Sentenza nº 150 da Constitutional Court (Italy), 14 Luglio 2015

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione14 Luglio 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 150

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Marta CARTABIA Presidente

- Giuseppe FRIGO Giudice

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 224, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra P. E. ed altri e il Ministero della giustizia con ordinanza del 20 gennaio 2014, iscritta al n. 64 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di P. E. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 maggio 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Ferdinando Emilio Abbate per P. E. ed altri e l’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe per Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza, depositata il 20 gennaio 2014, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 224, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), per violazione dell’art.117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

    1.1.– La Corte rimettente premette che, con sentenza depositata il 16 dicembre 2009, la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Viterbo, aveva accolto le opposizioni proposte dal Ministero della giustizia avverso i decreti ingiuntivi emessi in favore di alcuni dipendenti dello stesso Ministero, ritenendone infondata la pretesa diretta ad ottenere il compenso previsto dall’ art. 5, terzo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260 (Disposizioni in materia di ricorrenze festive), relativo alle festività coincidenti con la domenica. La Corte di cassazione precisa che la Corte d’appello aveva escluso il riconoscimento del compenso di cui al citato art. 5, terzo comma, della legge n. 260 del 1949 ed aveva riformato la sentenza di primo grado, sulla base del rilievo che l’art. 1, comma 224, della legge n. 266 del 2005, norma di natura interpretativa o comunque dotata di efficacia retroattiva, aveva elencato il suddetto art. 5 fra le disposizioni inapplicabili al lavoro pubblico ai sensi dell’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), una volta stipulati i contratti collettivi nazionali di lavoro per il quadriennio 1998-2001.

    La Corte rimettente precisa, pertanto, di essere stata adita con ricorso proposto dai dipendenti del Ministero avverso la sentenza d’appello e ricorda che, fra l’altro, i ricorrenti avevano chiesto anche di sollevare questione di legittimità costituzionale del comma 224 dell’art. 1 in esame, ritenendo che la retroattività della citata norma, che si applica a fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, «salva l’esecuzione dei giudicati», formatisi fino alla data dell’entrata in vigore della medesima norma, violasse il divieto di ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, influisse sulla definizione delle controversie giudiziarie in corso (art. 117, primo comma, Cost. e art. 6 della CEDU), ledesse l’autonomia e l’indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.) ed il principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

    1.2.– Ciò premesso, la Corte di cassazione, in linea preliminare, ritiene non sia possibile adottare un’interpretazione della disposizione censurata, che fa espressamente «salva l’esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge» (art. 1, comma 224, ultimo periodo), conforme alla CEDU. Né ritiene di poter accogliere la tesi della disapplicazione da parte del giudice comune di norme contrastanti con l’art. 6 della CEDU (ma anche con gli artt. 47, secondo comma, e 52, terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), alla luce della costante giurisprudenza costituzionale e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Pertanto, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 224, della legge n. 266 del 2005, nella parte in cui, applicandosi anche ai processi pendenti, sarebbe intervenuto a determinare la modifica dell’esito di un giudizio in corso – nel quale si era riconosciuto il diritto dei dipendenti pubblici ad un compenso aggiuntivo in caso di coincidenza delle festività con la domenica – a favore dell’amministrazione statale, parte in giudizio. E ciò senza che sussistessero gli “impellenti motivi di interesse generale” prescritti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in riferimento all’art. 6 della CEDU, per giustificare la deroga al principio di irretroattività della legge. Non sarebbero, infatti, riconducibili ai predetti motivi né le finalità di “razionalizzare” ed “omogeneizzare” il trattamento dei pubblici impiegati indicate dal Ministero, né le generiche esigenze di compressione della spesa pubblica connesse all’equilibrio del bilancio dello Stato.

    Detta norma, pertanto, risulterebbe lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quest’ultima ha, infatti, ripetutamente affermato che, nonostante non sia precluso al legislatore intervenire, mediante nuove disposizioni retroattive, a disciplinare diritti derivanti da leggi in vigore, i principi della preminenza del diritto e del processo equo di cui all’art. 6 della CEDU impediscono, tranne che per motivi di interesse generale non riconducibili a mere esigenze finanziarie, l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di...

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