Sentenza nº 109 da Constitutional Court (Italy), 15 Giugno 2015

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione15 Giugno 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 109

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

- Giuseppe FRIGO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 666, 667, comma 4, e 676 del codice di procedura penale, promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento relativo al ricorso proposto da C.W.S. nella qualità di legale rappresentante del “J.P. Getty Trust”, con ordinanza del 10 giugno 2014, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di C.W.S. nella qualità di legale rappresentante del “J.P. Getty Trust”, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Massimo Luciani e Alfredo Gaito per C.W.S. nella qualità di legale rappresentante del “J.P. Getty Trust” e l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 10 giugno 2014, la Corte di cassazione, terza sezione penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 666, 667, comma 4, e 676 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non consentono che la parte possa richiedere al giudice dell’esecuzione lo svolgimento dell’udienza in forma pubblica».

    La Corte rimettente premette che il procedimento a quo trae origine dal rinvenimento sui fondali marini, avvenuto nell’estate del 1964 ad opera di alcuni pescatori del porto di Fano, di una statua in bronzo, denominata «L’atleta vittorioso», attribuibile allo scultore greco Lisippo: statua che, senza essere denunciata alle autorità competenti, era stata trasferita all’estero in epoca anteriore al 1972 e che risulta attualmente collocata presso un museo degli Stati Uniti d’America.

    Di seguito ad una complessa vicenda, il Pretore di Gubbio aveva disposto, con provvedimento del 25 novembre 1978, il non luogo a procedere in ordine al reato di illecita esportazione di beni culturali (art. 66 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, recante «Tutela delle cose d’interesse artistico e storico») per essere rimasti ignoti gli autori del reato.

    Nel 2007, sulla base di nuove informazioni, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Pesaro aveva peraltro avviato, nei confronti di cinque persone, un nuovo procedimento penale per il predetto reato (attualmente previsto dall’art. 174 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137») e per altri reati connessi.

    Con decreto del 19 novembre 2007, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro aveva disposto l’archiviazione del procedimento, per essere tutti i reati estinti per prescrizione, rigettando, altresì, la richiesta del pubblico ministero di confisca della statua, in quanto i responsabili del museo statunitense, suoi attuali possessori, dovevano considerarsi estranei al reato.

    Contro quest’ultima decisione il pubblico ministero aveva proposto incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 666, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., a seguito del quale il Giudice per le indagini preliminari – integrato il contraddittorio tra le parti interessate – aveva ordinato, con provvedimento del 10 febbraio 2010, la confisca della statua «ovunque essa si trovi».

    Il provvedimento era stato impugnato dal legale rappresentante del Trust statunitense acquirente della statua e suo attuale possessore con ricorso innanzi alla Corte di cassazione, la quale aveva qualificato l’impugnazione come opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., disponendone la trasmissione al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pesaro.

    Quest’ultimo, con ordinanza del 3 maggio 2012, aveva respinto la richiesta di revoca della confisca, rilevando, in particolare: che la confisca dei beni culturali abusivamente esportati era prevista dall’art. 66 della legge n. 1089 del 1939, con rinvio alla disciplina in tema di contrabbando; che, con la sentenza n. 2 del 1987, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui consentiva la confisca di cose appartenenti ad un terzo che non sia l’autore del reato e che non ne abbia tratto in alcun modo profitto; che la legge 30 marzo 1998, n. 88 (Norme sulla circolazione dei beni culturali) aveva quindi stabilito che la confisca delle cose avesse luogo «salvo che queste appartengano a persona estranea al reato», regola successivamente riprodotta nell’art. 123, comma 3, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352) e, infine, nell’art. 174, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004; che, alla luce della richiamata normativa sul contrabbando, la confisca doveva essere disposta, oltre che nel caso di condanna, anche nelle ipotesi di proscioglimento che non escludano la materialità dei fatti e, segnatamente, nel caso di estinzione del reato per prescrizione; che quando il provvedimento del giudice della cognizione non abbia accertato – come nella specie – l’insussistenza del fatto o l’estraneità del terzo al reato, il giudice dell’esecuzione conservava poteri di accertamento in ordine agli elementi di fatto rilevanti ai fini della decisione sulla confisca; che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 127 del d.lgs. n. 490 del 1999 (e ora dall’art. 178 del d.lgs. n. 42 del 2004), aveva interpretato in senso restrittivo il concetto di appartenenza della cosa ad un «terzo estraneo al reato», affermando che i privati non possono divenire proprietari di beni «intrinsecamente non commerciabili» – quale il bene archeologico oggetto del procedimento a quo, appartenente per legge al patrimonio indisponibile dello Stato ai sensi dell’art. 826 del codice civile – neppure nel caso di acquisto in «buona fede»; che, in ogni caso, doveva escludersi che i titolari del museo statunitense fossero in buona fede al momento dell’acquisto della statua, tenuto conto delle circostanze e delle modalità con cui l’acquisto stesso era avvenuto.

    Contro la decisione aveva proposto ricorso per cassazione il legale rappresentante del Trust sulla base di un articolato complesso di...

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