Ordinanza nº 269 da Constitutional Court (Italy), 17 Dicembre 2015

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione17 Dicembre 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

ORDINANZA N. 269

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Giuseppe FRIGO Giudice

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248; degli artt. 2 e 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in combinato disposto con gli artt. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) − come sostituito dall’art. 16, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) − e 91-bis del medesimo d.P.R. n. 602 del 1973 e con l’art. l, comma l, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione); nonché dell’art. 362, comma 2, del codice di procedura civile, promossi dal Tribunale ordinario di Tivoli con due ordinanze del 19 dicembre 2013 e del 10 gennaio 2014, rispettivamente iscritte al n. 83 del registro ordinanze 2014 e al n. 55 del registro ordinanze 2015, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2014 e n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento di Equitalia Sud spa e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per Equitalia Sud spa e l’avvocato dello Stato Paola Maria Zerman per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che con due ordinanze di analogo tenore, rispettivamente depositate il 19 dicembre 2013 (r.o. n. 83 del 2014) ed il 10 gennaio 2014 (r.o. n. 55 del 2015), il Tribunale ordinario di Tivoli ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 26-quinquies, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248; degli artt. 2 e 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in combinato disposto con gli artt. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) − come sostituito dall’art. 16, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) − e 91-bis del medesimo d.P.R. n. 602 del 1973 e con l’art. l, comma l, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione); nonché dell’art. 362, comma 2, del codice di procedura civile;

che tutte le disposizioni sopra richiamate vengono censurate «nella parte in cui non disciplinano la giurisdizione del preavviso di fermo e nella parte in cui obbligano un soggetto che abbia ricevuto un preavviso di fermo per crediti di diversa natura a rivolgersi a diversi giudici », ponendosi in contrasto con gli artt. 11, 24, 111 e 117 della Costituzione, nonché con gli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché con gli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

che, in via subordinata, il Tribunale rimettente ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111 e 117 Cost., all’art. 6 della CEDU e agli artt. 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità costituzionale «dell’articolo 362 comma 2 e 3» del codice di procedura civile, nella parte in cui non consente ad ogni giudice, di qualsiasi ordine e grado, di richiedere un’interpretazione pregiudiziale vincolante alle sezioni unite della Corte di cassazione e, inoltre, nella parte in cui non prevede che i principi espressi dalle pronunce della Corte di cassazione a sezioni unite costituiscano precedente vincolante per tutte le successive decisioni degli uffici giudiziari della Repubblica;

che in entrambi i giudizi il Tribunale riferisce di essere chiamato a decidere in ordine alla domanda, avanzata nei confronti di Equitalia Sud spa, volta all’annullamento, ovvero all’accertamento della nullità o inefficacia, del fermo di un autoveicolo, in ragione del mancato pagamento di diverse cartelle esattoriali, alcune delle quali relative a crediti di natura tributaria, altre a crediti di diversa natura;

che il giudice a quo rileva che l’art. 35, comma 26-quinquies, del d.l. n. 223 del 2006 ha inserito nell’art. 19, comma 1, lettera e-ter, del d.lgs. n. 546 del 1992 − e quindi nell’elenco degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie − il fermo di beni mobili registrati, di cui all’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973;

che, sebbene tale intervento legislativo fosse destinato a risolvere la controversa questione del riparto di giurisdizione in ordine ai provvedimenti di fermo, sarebbe tuttavia rimasta incerta la titolarità della stessa giurisdizione allorché il fermo riguardi (o riguardi anche) obbligazioni extratributarie;

che, in ogni caso, osserva il Tribunale, alla luce dell’ordinanza della Corte di cassazione, sezioni unite, 5 giugno 2008, n. 14831, laddove il provvedimento concerna più crediti di diversa natura, il giudice è tenuto a disporre la separazione delle cause, trattenendo quella per la quale ha giurisdizione e rimettendo l’altra al giudice competente, ferma restando la possibilità per il debitore di proporre separate impugnazioni innanzi ai giudici diversamente competenti, in relazione alla natura dei crediti posti a base del provvedimento;

che, d’altra parte, sarebbe controversa la questione dell’autonoma impugnabilità dinanzi alle Commissione tributarie del preavviso di fermo, in quanto non ricompreso nell’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992;

che, a questo riguardo, il rimettente evidenzia l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, la quale, dopo alcune iniziali pronunce che hanno negato l’impugnabilità del preavviso, con l’ordinanza 11 maggio 2009, n. 10672, ne ha definitivamente riconosciuto l’autonoma impugnabilità, ravvisando nello stesso preavviso un atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge, ai sensi dell’art. 100 cod. proc. civ., l’interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva;

che il rimettente ritiene la questione non manifestamente infondata in riferimento ai parametri di cui agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto la necessità di proporre cause separate per l’impugnazione del medesimo atto finirebbe per raddoppiare gli oneri, non solo economici, a carico del contribuente e, quindi, per comprimere il diritto, costituzionalmente tutelato, di agire in giudizio;

che, inoltre, la non univoca formulazione letterale delle disposizioni censurate e le divergenze giurisprudenziali sopra riportate avrebbero...

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