Sentenza nº 213 da Constitutional Court (Italy), 23 Settembre 2016

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione23 Settembre 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 213

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), promosso dal Tribunale ordinario di Livorno nel procedimento vertente tra B.D. e l’Azienda USL 6 di Livorno ed altro, con ordinanza del 15 settembre 2014, iscritta al n. 232 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2016 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato Antonietta Coretti per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 15 settembre 2014, il Tribunale ordinario di Livorno, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), come modificato dall’art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), per violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione.

    L’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, rubricato «Agevolazioni» prevede, nel testo modificato dal cosiddetto Collegato lavoro, che: «A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Il predetto diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona con handicap in situazione di gravità. Per l’assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, il diritto è riconosciuto ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente».

    Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza al portatore di handicap in situazione di gravità».

    1.1.– Il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso proposto da B.D., dipendente della Azienda USL 6 di Livorno, nei confronti di quest’ultima per vedersi riconosciuto il diritto ad usufruire dei permessi di assistenza di cui all’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 a favore del proprio compagno, convivente more uxorio e portatore di handicap gravissimo e irreversibile (morbo di Parkinson) e, al contempo, per contrastare la pretesa della USL di recuperare nei suoi confronti – in tempo e in denaro – le ore di permesso di cui aveva usufruito per l’assistenza già prestata al proprio convivente nel periodo 2003-2010, su autorizzazione della stessa USL, poi revocata dalla Azienda, per l’assenza di legami di parentela, affinità o coniugio con l’assistito.

    In particolare – riferisce il Tribunale rimettente – con ricorso depositato in data 23 aprile 2013, la ricorrente chiedeva, in via principale, che si accertasse e si dichiarasse il proprio diritto di usufruire dei permessi di assistenza previsti dall’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e, conseguentemente, si condannasse la Azienda USL di Livorno a consentire alla medesima di usufruire dei detti permessi a favore del convivente P.F., conformemente alla domanda presentata in data 9 giugno 2011; si accertasse e si dichiarasse l’insussistenza del diritto della USL a recuperare, attraverso importi trattenuti in busta paga e ore di lavoro, il goduto periodo di permessi ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, e, per l’effetto, si condannasse l’Azienda ospedaliera: a) a restituire ad essa istante le somme indebitamente trattenute per il recupero delle ore di permesso fruite nel periodo 2003-2010, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi dalla trattenuta al saldo; b) a remunerare le ore di lavoro svolte per il recupero delle ore di permesso godute nel periodo 2003-2010, oltre rivalutazione monetaria e interessi. In via subordinata, la ricorrente chiedeva che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i beneficiari del permesso mensile retribuito, per violazione degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. nonché dell’art. 177 (recte: 117) Cost., in relazione agli artt. 1, 3, 7, 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

    L’Azienda USL 6 di Livorno si costituiva nel giudizio a quo chiedendo il rigetto delle domande.

    Il rimettente precisa che, con sentenza non definitiva dell’8 gennaio 2014, accoglieva la domanda di accertamento negativo della ricorrente dichiarando l’insussistenza del diritto dell’Azienda ospedaliera di recuperare, attraverso importi trattenuti in busta paga ed ore di lavoro, i già usufruiti periodi di permesso ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e, per l’effetto condannava la USL alla restituzione in favore della ricorrente delle somme indebitamente trattenute nonché al pagamento, in suo favore, di una somma pari alla retribuzione ad essa spettante per le ore di lavoro svolto in esecuzione del piano di recupero predisposto dalla USL, oltre accessori di legge.

    Chiamato in causa, su richiesta della USL, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) si costituiva nel giudizio principale, chiedendo il rigetto della domanda della ricorrente.

  2. – In punto di rilevanza, il Tribunale ordinario di Livorno osserva che il giudizio principale – avente ad oggetto la domanda di accertamento del diritto della ricorrente, con decorrenza dal giugno 2011, a fruire dei permessi retribuiti di assistenza in favore del disabile grave, convivente more uxorio – non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione di legittimità costituzionale.

    Il giudice a quo ritiene che, alla luce della normativa vigente, non possa farsi luogo ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata.

    Ad avviso del rimettente, il dettato normativo, tanto nella formulazione precedente che in quella successiva alla modifica di cui all’art. 24, comma 1, lettera a), della legge n. 183 del 2010, applicabile al giudizio principale, è chiaro nell’escludere il convivente more uxorio dal novero dei fruitori dei permessi retribuiti di assistenza, precludendo l’estensione, in via esegetica, a quest’ultimo dei benefici in questione.

    Il Tribunale a quo esclude, peraltro, che sussistano i presupposti per una disapplicazione parziale del censurato art. 33, comma 3, attesa la ritenuta inesistenza nell’ordinamento dell’Unione europea di disposizioni, rilevanti nella fattispecie, che abbiano efficacia diretta (non è, al riguardo, ritenuta pertinente la sentenza della Corte di giustizia, 12 dicembre 2013, in causa C-267/12, Hay contro Crédit agricole mutuel de Charente-Maritime et des Deux-Sèvres, avente ad oggetto il diritto al congedo matrimoniale di coloro che hanno stipulato un cosiddetto patto civile di solidarietà).

  3. – In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale ordinario di Livorno dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, «nella parte in cui non include il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari dei permessi di assistenza al portatore di handicap in situazione di gravità».

    Il Tribunale a quo ricorda che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 35 del 2009, ha dichiarato manifestamente inammissibile analoga questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Savona.

    Il rimettente ritiene che la diversità delle fattispecie e i mutamenti normativi intervenuti medio tempore rendano rilevante e non manifestamente infondata la prospettata questione di costituzionalità.

    Il giudice a quo osserva che nel giudizio principale costituiscono circostanze incontestate che P.F., non ricoverato presso istituti specializzati o strutture sanitarie, sia un soggetto gravemente handicappato, con necessità di assistenza continua; che la ricorrente e P.F. convivano stabilmente dall’ottobre del 2002; che la ricorrente sia l’unica...

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