Sentenza nº 221 da Constitutional Court (Italy), 05 Novembre 2015
Relatore | Giuliano Amato |
Data di Resoluzione | 05 Novembre 2015 |
Emittente | Constitutional Court (Italy) |
SENTENZA N. 221
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI
- Giorgio LATTANZI
- Aldo CAROSI
- Marta CARTABIA
- Mario Rosario MORELLI
- Giancarlo CORAGGIO
- Giuliano AMATO
- Silvana SCIARRA
- Daria de PRETIS
- Nicolò ZANON
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dellart. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), promosso dal Tribunale ordinario di Trento, nel procedimento vertente tra D.B. e Pubblico ministero presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Trento, con ordinanza del 20 agosto 2014, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dellanno 2014.
Visti latto di costituzione di D.B., nonché gli atti di intervento dellAssociazione Radicale Certi Diritti e dellAssociazione ONIG ‒ Osservatorio Nazionale sullIdentità di Genere, ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nelludienza pubblica del 20 ottobre 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per D.B., Potito Flagella per lAssociazione ONIG ‒ Osservatorio Nazionale sullIdentità di Genere, ed altri, e lavvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
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− Con ordinanza del 20 agosto 2014, il Tribunale ordinario di Trento ha sollevato in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117, primo comma, della Costituzione, questultimo in relazione allart. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti delluomo e delle libertà fondamentali (dora in avanti, «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 − questione di legittimità costituzionale dellart. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso).
Tale disposizione prevede che «La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nellatto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali».
Ad avviso del giudice rimettente, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., in relazione allart. 8 della CEDU, poiché la previsione della necessità, ai fini della rettificazione anagrafica dellattribuzione di sesso, dellintervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari attraverso trattamenti clinici altamente invasivi pregiudicherebbe gravemente lesercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere.
Viene, inoltre, denunciato il contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., per lirragionevolezza insita nella subordinazione dellesercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto allidentità sessuale, al requisito della sottoposizione della persona a trattamenti sanitari (chirurgici o ormonali), estremamente invasivi e pericolosi per la salute.
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− Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere in ordine alla domanda di rettificazione anagrafica dellattribuzione di sesso, avanzata da una persona non sposata e senza figli, intenzionata ad ottenere il riconoscimento di una nuova identità maschile.
Il Tribunale rimettente, chiamato a fare applicazione dellart. 1 della legge n. 164 del 1982, esclude la possibilità di interpretare la disposizione in esame nel senso di ritenere ammissibile la rettificazione dellattribuzione di sesso, anche in assenza della modificazione dei caratteri sessuali primari.
2.1.− In particolare, il giudice a quo osserva che lart. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dellarticolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), prevedendo che «Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato», sembrerebbe consentire che il trattamento medico-chirurgico sia solo eventuale (come lascerebbe intendere lavverbio quando).
Il rimettente ritiene, tuttavia, che la previsione di tale eventualità non significhi che la rettificazione di attribuzione di sesso possa essere ottenuta a prescindere dalladeguamento dei caratteri sessuali primari, bensì soltanto che possano esservi casi concreti nei quali gli stessi siano già modificati (ad esempio, per un intervento già praticato allestero, ovvero per ragioni congenite).
Nel caso oggetto del giudizio a quo, il Tribunale dovrebbe rigettare la domanda di rettificazione, non essendo soddisfatto il requisito in questione. Di qui, la rilevanza della questione di costituzionalità dellart. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982, nella parte in cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso allintervenuta modificazione dei caratteri sessuali primari.
2.2.− Il Tribunale ritiene la questione non manifestamente infondata, in riferimento alla violazione dei parametri di cui agli artt. 2, 3, 32 e 117, primo comma, Cost., in relazione allart. 8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare).
Quanto alla denunciata violazione degli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., il giudice a quo osserva che limposizione di un determinato trattamento medico, sia esso ormonale, ovvero di riassegnazione chirurgica dei caratteri sessuali, costituirebbe una grave ed inammissibile limitazione del diritto allidentità di genere. Ad avviso del rimettente, il raggiungimento dello stato di benessere psico-fisico della persona si realizza attraverso la rettificazione di attribuzione di sesso, e non già con la riassegnazione chirurgica sul piano anatomico (dalla persona non sempre voluta, come accade per la parte attrice nel giudizio a quo).
Vengono richiamate le sentenze della Corte europea dei diritti delluomo che hanno riconosciuto che il diritto allidentità di genere rientra a pieno titolo nella tutela prevista dallart. 8 della CEDU, che sancisce il rispetto della vita privata e familiare. Si sottolinea, a questo riguardo, che la contrarietà di una norma interna alla CEDU si risolve in una questione di legittimità costituzionale, in riferimento alla violazione dellart. 117, primo comma, Cost.
Con specifico riferimento alla violazione dellart. 2 Cost., il giudice a quo evidenzia che la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto nellalveo dei diritti inviolabili sia «il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità», che gli altri membri della collettività sono tenuti a riconoscere «per dovere di solidarietà sociale» (sentenza n. 161 del 1985); sia il diritto alla libertà sessuale, poiché, «Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto» (sentenza n. 561 del 1987).
La disposizione censurata, pur riconoscendo il diritto della persona di scegliere la propria identità sessuale, ne subordina lesercizio alla modificazione dei propri caratteri sessuali primari da realizzare tramite un doloroso e pericoloso intervento chirurgico. Ciò pregiudicherebbe in modo irreparabile lesercizio del diritto stesso, finendo con il vanificarlo.
Di qui, linsanabile contrasto tra il diritto individuale allidentità sessuale (e la relativa autodeterminazione) e limposizione del requisito della modifica dei caratteri sessuali primari, ai fini della rettificazione dellattribuzione di sesso.
2.2.1.− Con riferimento alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost., il Tribunale rimettente rileva lirragionevolezza della previsione della previa modifica chirurgica dei caratteri sessuali primari.
Il giudice a quo ritiene che tale modificazione non sia sempre necessaria e che, anzi, alla luce dei diritti coinvolti, la persona debba avere il diritto di rifiutarla. Non vi sarebbe quindi ragionevolezza, né logicità, nel condizionare il riconoscimento del diritto della personalità in esame ad un incommensurabile prezzo per la salute della persona.
Una volta riconosciuto che il diritto alla rettificazione dellattribuzione di sesso costituisce oggetto di un diritto della personalità, non sarebbe consentito al legislatore subordinarlo a restrizioni tali da pregiudicarne gravemente lesercizio, fino a vanificarlo.
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