Sentenza nº 184 da Constitutional Court (Italy), 23 Luglio 2015

RelatoreGiorgio Lattanzi
Data di Resoluzione23 Luglio 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 184

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Giuseppe FRIGO Giudice

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2-bis e 2-quater, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), aggiunti dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, promossi dalla Corte d’appello di Firenze, con ordinanza del 1° aprile 2014, e dalla Corte d’appello di Catanzaro, con ordinanza del 10 marzo 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 180 e 248 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2014 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 luglio 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 1° aprile 2014 (r.o. n. 180 del 2014), la Corte d’appello di Firenze ha proposto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2-bis e 2-quater, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), in riferimento agli artt. 3, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

    Il rimettente premette di dover decidere un ricorso, depositato nel 2013, con cui talune persone hanno proposto opposizione contro un decreto che ha rigettato una domanda di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001. La domanda si riferiva alla dedotta inosservanza del termine ragionevole di conclusione di un processo penale nei confronti dei ricorrenti, che era stato definito con sentenza della Corte di cassazione del 28 gennaio 2013.

    Il giudice a quo osserva che la decisione di rigetto è stata assunta in applicazione delle disposizioni censurate, introdotte dall’art. 55, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134.

    In particolare, la complessiva durata del processo è stata determinata in otto anni e sei mesi, escludendo dal calcolo la fase delle indagini preliminari di «oltre sei anni e mezzo», in applicazione dell’art. 2, comma 2-bis, della legge impugnata, in base al quale il «processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari».

    È stato altresì escluso il periodo, di un anno e due mesi circa, di sospensione del processo di primo grado dovuta alla proposizione di una questione di legittimità costituzionale, in applicazione dell’art. 2, comma 2-quater, impugnato, il quale stabilisce che «Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso».

    Il rimettente, dopo avere motivatamente respinto le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato, e dopo avere escluso, come sollecitavano i ricorrenti, di poter disapplicare le disposizioni censurate in forza dell’adesione dell’Unione europea alla CEDU, osserva che l’art. 6 della CEDU, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, imporrebbe di calcolare la fase delle indagini preliminari, ai fini dell’osservanza dei termini di ragionevole durata del processo penale. Quest’ultimo dovrebbe considerarsi iniziato, a tal fine, con il compimento di atti che comportino la partecipazione dell’indagato o del suo difensore al procedimento. La Corte d’appello aggiunge che, nel caso di specie, taluni ricorrenti hanno ricevuto l’informazione di garanzia il 15 febbraio 1994, mentre altri sono stati soggetti a custodia cautelare fin dal 5 novembre 1994.

    Escludendo dal computo il tempo che ha preceduto il momento in cui gli imputati hanno avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU. La conseguente questione di costituzionalità sarebbe rilevante, in ragione dell’applicabilità della norma impugnata, e comunque tenuto conto della «rilevanza concreta della durata delle indagini preliminari (oltre sei anni e mezzo) nella complessiva durata del procedimento» penale.

    Quanto alla sospensione del processo di primo grado dal 28 gennaio 2006 al 21 marzo 2007, il rimettente ribadisce la rilevanza delle questioni di costituzionalità che investono l’art. 2, comma 2-quater, della legge n. 89 del 2001, in quanto norma applicabile, e «anche per la rilevanza concreta della durata della sospensione» nella «complessiva durata del procedimento di primo grado».

    La disposizione violerebbe gli artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU, nonché il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), perché escluderebbe dal calcolo del termine di ragionevole durata del processo i periodi di sospensione, «senza distinguere se i motivi della sospensione siano o meno riconducibili alle parti ricorrenti per l’equa riparazione». Tra le cause di sospensione non riconducibili alle parti vi sarebbe la proposizione della questione di legittimità costituzionale che, «seppure fosse stata sollecitata dalle parti ricorrenti è comunque ovviamente un provvedimento giurisdizionale del giudice a quo».

    Posto che questi dubbi di costituzionalità non sono risolvibili in via interpretativa, il rimettente ha sollevato le odierne questioni di legittimità costituzionale.

  2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione relativa all’art. 2, comma 2-quater (recte: comma 2-bis), impugnato, sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata, e che altrettanto non fondata sia reputata la questione relativa all’art. 2, comma 2-quater.

    L’Avvocatura generale dello Stato dà atto che in base alla giurisprudenza europea il termine di ragionevole durata del processo penale decorre da quando è formulata un’«accusa» nei confronti dell’indagato, e, «potenzialmente, quindi, anche prima dell’assunzione da parte del medesimo della qualità di imputato o prima della legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari».

    Tuttavia, l’art. 2, comma 2-bis, impugnato, avrebbe appunto la funzione di stabilire «un momento tipico cui riconnettere l’individuazione del dies a quo ai...

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