Sentenza nº 231 da Constitutional Court (Italy), 11 Novembre 2015

RelatoreAldo Carosi
Data di Resoluzione11 Novembre 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 231

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Giuseppe FRIGO Giudice

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicol򠠠 ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106, promossi dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con ordinanza del 21 marzo 2014 e dalla Commissione tributaria provinciale di Nuoro con ordinanza dell’8 settembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 116 e 223 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29 e n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione di M.A.P. e di V.G., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato Giuseppe De Vergottini per M.A.P. e per V.G. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 21 marzo 2014 la Commissione tributaria provinciale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 3-bis e 4-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 – come modificato dall’art. 8, comma 9, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106.

    In particolare, l’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010, così come modificato nel 2011, prevede al comma 3-bis, tra l’altro, che i redditi conseguiti dal fondo comune di investimento immobiliare non partecipato esclusivamente dai soggetti istituzionali indicati dal precedente comma 3 e rilevati nei rendiconti di gestione siano imputati «per trasparenza» ai partecipanti non istituzionali che possiedano quote di partecipazione superiori al 5 per cento del patrimonio del fondo, in tale percentuale computandosi anche le partecipazioni detenute dai familiari indicati nell’art. 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), mentre, al comma 4-bis, dispone che i partecipanti non istituzionali che detenevano al 31 dicembre 2010 una quota superiore al 5 per cento determinata secondo i criteri di cui al comma 3-bis debbano corrispondere un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi pari al 5 per cento del valore medio della quota posseduta nel periodo d’imposta 2010 risultante nei prospetti periodici redatti in detto periodo.

    1.1.– Il rimettente riferisce di essere stato adito da un contribuente – titolare di quote di partecipazione in due fondi comuni di investimento immobiliare per un controvalore di euro 2.044.116,00 – che, dopo aver versato in ragione di ciò a titolo di imposta sostitutiva la somma di euro 102.205,00 ed averne vanamente chiesto il rimborso all’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale n. 1 di Torino, ha proposto ricorso avverso il diniego, deducendo, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010.

    Ad avviso del giudice a quo quest’ultima disposizione, insuscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata, contrasterebbe anzitutto con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto l’imposta sostitutiva sul valore medio della quota posseduta, stravolgendo il regime precedente in cui l’imposta era calcolata sul valore netto del fondo ed essendo applicabile retroattivamente sulle quote possedute nel periodo d’imposta 2010, violerebbe l’affidamento del risparmiatore nella stabilità dell’ordinamento giuridico e nella certezza dei rapporti. Secondo il rimettente, sebbene detto affidamento non sia tutelabile in merito alla spettanza di trattamenti agevolati, la cui attribuzione rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, legittimato a modificare la disciplina dei rapporti di durata anche in senso sfavorevole ai beneficiari, le modifiche apportate non potrebbero comunque trasmodare in un regolamento irragionevole di situazioni sostanziali fondate su disposizioni precedenti (quali l’art. 4 del d.l. n. 78 del 2010, che, a parità di esigenze giustificatrici dell’agevolazione, ancora nel periodo interessato dall’innovazione normativa contestata aumentava l’aliquota di prelievo, ma la applicava al valore netto del fondo). Ciò non sarebbe possibile nemmeno per contingenti esigenze finanziarie, che, per quanto rilevanti, non consentirebbero un intervento lesivo del principio del legittimo affidamento, desumibile altresì dagli artt. 53 e 97 Cost., anch’essi violati.

    In punto di rilevanza il giudice a quo evidenzia che, ove la disposizione censurata dovesse essere applicata in quanto esente da vizi di costituzionalità, il rimborso richiesto non sarebbe dovuto.

    1.2.– Il rimettente censura altresì l’art. 32, comma 3-bis, del d.l. n. 78 del 2010, quale risultante dalle modifiche apportate dal d.l. n. 70 del 2011.

    In particolare, la norma prescinderebbe dalla capacità contributiva, intesa quale idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione imposta, in quanto «commisura la tassazione del soggetto non già soltanto al suo patrimonio ma anche a quote di patrimonio altrui di cui non gode, non fruisce e che quindi non può essere considerato ai fini della sua capacità contributiva», violando l’art. 53 Cost. La finalità antielusiva che la norma perseguirebbe potrebbe considerarsi prevalente solo nel caso di familiari conviventi e sarebbe discriminatoria, collegando la tassazione ad un elemento del tutto casuale ed esentandone chi non abbia familiari titolari di quote partecipative oppure ne abbia, ma queste non determinino il superamento della soglia del 5 per cento.

    La questione sarebbe rilevante in quanto la...

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