Sentenza nº 214 da Constitutional Court (Italy), 03 Ottobre 2016

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione03 Ottobre 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 214

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra M.P. ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, con ordinanza del 16 aprile 2014, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di M.P. ed altri nonché gli atti di intervento di A.P. ed altri, di Dirpubblica (Federazione del pubblico impiego) e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Giovanni Pasquale Mosca per A.P. ed altri, Carmine Medici per Dirpubblica (Federazione del pubblico impiego), Flavio Maria Polito per M.P. ed altri e l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 16 aprile 2014 (Reg. ord. n. 154 del 2014), il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma, 103, primo comma, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 – atti entrambi ratificati e resi esecutivi con la legge 4 agosto 1955, n. 848 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

    1.1.– In punto di fatto, il giudice rimettente riferisce di essere investito del ricorso in appello proposto contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e le riforme e il Capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, da numerosi funzionari, dipendenti dell’amministrazione della giustizia, per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio 9 novembre 2012, n. 9220, resa tra le stesse parti, concernente l’ottemperanza alla sentenza dello stesso Tribunale 10 maggio 2007, n. 4266 in tema di «silenzio serbato dall’amministrazione su procedure concorsuali».

    Ciò precisato, il Consiglio di Stato rammenta preliminarmente che l’art. 7, comma 3, della legge 15 luglio 2002, n. 145 (Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato), aveva aggiunto al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), l’art. 17-bis, che, al comma 1, primo periodo – come modificato dall’art. 14-octies, comma 1, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 agosto 2005, n. 168 – stabiliva che «La contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’istituzione di un’apposita separata area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento»; e che l’art. 10, comma 3, della stessa legge n. 145 del 2002, prevedeva che «La disciplina relativa alle disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 7, che si applicano a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, resta affidata alla contrattazione collettiva, sulla base di atti di indirizzo del Ministro per la funzione pubblica all’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) anche per la parte relativa all’importo massimo delle risorse finanziarie da destinarvi».

    Tanto premesso, il giudice rimettente ripercorre la vicenda processuale, esponendo, al riguardo, che, in difetto dell’adozione dei detti atti di indirizzo, il 20 luglio 2006, trecentosettantadue funzionari, dipendenti dell’amministrazione della giustizia, notificarono alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dell’economia e delle finanze e al Dipartimento della funzione pubblica un atto di diffida, con il quale «sollecitavano l’emanazione della direttiva contrattuale prevista dall’art. 10, III comma, della legge 15 luglio 2002, n. 145, per l’istituzione dell’area della vicedirigenza». A fronte dell’inerzia delle diffidate autorità, nel 2007, i detti funzionari dell’amministrazione della giustizia proposero ricorso, contro le stesse, al TAR Lazio, con il quale impugnarono, ai sensi dell’art. 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), il silenzio serbato dall’amministrazione sulla diffida. Il ricorso fu accolto con la sentenza del TAR Lazio 10 maggio 2007, n. 4266, che, conclusivamente, ordinò al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri per la funzione pubblica e dell’economia e delle finanze, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, «di esercitare le proprie attribuzioni per riscontrare in via definitiva l’istanza di parte ed il conseguente atto di messa in mora entro il termine di sei mesi decorrente dalla data di notifica ad esse della presente sentenza, che avverrà a cura della parte ricorrente». Tale sentenza – depositata, come si è detto, il 10 maggio 2007 – passò in giudicato. Poiché, tuttavia, non vi fu prestata osservanza, il 26 luglio 2011 gli interessati depositarono un’istanza al TAR Lazio per la nomina, ai sensi dell’art. 117, comma 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), di un commissario ad acta che provvedesse agli adempimenti discendenti dalla sentenza n. 4266 del 2007 in luogo delle amministrazioni rimaste inerti.

    Dopo una fase interlocutoria, persistendo l’inerzia delle amministrazioni, il TAR Lazio emise la sentenza 16 maggio 2012, n. 4391, con la quale, dopo avere rilevato che, per dare attuazione alla sentenza n. 4266 del 2007, doveva essere esercitato – «con specifico riferimento al personale del Ministero della giustizia, questo essendo il limite soggettivo del giudicato» – il potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN, e che tale potere apparteneva, come comitato di settore, ai sensi dell’art. 41, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, al Presidente del Consiglio dei ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, nominò commissario ad acta, «per dare pieno adempimento alle prescrizioni contenute nella sentenza 10 maggio 2007, n. 4266», il Capo pro tempore del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri. La sentenza n. 4391 del 2012 fu notificata all’amministrazione il 21 giugno 2012. A questo punto della vicenda processuale, fu emanato il d.l. n. 95 del 2012, il cui censurato art. 5, comma 13, dispose l’abrogazione dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 165 del 2001.

    Successivamente a tale sopravvenienza normativa, il nominato commissario ad acta trasmise al TAR Lazio, giudice dell’esecuzione, la nota datata 12 settembre 2012, in cui faceva presente che fosse da ritenere «venuta meno ogni attività da espletare in ottemperanza alla predetta sentenza». Il TAR Lazio, con la citata sentenza n. 9220 del 2012, condividendo le conclusioni del commissario ad acta, dichiarò cessato l’incarico commissariale e improcedibile il giudizio di ottemperanza per sopravvenuta carenza di interesse, nonché la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, sollevate dai ricorrenti, con la motivazione che «la Corte ha giudicato incostituzionali […] le norme che travolgano provvedimenti giurisdizionali definitivi ed incidano sui regolamenti dei rapporti in essi consacrati (cfr. Corte costituzionale 7 novembre 2007, n. 364): ma […] la sentenza 4266/07 […] aveva soltanto stabilito l’obbligo di avviare la procedura per l’introduzione della vicedirigenza, che era però ben lungi dall’essere stata concretamente introdotta, e tanto meno attribuita ai ricorrenti quando è intervenuta la norma che ha abrogato tale qualifica; sicché tra questa e quella non si può ravvisare un effettivo conflitto». Quest’ultima sentenza del TAR Lazio fu appellata davanti al Consiglio di Stato, odierno rimettente, lamentandosi, da parte degli appellanti funzionari dell’amministrazione della giustizia, l’incostituzionalità...

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