Sentenza nº 176 da Constitutional Court (Italy), 14 Luglio 2016

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione14 Luglio 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 176

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Alessandro CRISCUOLO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicol򠠠 ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 27 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 9 marzo 2015 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto nonché l’avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 27 febbraio 2015 e depositato il successivo 9 marzo (reg. ric. n. 42 del 2015), la Regione Veneto ha impugnato, tra l’altro, l’art. 1, comma 428, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 3, 5, 35, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 della Costituzione.

    La disposizione impugnata, qualora il personale interessato ai processi di mobilità non sia completamente ricollocato alla data del 31 dicembre 2016, demanda agli enti di area vasta il compito di definire «criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianità contributiva», previo esame congiunto con le organizzazioni sindacali, da concludere nel termine di trenta giorni dalla relativa comunicazione.

    A conclusione del processo di mobilità, nella sola ipotesi in cui il personale in soprannumero non sia integralmente assorbito, si applica il meccanismo del collocamento in disponibilità, regolato dall’art. 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni).

    La Regione assume che tale misura sia manifestamente irragionevole e sia lesiva, in pari tempo, dell’art. 35 Cost.

    La Regione sostiene che la possibilità del mancato riassorbimento di tutto il personale in soprannumero e l’applicazione del collocamento in disponibilità, suscettibile di condurre, dopo ventiquattro mesi, alla risoluzione del rapporto di lavoro, sia in palese contrasto con l’art. 1, comma 92, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni).

    Tale previsione, difatti, nel processo di riallocazione delle funzioni amministrative provinciali, salvaguarda i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso e i rapporti di lavoro a tempo determinato in corso, fino alla scadenza prevista.

    La disciplina censurata, inoltre, sarebbe in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 35 Cost.: la Regione sarebbe legittimata a far valere tale violazione, alla luce delle «ricadute che il taglio del personale disposto dal legislatore statale ha sull’intero sistema organizzativo delle autonomie territoriali».

    Le disposizioni in esame, in quanto destinate a completare le misure di taglio lineare del personale, entrerebbero in conflitto con il canone di ragionevolezza, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e di corretta distribuzione delle funzioni amministrative (art. 118 Cost.).

    Si tratterebbe, difatti, di una riduzione coattiva della pianta organica degli enti pubblici, svincolata da ogni approfondita valutazione del personale effettivamente necessario per portare a compimento in modo efficace l’attività amministrativa dell’ente e da ogni considerazione plausibile in merito alle esigenze organiche degli enti di area vasta, in rapporto alla popolazione residente e alle funzioni attribuite a tali enti.

    Tale indiscriminata riduzione del personale penalizzerebbe le amministrazioni efficienti, favorendo quelle «ancora ipertrofiche», e arrecherebbe un pregiudizio immediato al corretto svolgimento delle funzioni fondamentali che ancora spettano agli enti di area vasta.

    La Regione ricorrente rileva che i disservizi nelle funzioni amministrative provinciali si tradurranno «in altrettanti disservizi nelle funzioni amministrative regionali e comunali connesse» e lamenta di dover attribuire a se stessa e ai Comuni quelle funzioni amministrative che potrebbero essere conservate in capo alle Province, «alla luce dei principi di sussidiarietà e adeguatezza».

    La Regione Veneto ravvisa anche la violazione dell’art. 114 Cost.

    La disposizione censurata, che si inquadra in un processo di riduzione coattiva e indiscriminata della dotazione organica degli enti di area vasta, comprometterebbe la dignità autonoma delle Province e delle Città metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica.

    In assenza di un’organica revisione costituzionale, che rappresenta «condizione necessaria di ogni eventuale, ulteriore “depotenziamento” delle Province», la disposizione concorrerebbe a produrre un impatto negativo sull’erogazione dei servizi pubblici e sulle funzioni fondamentali che Province e Città metropolitane dovranno continuare a svolgere.

    Inoltre, le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 421 a 428, della legge n. 190 del 2014, nell’operare un taglio lineare delle dotazioni organiche, vanificherebbero o comunque limiterebbero...

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