Sentenza nº 65 da Constitutional Court (Italy), 24 Marzo 2016

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione24 Marzo 2016
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 65

ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Paolo GROSSI Giudice

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 4, 6 e 10, e 46, commi 6 e 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, nonché dell’art. 42, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, promossi dalla Regione Veneto con ricorsi notificati il 18 agosto 2014 e il 9-14 gennaio 2015, rispettivamente depositati in cancelleria il 22 agosto 2014 ed il 16 gennaio 2015 ed iscritti al n. 63 del registro ricorsi 2014 ed al n. 10 del registro ricorsi 2015.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. − La Regione Veneto, con ricorso notificato il 18 agosto 2014 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e il 13 agosto 2014 presso l’Avvocatura generale dello Stato, poi depositato il 22 agosto 2014 (reg. ric. n. 63 del 2014), ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 8, commi 4, 6 e 10, e 46, commi 6 e 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.

    1.1.− L’art. 8 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, in particolare, è censurato nella parte in cui impone, al comma 4, una riduzione di spesa per acquisti di beni e di servizi, in ogni settore, alle pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), per un ammontare di 700 milioni di euro per il 2014 e di pari importo, in ragione d’anno, a decorrere dal 2015. Il comma 6 del medesimo art. 8 del d.l. n. 66 del 2014 rinvia alle modalità indicate nel successivo art. 46 per la determinazione degli obiettivi di riduzione di spesa e, al comma 10, consente l’adozione di misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori agli importi indicati.

    La ricorrente sottolinea che l’inciso «in ragione di anno», contenuto nel comma 4, deve intendersi nel senso che l’obiettivo fissato per il 2014 e riferito a otto mesi (considerata la data di entrata in vigore del d.l. n. 66 del 2014), deve essere rideterminato in aumento percentuale per gli anni successivi, raggiungendo un importo quasi doppio.

    L’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, richiamato dal comma 6 del citato art. 8, è impugnato, nella formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso, nella parte in cui, al comma 6, stabilisce che le Regioni «assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 500 milioni di euro per l’anno 2014 e di 750 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2017, in ambiti di spesa e per importi proposti in sede di autocoordinamento dalle regioni e province autonome medesime, tenendo anche conto del rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonché dell’incidenza degli acquisti centralizzati, da recepire con Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con riferimento all’anno 2014 ed entro il 31 ottobre 2014, con riferimento agli anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singoli regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche conto del Pil e della popolazione residente, e sono eventualmente rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato».

    L’art. 46, comma 7, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, è impugnato nella parte in cui prevede che il complesso delle spese finali, espresse in termini di competenza eurocompatibile di ciascuna Regione a statuto ordinario, di cui al comma 449-bis dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), è ridotto per ciascuno degli anni dal 2014 al 2017, tenendo conto degli importi determinati ai sensi del comma 6.

    La ricorrente censura il sistema così delineato, sotto diversi profili.

    In primo luogo, sostiene che il complesso delle citate disposizioni imporrebbe un taglio «meramente lineare» alle spese per acquisti di beni e servizi, in ogni settore e senza alcuna distinzione qualitativa, attraverso una misura dal carattere assolutamente generico, come tale idonea a ricomprendere sia la «spesa cattiva» sia la «spesa buona».

    La riduzione di spesa così imposta sarebbe potenzialmente idonea ad interferire in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e sociali (ad esempio, in materia di assistenza sociale, assegnata costituzionalmente alla Regione) – settori nei quali lo Stato dovrebbe invece svolgere la propria funzione di coordinamento attraverso la determinazione, uniforme su tutto il territorio nazionale, dei livelli essenziali delle prestazioni – anche a causa della mancata indicazione di parametri idonei a consentire una verifica della sostenibilità della riduzione, rispetto alla erogazione dei relativi servizi. In assenza, in particolare, di un riferimento a livelli standard di spesa efficiente, le disposizioni si applicherebbero alla totalità delle Regioni, senza alcuna considerazione dei livelli di spesa storica (e della relativa appropriatezza) sostenuti dai singoli enti.

    Secondo la ricorrente, inoltre, la previsione (art. 46, comma 6) in base alla quale la distribuzione della riduzione è rimessa ad un’intesa – per l’individuazione sia dell’importo che degli ambiti sui quali la riduzione incide – non varrebbe a superare tali censure, in quanto le disposizioni impugnate, più che un “coordinamento” della finanza pubblica, concretizzerebbero misure di “contenimento” prive, tuttavia, degli indispensabili elementi di razionalità, efficacia e sostenibilità, con conseguente violazione: del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, determinandosi una diretta ricaduta sull’autonomia organizzativa finanziaria regionale; dell’art. 117, terzo comma, Cost., essendo indebitamente travalicata la funzione di coordinamento della finanza pubblica; degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., essendo incisa l’autonomia di spesa della Regione e, dunque, la relativa funzione legislativa, da esercitare nel rispetto degli equilibri di un quadro finanziario che verrebbe, invece, illegittimamente alterato.

    Un secondo profilo di censura concerne la natura asseritamente permanente della riduzione di spesa, in quanto i risparmi contemplati dal comma 4 dell’art. 8 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, sono imposti anche per il futuro, annualmente, a decorrere dal 2015.

    Tale previsione si porrebbe in contrasto con i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, che ha censurato analoghe misure restrittive imposte senza termine finale, per violazione dell’art. 119 Cost. (sub specie di compressione dell’autonomia di spesa regionale) e dell’art. 117, terzo comma, Cost. (per esorbitanza rispetto alla fissazione di principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica).

    La ricorrente rileva, sul punto, anche un difetto di coordinamento tra il comma 4 del citato art. 8, che prevede il carattere permanente dei tagli, e il successivo art. 46 del medesimo d.l. n. 66 del 2014, come convertito, che, ai commi 6 e 7, fissa obiettivi di risparmio per gli enti territoriali solo fino al 2017. Non potrebbe infatti attribuirsi, essa sostiene, a queste ultime disposizioni, di carattere meramente esecutivo, «la forza di stabilire un termine all’applicabilità dello stesso comma 4 dell’art. 8».

    Un terzo profilo di censura colpisce in particolare la disciplina, dettata dal comma 6 dell’art. 46, relativa all’intesa da raggiungere in sede di autocoordinamento regionale, in ordine alla definizione del riparto degli importi e dei relativi ambiti di spesa.

    Dando atto che, per il 2014, tale intesa è stata raggiunta in data 29 maggio 2014, la ricorrente lamenta che, mentre tra i criteri da assumere in sede di autocoordinamento tra le Regioni vengono in considerazione i tempi di pagamento stabiliti dalla direttiva 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali - rifusione), e lincidenza degli acquisti centralizzati, in caso di mancato raggiungimento dellaccordo, invece, il riparto dei tagli e i relativi ambiti sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei...

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