N. 102 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 2008

LA CORTE DI APPELLO All'udienza del 21 ottobre 2008 ha pronunziato la presente ordinanza nella causa in grado di appello iscritta al n. 4589 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2006 vertente tra Giuseppe Grieco, elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie n. 37 presso lo studio dell'avv. L. Zezza e S. Galleano che lo rappresentano e difendono per delega in atti, appellante e Poste Italiane S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma viale Mazzini n. 134 e rappresentato e difeso dall'avv. L. Fiorillo per procura in atti, appellato.

La Corte, letti gli atti e le note depositate ed esaminata la documentazione allegata, osserva quanto segue:

l'odierno appellante ha chiesto la riforma della sentenza impugnata con la quale e' stata respinta la sua domanda tesa ad ottenere l'accertamento della nullita' del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con la societa' appellata per ragioni di carattere sostitutivo di personale assente con diritto alla conservazione del posto.

Con il gravame ha reiterato tutte le ragioni poste a fondamento del ricorso introduttivo del giudizio rilevando che la sentenza impugnata ha motivato il rigetto con argomentazioni non pertinenti rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio (la specifica clausola contrattuale apposta al contratto) e dunque con affermazioni che sul piano probatorio non sono conferenti.

Premesso, quindi, che le ragioni di doglianza formulate attengono al mancato esame da parte della sentenza impugnata delle specifiche ragioni poste a fondamento della domanda, l'appellante pone in evidenza che nel sistema del decreto legislativo 6 settembre 2001 n.

368 le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo devono rispondere ad una esigenza 'speciale' del datore di lavoro (art. 1, comma 1) e l'apposizione del termine deve risultare da atto scritto e motivato (art. 1, comma 2).

Nel caso in cui le ragioni non siano specifiche ovvero manchi il collegamento causale con l'assunzione, e l'onere probatorio della sussistenza dei detti requisiti non sia compiutamente assolto dalla parte datoriale su cui grava, il termine sarebbe nullo e, essendo venuta meno la clausola limitativa della durata, il contratto sarebbe a tempo indeterminato, posto che la sanzione dell'inefficacia della clausola e' prevista proprio dal comma 2 dell'art. 1 della legge citata.

Pertanto, ha concluso per la declaratoria dell'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 4 ottobre 2003; per l'inefficacia, annullabilita' o nullita' del recesso con ordine di reintegrazione e condanna al risarcimento del danno in misura non inferiore a cinque mensilita'. In alternativa o in subordine ha chiesto il ripristino del rapporto e la condanna alla corresponsione delle retribuzioni mensili maturate, anche a titolo risarcitorio, fino all'effettiva reintegrazione.

Poste Italiane S.p.A. si e' costituita ed ha rilevato che deve essere esclusa la necessita' che il contratto sia sorretto da esigenze eccezionali e strettamente temporanee; che sia sufficiente che sussistano oggettivamente ragioni di tipo organizzativo, tecnico, produttivo o, appunto, come nel caso dedotto in giudizio, sostitutivo; che tali ragioni devono essere reali e dunque verificabili di tal che al lavoratore sia consentito di escluderne un utilizzo abusivo. Dopo aver dedotto che tutte queste condizioni erano state rispettate nel caso in esame, ha escluso di essere rimasta inadempiente all'obbligo di specificare per iscritto le ragioni sostitutive, ed ha precisato di avere, comunque, chiesto di poter procedere all'istruttoria testimoniale sul punto. Quanto alle conseguenze della declaratoria di illegittimita', l'appellata sostiene che la sanzione non potrebbe essere quella, prospettata, della convertibilita' del rapporto mancando, in tal senso, una previsione di legge. Ne' sarebbe, nella prospettazione difensiva della societa', applicabile al caso in esame il disposto dell'art.

1419 c.c. e cio' perche' : 1) il termine apposto aveva natura essenziale; 2) diversamente, la societa' non avrebbe concluso il contratto; 3) la relativa clausola era stata espressamente sottoscritta dal lavoratore.

Quanto alle conseguenze economiche, ad avviso dell'appellata, le retribuzioni sarebbero, in ipotesi, dovute solo dalla effettiva ripresa del servizio o, al piu', dalla messa in mora da parte del lavoratore mediante offerta della propria prestazione lavorativa, nella specie realizzatasi solo con la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio.

Nel corso di questo giudizio di gravame e' entrato in vigore l'art. 21 del d.l. n. 112/2008, come convertito in legge n. 133/2008, che ha introdotto nel decreto legislativo n. 368/2001 l'art. 4-bis che titola: 'Disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine' e dispone che '1. Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro e' tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni'.

Tutto cio' premesso in fatto, la Corte rileva che l'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, che regola pacificamente la fattispecie oggi in esame, trattandosi di contratto stipulato il 3 ottobre 2003 (v. doc.

1 in atti Grieco), nel testo ratione temporis applicabile, prescrive al primo comma (oggi art. 1 n. 1 per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247) che E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Al secondo comma (oggi n. 2) poi prevede che L'apposizione del termine e' priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di' cui al comma 1. Per semplicita' espositiva si continuera' a fare riferimento nella motivazione all'articolazione in commi vigente all'atto della stipula del contratto e come citata dalle parti nelle loro difese.

Questa Corte si e' gia' occupata della legittimita' dell'apposizione del termine in fattispecie analoghe e degli effetti conseguenti ed ha ritenuto che il legislatore, nel recepire la direttiva 1999/70/CE e ridisegnare la disciplina del lavoro a tempo determinato, ha introdotto una clausola molto ampia di legittimazione del contratto a termine, che per la sua generalita' viene a superare l'impostazione della normativa antecedente in vigenza della quale le assunzioni a termine erano vietate salvo che in ipotesi tassative.

Tuttavia, con la previsione contenuta nel richiamato comma 2 della medesima norma, il legislatore...

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