Sentenza nº 127 da Constitutional Court (Italy), 01 Luglio 2015

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione01 Luglio 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 127

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

- Giuseppe FRIGO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, nel procedimento vertente tra D.D.B. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 6 agosto 2013, iscritta al n. 259 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 maggio 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi l’avvocato Luigi Caliulo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, con ordinanza depositata il 6 agosto 2013 ed iscritta al n. 259 del registro ordinanze 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, commi 6, 7 e 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prospettando la violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

    Il giudice rimettente afferma di dover decidere sulla domanda, proposta da D.D.B. con ricorso del 7 febbraio 2007 e volta ad ottenere l’indennità integrativa speciale ai sensi dell’art. 10, comma 4, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79.

    Il ricorrente ha dedotto di essere un ferroviere, collocato in quiescenza per dimissioni volontarie il 19 luglio 1983, prima di avere raggiunto l’età massima pensionabile. Egli ha rivendicato il diritto all’indennità integrativa speciale per l’intero importo, secondo quanto previsto dal citato art. 10, comma 4, al momento del collocamento a riposo d’ufficio, avvenuto il 18 dicembre 1997.

    Alla richiesta, formulata dal ricorrente il 27 maggio 2005, l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha opposto un diniego, motivato dall’inapplicabilità della norma invocata. L’indennità integrativa speciale, a dire dell’INPS, avrebbe perso la consistenza di elemento autonomo del trattamento pensionistico.

    Il ricorrente ha impugnato tale diniego, incardinando il giudizio dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana.

    L’INPS si è costituito nel giudizio principale e ha concluso per il rigetto delle pretese del ricorrente, sulla scorta delle disposizioni oggi censurate ed intervenute in pendenza della lite: «6. L’articolo 10, quarto comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1983, n. 79, si intende abrogato implicitamente dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’articolo 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730. 7. L’articolo 21, ottavo comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che le percentuali di incremento dell’indennità integrativa speciale ivi previste vanno corrisposte nell’aliquota massima, calcolata sulla quota dell’indennità medesima effettivamente spettante in proporzione all’anzianità conseguita alla data di cessazione dal servizio. 8. L’articolo 21, nono comma, della legge 27 dicembre 1983, n. 730, si interpreta nel senso che è fatta salva la disciplina prevista per l’attribuzione, all’atto della cessazione dal servizio, dell’indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, ivi compresa la normativa stabilita dall’articolo 10 del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1933, n. 79, ad eccezione del comma quarto del predetto articolo 10 del decreto-legge n. 17 del 1983».

    Il giudice a quo ritiene di dover dare applicazione alla normativa sopravvenuta, che conduce all’inevitabile rigetto delle pretese del ricorrente, incentrate sull’art. 10, quarto comma, del d.l. n. 17 del 1983, e solleva d’ufficio la questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU.

    Il giudice rimettente, in punto di non manifesta infondatezza della questione, evidenzia che la normativa sopravvenuta si configura come «abrogazione legislativa sostanziale, con effetti retroattivi, mascherata da norma interpretativa» e segnala una stridente contraddizione tra l’art. 21 della legge 27 dicembre 1983, n. 730 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1984), che salvaguarda l’applicazione dell’art. 10 del d.l. n. 17 del 1983, senza eccettuare il quarto comma, e l’art. 18, comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, che, di contro, sancisce l’abrogazione implicita del citato quarto comma a decorrere dall’entrata in vigore dell’art. 21 della legge n. 730 del 1983.

    Il giudice a quo stigmatizza un «eccesso di potere legislativo» e denuncia il contrasto della norma interpretativa, contraddistinta da una «palese irragionevolezza», con il principio di legittimo affidamento, che trova tutela nella Costituzione sotto l’egida degli artt. 2 e 3.

    Il principio di affidamento, invero, sarebbe l’estrinsecazione, per un verso, del generale precetto di buona fede, che ha un fondamento costituzionale nei doveri di solidarietà consacrati dall’art. 2 Cost., e, per altro verso, dei princípi di eguaglianza e di ragionevolezza, presidiati dall’art. 3 Cost.

    Il giudice rimettente soggiunge che la normativa sopravvenuta non solo non esplicita una variante di senso dell’originaria disposizione, ma contraddice l’interpretazione avvalorata in precedenza dal legislatore, con l’art. 21 della legge n. 730 del 1983 e con la salvezza, allora disposta, di tutte le previsioni – nessuna esclusa – dell’art. 10, del d.l. n. 17 del 1983.

    Poste tali premesse, il giudice a quo ravvisa una violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sulla base dell’art. 6 della CEDU, che assurge a parametro interposto, nell’interpretazione enunciata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

    Dalla norma convenzionale – argomenta il giudice contabile – discende l’illegittimità di ogni innovazione legislativa retroattiva, che alteri le condizioni di parità processuale delle parti e si traduca in un’ingerenza del potere legislativo nel funzionamento del potere giudiziario, diretta ad influenzare la decisione della lite.

  2. – Nel giudizio è intervenuto l’INPS e ha insistito per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

    ...

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