Sentenza nº 219 da Constitutional Court (Italy), 12 Ottobre 2016

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione12 Ottobre 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 219

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Franco MODUGNO ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16-bis, comma 5, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), promosso dal Tribunale ordinario di Bari, nel procedimento vertente tra il Comune di San Ferdinando di Puglia e il Presidente del Consiglio dei ministri più altro, con ordinanza del 30 dicembre 2015, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione, fuori termine, del Comune di San Ferdinando di Puglia, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto in fatto

  1. − Con ordinanza emessa il 30 dicembre 2015, il Tribunale ordinario di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 117, primo comma, 114, 118 e 119, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-bis, comma 5, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), il quale prevede il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni locali responsabili di violazioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, per gli oneri finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato.

  2. − Il giudice rimettente è chiamato a decidere in ordine alla domanda proposta dal Comune di San Ferdinando di Puglia nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di ottenere l’accertamento negativo del diritto di rivalsa esercitato dallo stesso Ministero per il pagamento della somma di euro 903.100, versata a titolo risarcitorio alla parte privata ricorrente, in esecuzione di una condanna della Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato italiano.

    Sulla base degli argomenti svolti dalla parte attrice e puntualmente richiamati dall’ordinanza, il giudice a quo ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-bis, comma 5, della legge n. 11 del 2005, introdotto dall’art. 6, comma 1, della legge 25 febbraio 2008, n. 34, recante «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2007)», ora confluito nell’art. 43, comma 10, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea). Esso prevede il diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni locali responsabili di violazioni della CEDU, per gli oneri finanziari sostenuti in esecuzione delle sentenze di condanna rese dalla Corte di Strasburgo nei confronti dello Stato.

    Il rimettente ritiene, in particolare, che l’univoco tenore letterale della norma impugnata non consenta interpretazioni conformi a Costituzione. Si tratterebbe in particolare di una disciplina sanzionatoria, con efficacia retroattiva, che configura una responsabilità degli enti non già per attività proprie (e dunque addebitabili agli stessi), quanto, piuttosto, per attività che gli stessi enti pongono in essere al solo fine di assicurare la fedele attuazione di quanto disposto dalla legge.

    In ciò viene ravvisata la violazione di molteplici parametri costituzionali.

    In primo luogo, viene denunciato il contrasto con il principio di ragionevolezza, di cui agli artt. 3 e 97 Cost. in quanto il diritto di rivalsa verrebbe, nella specie, esercitato in applicazione di una normativa entrata in vigore successivamente alla condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo. L’ente locale sarebbe sanzionato per comportamenti pregressi, adottati allorché gli stessi non erano previsti come fonte di responsabilità. La portata “retroattiva” della disposizione censurata sarebbe incoerente rispetto alla finalità di prevenzione che la ispira e che è volta alla promozione, negli enti pubblici, di comportamenti virtuosi che non espongano lo Stato a sanzioni derivanti dalla violazione del diritto europeo.

    Difetterebbero, inoltre, gli elementi costitutivi della responsabilità dell’ente territoriale. Ad avviso del rimettente, infatti, il Comune di San Ferdinando di Puglia avrebbe fatto fedele e doverosa applicazione delle leggi dello Stato, delle sentenze dei giudici nazionali e della Corte costituzionale, e avrebbe già provveduto a risarcire la parte privata ricorrente per l’illegittima espropriazione subìta. Di converso, lo Stato italiano avrebbe colpevolmente omesso di svolgere le proprie difese e di presentare osservazioni nel giudizio dinanzi alla Corte di Strasburgo. Nell’impossibilità, per il Comune, di partecipare al giudizio innanzi alla CEDU, la condanna sarebbe la conseguenza del comportamento processuale di inerzia e negligenza dello Stato.

    La disposizione censurata violerebbe, inoltre, gli artt. 3, 97, 117, primo comma, Cost., nella parte in cui essa disciplina, in modo eguale, attraverso l’uniforme previsione del diritto di rivalsa in capo allo Stato, situazioni che, invece, sono differenti. Ed invero, mentre il contrasto tra il diritto interno ed il diritto comunitario obbliga tanto i giudici quanto le amministrazioni a disapplicare il primo, tale meccanismo non opera nel contrasto tra diritto interno e diritto convenzionale. In quest’ultima ipotesi, infatti, solo la Corte costituzionale può annullare la norma interna per contrasto con la CEDU e con l’art. 117, primo comma, Cost. Nessun giudice e nessuna pubblica amministrazione può disapplicare una normativa interna ritenuta in contrasto con la CEDU.

    Tale principio cogente vale a fortiori, per quelle amministrazioni, come i Comuni, che non esercitano alcuna potestà legislativa e sono tenuti ad informare la loro attività al principio di legalità. L’operato di un Comune verrebbe infatti, sanzionato, non solo laddove esso sia discrezionale e volontario, ma anche quando esso sia ossequioso del principio di legalità.

    Ad avviso del giudice a quo, sarebbe altresì irragionevole la previsione, con modalità indifferenziate, di uno stesso diritto di rivalsa statale, nei confronti di enti titolari di funzioni costituzionali di diversa intensità.

    La violazione degli artt. 3 e 97 Cost. viene, inoltre, ravvisata nella deresponsabilizzazione dello Stato che, in forza della disposizione censurata, esercita il proprio diritto di rivalsa nei confronti di altro ente, ma non per un...

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