misura in cui determinano l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, troverebbero il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalità si dubita e, dunque, il problema della loro legittimità non discenderebbe dalla presenza di eventuali vizi di legittimità, bensì dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo.

    Né, secondo il rimettente, la questione apparirebbe ex se risolvibile affermando o negando la natura pubblicistica delle Casse di previdenza, posto che il legislatore avrebbe “legificato” i predetti elenchi e, pertanto, in assenza di specifiche censure di illegittimità costituzionale avverso le normative che a detti elenchi fanno rinvio, non ci si potrebbe che limitare a prendere atto di tale scelta legislativa.

    Secondo il Consiglio di Stato non sarebbe dirimente la questione della natura della personalità giuridica (di diritto pubblico o privato) delle Casse di previdenza (ovvero della loro assimilazione, nominativamente disposta, alle amministrazioni pubbliche) ma, piuttosto, assumerebbe rilievo la provenienza, da soggetti privati, della contribuzione destinata a costituire le risorse per il futuro trattamento pensionistico agli iscritti alla Cassa di previdenza, nonché il fatto che la disposizione impugnata non incida su trasferimenti a carico della finanza pubblica, nella specie non presenti, bensì imponga un prelievo percentualmente determinato sulla misura dei c.d. consumi intermedi, che avrebbero parimenti la loro fonte nelle somme percepite dai propri iscritti e la cui disponibilità dovrebbe essere mantenuta nella piena ed autonoma determinazione della Cassa medesima.

    Tanto premesso, il Consiglio di Stato ritiene che l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, imponendo un versamento obbligatorio in favore dello Stato di parte delle somme frutto dei contributi versati dagli iscritti, finirebbe con il distrarre dette somme, in dotazione alla Cassa, dalla loro causa tipica e dalla ragione, normativamente prevista, che ne legittima l’imposizione. La distrazione dal perseguimento delle finalità che sono alla base dell’imposizione coattiva integrerebbe la violazione dell’art. 23 Cost., in quanto il potere impositivo attribuito alle Casse previdenziali verso i propri iscritti sarebbe legato al perseguimento delle predette finalità e non potrebbe essere vanificato destinando parte delle risorse ad esigenze generali di finanza pubblica.

    La disposizione impugnata violerebbe altresì gli artt. 35, 36 e 38, comma 2, Cost., poiché, sottraendo parte dei contributi alle Casse, il legislatore inciderebbe sulla misura del trattamento pensionistico, da intendersi anche come «retribuzione differita» e contravverrebbe all’esigenza di assicurare mezzi adeguati per le esigenze connesse alla vecchiaia del lavoratore; più in generale, inciderebbe sulla finalità di tutela del lavoro, costituzionalmente garantita.

    Inoltre, l’art. 8, comma 3 cit., si porrebbe in conflitto con gli artt. 2, 3 e 97 Cost., in quanto il prelievo ivi previsto inciderebbe, in modo non ragionevole, sulla autonomia dell’ente, impedendo al medesimo di poter disporre delle somme derivanti da contribuzioni dei propri iscritti, per destinarle ad esigenze strumentali alla realizzazione delle finalità previdenziali. Esso inciderebbe, altresì, sul principio di buon andamento delle amministrazioni pubbliche, posto che non realizzerebbe alcuna economicità dell’azione amministrativa, e determinerebbe altresì una distrazione di somme dalla loro finalità tipica.

    Infine, secondo il giudice a quo, la norma impugnata violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost. in quanto, dovendosi ritenere che i contributi versati dagli iscritti siano assimilabili ai tributi, il prelievo corrispondente al versamento imposto alla Cassa, stabilito in una percentuale fissa in relazione alla spesa per consumi intermedi dell’anno 2010, non terrebbe in considerazione né la capacità contributiva del soggetto, né qualsivoglia criterio di progressività, in ciò determinando altresì sia una disparità di trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione, indipendentemente dalla loro soggettiva capacità contributiva, sia una palese irragionevolezza della previsione.

  2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni.

    Rammenta la difesa erariale che l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, fa parte di una serie di misure tese alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica contenute nel suddetto decreto-legge, che ha esteso anche agli enti pubblici non territoriali gli obiettivi comuni di contenimento della spesa.

    L’ambito di applicazione soggettivo delle suddette disposizioni sarebbe quindi stabilito dall’art. 1, comma 2, della legge 196 del 2009, nel testo modificato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, il quale prevede che «ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché, a decorrere dall’anno 2012, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell’elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 228, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni».

    Secondo l’interveniente, il legislatore in tal modo avrebbe stabilito che tutte le amministrazioni pubbliche, così come individuate dall’elenco ISTAT cui la legge rinvia, siano destinatarie delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica. L’inclusione di un ente nell’elenco ISTAT – e, di conseguenza, la sua qualificazione a tali fini quale «pubblica amministrazione» – costituirebbe il presupposto per la soggezione all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012. A tali...

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