Sentenza nº 79 da Constitutional Court (Italy), 07 Aprile 2016

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione07 Aprile 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 79

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Paolo GROSSI Presidente

- Giuseppe FRIGO Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicol򠠠 ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 5, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), in relazione al successivo comma 6, promosso dal Tribunale ordinario di Catania, nel procedimento penale a carico di N.G. ed altri, con ordinanza del 1° dicembre 2014, iscritta al n. 42 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 1° dicembre 2014 il Tribunale ordinario di Catania, in composizione monocratica, ha sollevato – in riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 5, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), in relazione al successivo comma 6 della medesima disposizione.

    Il rimettente è chiamato alla celebrazione di un giudizio per fatti asseritamente riconducibili al divieto di propaganda elettorale da parte delle pubbliche amministrazioni nell’ambito di elezioni amministrative.

    In particolare, è contestato a N.G., nella sua qualità di direttore generale di Azienda sanitaria, di essersi fatto promotore e organizzatore, in data 5 giugno 2008 – dunque nell’imminenza delle elezioni del Sindaco del Comune di Catania, del Presidente della Provincia e del Consiglio comunale, indette per i giorni 15 e 16 giugno 2008 – di due incontri nei locali del predetto plesso ospedaliero, finalizzati a consentire a tre candidati della medesima area politica di esporre ai partecipanti il proprio programma elettorale. N.G., nella veste di ufficiale rappresentante dell’ente, avrebbe messo a disposizione due sale e avrebbe poi convocato, in orario di lavoro, il personale dipendente della struttura sanitaria, affinché prendesse parte all’incontro. Ai tre candidati – N.F. (figlio di N.G.), S.R. e C.G. – è contestato il concorso nella condotta addebitata a N.G.

    In relazione a tali fatti si procede nel giudizio a quo per il delitto di cui all’art. 29, commi 5 e 6, della legge n. 81 del 1993: il comma 6 vieta a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attività di propaganda di qualsiasi genere, ancorché inerente alla loro attività istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l’inizio della campagna elettorale e per tutta la durata della stessa; il comma 5 stabilisce che chi contravviene al divieto di cui al citato comma 6 è punito con la multa da lire un milione a lire cinquanta milioni.

    In punto di rilevanza, il rimettente afferma che i fatti per i quali si procede sono sussumibili, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, nella fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 29, comma 6, della legge n. 81 del 1993, e che un accoglimento della questione prospettata determinerebbe l’assoluzione degli imputati per non essere più il fatto previsto dalla legge come reato.

    Nel merito, il Tribunale ordinario di Catania rileva che l’art. 29, comma 5, della legge n. 81 del 1993, nella parte in cui si applica alla fattispecie di cui al comma 6 della medesima disposizione, contrasterebbe con l’art. 3 Cost.

    Ricorda il rimettente che disposizione analoga a quella censurata era contenuta nell’art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica), il quale vietava a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attività di propaganda di qualsiasi genere, ancorché inerente alla loro attività istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l’inizio della campagna elettorale e per la durata della stessa, ad eccezione delle attività di comunicazione istituzionale indispensabili per l’efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche. Tale divieto non era però assistito da sanzione penale. Osserva ancora il giudice a quo che la successiva legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), all’art. 13, ha abrogato l’art. 5 della legge n. 515 del 1993, introducendo una nuova disciplina all’art. 9 della stessa legge n. 28 del 2000. La disposizione da ultimo ricordata stabilisce, al comma 1, che, dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni. Secondo il rimettente, il citato art. 9, comma 1, benché imponga un divieto sovrapponibile a quello della disposizione censurata, rappresenterebbe un precetto sprovvisto di sanzione, in quanto il successivo art. 10, rubricato «Provvedimenti e sanzioni», non ne indicherebbe alcuna applicabile in caso di violazione delle disposizioni contenute nell’art. 9.

    Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, il giudice a quo ritiene...

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