Sentenza nº 193 da Constitutional Court (Italy), 20 Luglio 2016

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione20 Luglio 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 193

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria DE PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Augusto BARBERA ”

- Franco MODUGNO ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso dal Tribunale ordinario di Como, nel procedimento vertente tra F.T. ed altro e la Direzione territoriale del lavoro di Como, con ordinanza del 27 marzo 2015, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto in fatto

  1. − Il Tribunale ordinario di Como, con ordinanza emessa il 27 marzo 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevede l’applicazione all’autore dell’illecito amministrativo della legge successiva più favorevole.

    La disposizione in esame, intitolata «Principio di legalità», prevede che «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati».

    Essa viene censurata nella parte in cui non prevede l’applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi.

    Viene denunciata la violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

  2. − Il Tribunale rimettente è investito della decisione in ordine all’opposizione, proposta ai sensi dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981, avverso l’ordinanza-ingiunzione con cui la Direzione territoriale del lavoro di Como ha irrogato nei confronti delle parti opponenti la cosiddetta maxi-sanzione per il lavoro nero prevista dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73.

    Dopo avere ritenuto infondate le censure degli opponenti in ordine all’ordinanza-ingiunzione, il giudice a quo evidenzia che, nel caso in esame, essendo provato lo svolgimento di lavoro in nero, sarebbe legittima l’applicazione della maxi-sanzione, vigente all’epoca della commissione dei fatti. L’ordinanza-ingiunzione dovrebbe, pertanto, essere confermata.

    D’altra parte, andrebbe esclusa l’applicabilità della disciplina successivamente introdotta dall’art. 4, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), da qualificarsi come più mite rispetto a quella vigente all’epoca dei fatti.

    Essa prevede, in particolare, sia la riduzione della cornice edittale della sanzione nel caso in cui «il lavoratore risulti regolarmente occupato per un periodo lavorativo successivo» (comma 3 dell’art. 3 del citato d.l. n. 12 del 2002, come sostituito: cosiddetto ravvedimento operoso), sia l’elisione totale delle sanzioni «qualora, dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi comunque la volontà di non occultare il rapporto, anche se trattasi di differente qualificazione» (comma 4, nel testo sostituito).

    Tuttavia, l’applicazione di tale disciplina di minor rigore – sopravvenuta rispetto alla commissione dei fatti – non sarebbe possibile, poiché l’art. 1 della legge n. 689 del 1981 non contempla, in materia di sanzioni amministrative, la retroattività del trattamento sanzionatorio più favorevole. Tale disposizione, infatti, prevede che nessuno possa essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione, ma non contiene il precetto dell’applicazione della legge successiva più favorevole all’autore della violazione, contenuto, invece, per le sanzioni penali, nell’art. 2, comma 2, del codice penale. Di qui, la rilevanza della questione.

    Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo è consapevole delle pronunce con le quali, in passato, la Corte ha escluso che l’applicazione retroattiva della lex mitior in materia di sanzioni amministrative sia costituzionalmente necessitata (ordinanze n. 245 del 2003 e n. 501 del 2002). Ad avviso del rimettente, tuttavia, tale soluzione potrebbe essere rimeditata alla luce delle esigenze di conformità dell’ordinamento agli obblighi derivanti dall’adesione alla CEDU, come interpretati dalla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    A questo proposito, se considerata nel sistema della CEDU, la sanzione amministrativa in esame potrebbe essere qualificata come «penale».

    Osserva il giudice a quo che la Corte di Strasburgo, da tempo risalente, ha ritenuto di natura «penale» – ai fini dell’applicazione delle garanzie dell’equo processo (art. 6 della CEDU) – anche sanzioni formalmente qualificate come amministrative negli ordinamenti degli Stati che aderiscono alla CEDU, in base ai criteri (tra loro alternativi e non cumulativi) della natura del precetto violato e della gravità della sanzione.

    In particolare, secondo la Corte europea dei diritti delluomo, una sanzione ancorché qualificata come amministrativa nellordinamento...

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