Sentenza nº 276 da Constitutional Court (Italy), 16 Dicembre 2016

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione16 Dicembre 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 276

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettera b), 7, comma 1, lettera c), 8, comma 1, e 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), promossi dalla Corte d’appello di Bari con ordinanza del 27 gennaio 2015, dal Tribunale ordinario di Napoli con ordinanza del 22 luglio 2015 e dal Tribunale ordinario di Messina con ordinanza del 14 settembre 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 278 e 323 del registro ordinanze 2015 e 11 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 49 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2015 e n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di costituzione di F.A., di V.D.L., di S.A., di F.M., di V.C. ed altri, del Movimento Difesa del Cittadino ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 e nella camera di consiglio del 5 ottobre il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Vittorio Manes per F.A., Lorenzo Lentini per V.D.L., Gianluigi Pellegrino per il Movimento Difesa del Cittadino ed altro e per G.G., Arnaldo Miglino per F.M., Stefania Marchese per V.C. ed altri e gli avvocati dello Stato Gabriella Palmieri, Agnese Soldani e Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte d’appello di Bari, prima sezione civile, con ordinanza del 27 gennaio 2015, ha sollevato tre questioni di legittimità costituzionale: la prima con riferimento all’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), c.d. “legge Severino”, perché, in violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione, dispone la sospensione dalle cariche degli eletti al Consiglio regionale a seguito di condanna non definitiva, «così eccedendo i limiti della delega conferita dall’art. 1, comma 64 lettera m) della Legge n. 190 del 6.XI.2012»; la seconda, con riferimento al «comma primo dell’art. 7 della Legge 6.XI.2012 n. 190» e di nuovo con riferimento all’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 235 del 2012, in quanto, in violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, «non prevedono la sospensione solo per sentenze di condanna relative a reati consumati dopo la loro entrata in vigore»; la terza, ancora, con riferimento al «comma 1 dell’art. 7 lett. c) Legge 190/2012 [recte: del d.lgs. n. 235 del 2012]», in relazione all’art. 8, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 235 del 2012, perché, in violazione degli artt. 3, 51, 76 e 77 Cost. e «in evidente disparità di trattamento, non prevede per gli eletti al Consiglio Regionale, ai fini della sospensione dalla carica in caso di condanna per uno dei reati previsti (nel caso di specie l’abuso d’ufficio), una soglia di pena superiore ai due anni come è per i parlamentari nazionali ed europei ai fini dell’incandidabilità».

    L’art. 8 del d.lgs. n. 235 del 2012 (rubricato «Sospensione e decadenza di diritto per incandidabilità alle cariche regionali») statuisce, al comma 1, che «[s]ono sospesi di diritto dalle cariche indicate all’articolo 7, comma 1: a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 1, lettere a), b) e c)».

    L’art. 7 (rubricato «Incandidabilità alle elezioni regionali»), al comma 1 dispone che «[n]on possono essere candidati alle elezioni regionali, e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale, amministratore e componente degli organi comunque denominati delle unità sanitarie locali […] c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale».

    Le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso – ai sensi dell’art. 22 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) – avanti al giudice civile da un consigliere della Regione Puglia contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’interno – Prefettura di Bari e la Regione Puglia, a seguito del decreto 23 aprile 2014 con cui il Presidente del Consiglio dei ministri aveva dichiarato la sospensione del consigliere dalla carica, a causa di una condanna penale non definitiva per i reati di falso e abuso d’ufficio, emessa il 13 febbraio 2014. Dopo che il Tribunale ordinario di Bari aveva dichiarato manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal ricorrente, la Corte d’appello ha invece sollevato le questioni sopra indicate, sospendendo anche l’efficacia del decreto di sospensione dalla carica.

    1.1.– Quanto alla prima questione, il rimettente ricorda che la legge delega (legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione») prevede tra i principi e criteri direttivi, all’art. 1, comma 64, lettera m), quello di «disciplinare le ipotesi di sospensione e decadenza di diritto dalle cariche di cui al comma 63 in caso di sentenza definitiva di condanna per delitti non colposi successiva alla candidatura o all’affidamento della carica». Tale norma sarebbe violata dal citato art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 235 del 2012, che contempla la sospensione dalla carica in caso di condanna non definitiva. Secondo la corte d’appello, non si potrebbe andare contro il chiaro dettato letterale del criterio direttivo, né questo sarebbe illogico, in quanto dai lavori preparatori della legge delega emergerebbe che il comma 64, lettera m), riferisce «la sospensione alle cariche elettive e la decadenza alle cariche non elettive». Al Governo «non era consentito […] di regolare la fattispecie in modo inconfutabilmente creativo, secondo una logica diversa, certamente condivisibile e più aderente allo scopo generale che si intendeva perseguire, ma ben al di là del mandato conferito dalla legge delega».

    1.2.– Quanto alla seconda questione, il rimettente osserva che, quand’anche dovesse ritenersi che la sospensione dalla carica costituisca un effetto di natura amministrativa della condanna penale, si tratterebbe comunque di un effetto afflittivo conseguente a condanna pronunciata per un reato consumato in data antecedente a quella dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 235 del 2012, in violazione degli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 7 della CEDU. Sebbene lo scopo delle norme sia quello di allontanare dall’amministrazione della cosa pubblica, anche in via cautelare, chi si sia reso moralmente indegno, andrebbe tuttavia considerato che tale obiettivo collide con i diritti, tutelati dall’art. 51 Cost., di accesso alle cariche elettive e di esercizio delle funzioni connesse alla carica, diritti che non potrebbero essere in concreto garantiti «se non nell’ambito delle garanzie costituzionali tutte, di modo che è parte necessaria consustanziale del diritto il divieto di retroattività delle norme sanzionatorie, disciplinato dall’art. 11 delle preleggi».

    1.3.– Quanto alla terza questione, il rimettente rileva che l’art. 1 del d.lgs. n. 235 del 2012 prevede per i parlamentari nazionali ed europei la soglia della condanna a due anni di reclusione, al di sotto della quale non si determina l’incandidabilità, e osserva che la disparità di trattamento dei consiglieri regionali, per i quali la soglia non opera, non sembra giustificata dalla diversa situazione istituzionale e funzionale degli uni e degli altri, apparendo irragionevole che gli eletti in competizioni locali ricevano un trattamento più severo.

  2. – Nel giudizio costituzionale si è tempestivamente costituito l’appellante nel giudizio a quo, F.A., con memoria depositata il 22 dicembre 2015, che tiene conto della sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2015, riguardante sempre la c.d. “legge Severino”.

    Con riferimento alla prima questione, F.A. nega che l’art. 1, comma 64, lettera m), della legge n. 190 del 2012 implicitamente preveda la sospensione per il caso di condanna non definitiva. Dai lavori preparatori risulterebbe che la sospensione era prevista per le cariche elettive e la decadenza per quelle non elettive, sempre sulla base di una condanna definitiva. La ratio di tale distinzione starebbe nella corrispondenza del regime previsto per gli eletti al Consiglio regionale con la temporaneità dell’incandidabilità dei parlamentari, ai sensi dell’art. 1, comma 64, lettere a), b) e c), e nell’esigenza di...

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