n. 69 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 gennaio 2014 -

IL TRIBUNALE Visto il ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, iscritto al RG 43568/2013, proposto dai coniugi nei confronti della Azienda USL Roma A e del Centro per la tutela della salute della donna e del bambino S. Anna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;

Rilevato che si e' costituita l'azienda resistente chiedendo il rigetto della domanda;

Visto l'atto di intervento ad adiuvandum della associazione «Luca Coscioni, per la liberta' di ricerca scientifica»;

dell'associazione «Amica Cicogna Onlus», dell'associazione «Cerco un Bimbo», dell'associazione «L'altra Cicogna»;

Sentite le parti e lette le note autorizzate depositate;

A scioglimento della riserva assunta alla udienza del 6 novembre 2013, osserva quanto segue;

Premesso in fatto I ricorrenti hanno esposto che: la moglie e' portatrice sana di distrofia muscolare Becker, malattia genetica ereditata dal padre;

il rischio di trasmettere la mutazione genetica al figlio e' del 50%, come certificato dal dipartimento di genetica dell'Universita' di Roma Tor Vergata all'esito di una consulenza richiesta dai coniugi;

nell'agosto del 2012 la coppia scopriva di aspettare un figlio, ma, all'esito dell'esame dei villi coriali, il feto, di sesso maschile, risultava affetto da distrofia muscolare Becker;

a causa della angoscia seguita alla notizia, la signora procedeva alla interruzione medica di gravidanza («I.M.G.»). Visti gli esiti negativi della prima spontanea gravidanza, i coniugi, nel desiderio di avere un figlio e al fine di escludere la trasmissione della patologia al feto e un aborto terapeutico, si rivolgevano al Centro tutela della salute della donna e del bambino S. Anna per poter accedere a un trattamento di procreazione medicalmente assistita («P.M.A.») e, nell'ambito di questa, alla diagnosi genetica preimpianto («P.G.D.») in modo da ottenere informazioni sullo stato di salute dell'embrione prima del suo impianto in utero. Con comunicazione del 28 gennaio 2013, il dirigente responsabile del Centro opponeva un rifiuto fondato sul fatto che la coppia, non risultando affetta da sterilita' o infertilita', non poteva accedere al trattamento ai sensi della legge 19 febbraio 2004, n. 40 «norme in materia di procreazione medicalmente assistita». I ricorrenti hanno evidenziato in diritto che: l'interpretazione costituzionalmente orientata della legge 19 febbraio 2004, n. 40, consente anche alla coppia fertile;

portatrice di patologia genetica, di accedere alla «P.M.A.» per poter eseguire indagini cliniche diagnostiche sull'embrione;

la Corte EDU, il 28 agosto 2012, nel caso Costa e Pavan c. Italia, con decisione diventata definitiva in data 11 febbraio 2013, ha accertato che lo Stato italiano nella parte in cui consente l'accesso alla «P.M.A.», unicamente alle coppie sterili o infertili (o in cui l'uomo e' portatore di malattie virali trasmissibili, come da linee guida del Ministero della salute dell'11 aprile 2008, n. 31639) ha violato gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU) ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

ha altresi' denunciato l'incoerenza del sistema normativo italiano che, da una parte, vieta l'impianto dei soli embrioni non affetti dalla malattia e, dall'altro, consente alla donna di interrompere la gravidanza quando venga accertato che il feto e' affetto dalla medesima patologia, con sproporzione dell'ingerenza del diritto nazionale rispetto alla vita privata dei ricorrenti. Tanto premesso i ricorrenti chiedevano di ordinare, in via d'urgenza, al Centro e all'amministrazione resistente di consentire l'accesso della coppia alle procedure di procreazione medicalmente assistita, con diagnosi genetica preimpianto, adottando ogni provvedimento ritenuto opportuno in relazione al caso in esame, sul presupposto della disapplicazione dell'art. 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto con gli articoli 8 e 14 della CEDU, in forza dell'art. 6/2 del Trattato di Lisbona e della integrazione del sistema CEDU nell'ordinamento comunitario;

in via subordinata, chiedevano di sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, per contrasto con gli articoli 11 e 117 Cost. e per violazione degli articoli 2, 3, 13, 32 Cost., limitatamente alle parole «sterilita' o infertilita'». Si costituiva in giudizio la Azienda USL RM A la quale eccepiva che, in assenza di una modifica della legge 19 febbraio 2004, n. 40, che vietava l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, la domanda non poteva essere accolta;

che comunque la medesima legge, consentendo esclusivamente interventi sull'embrione aventi finalita' diagnostiche e terapeutiche, non consentiva la diagnosi preimpianto con finalita' selettiva;

che infine il servizio di diagnosi genetica preimpianto non era garantito dal Servizio sanitario nazionale, ne' vi era la possibilita' di assistenza in forma indiretta, abrogata con il decreto legislativo n. 502/1992, per le prestazioni specialistiche, utilizzando le strutture private non accreditate. Quanto ai rapporti tra CEDU e diritto interno, la resistente evidenziava che la Corte costituzione, con le due sentenze del 22-24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349, aveva individuato nell'art. 117 della Costituzione la norma che regolava il rapporto, mentre per il diritto comunitario operava l'art. 11 della Cost.;

che la CEDU conservava la natura di norma interposta sub-costituzionale anche alla luce della modifica dell'art. 6 del TFUE;

che pertanto, in assenza di una modifica della legge, l'azienda non poteva che uniformarsi ai suoi principi, che non consentivano l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, dovendo essere investita la Consulta della legittimita' costituzionale della legge. Le associazioni intervenienti si costituivano in giudizio per sostenere le ragioni dei ricorrenti. Rileva in diritto I ricorrenti chiedono di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in quanto coppia fertile, portatrice di patologia geneticamente trasmissibile, e di potersi avvalere del servizio di diagnosi preimpianto in modo da conoscere l'eventuale trasmissione della patologia all'embrione. Pertanto le questioni sollevate dai ricorrenti riguardano due distinti profili: da un lato il limite di accesso posto dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, ai soli casi di sterilita' o di infertilita', e dall'altra la possibilita' di accedere alla diagnosi preimpianto. In merito al primo profilo, la legge 19 febbraio 2004, n. 40, all'art. 4, circoscrive il ricorso alle tecniche di procreazione assistita «P.M.A.» ai soli casi di sterilita' o di infertilita' della coppia, nonche', secondo le nuove linee guida dettate dal Ministero della salute del 2008 (decreto dell'11 aprile 2008, n. 31639, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 aprile 2008), anche ai casi in cui l'uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili. In merito al secondo profilo l'art. 13 della stessa legge contempla la cd. diagnosi preimpianto «P.D.G.», consistente nella identificazione di una anomalia genetica dell'embrione, grazie alle tecniche di biologia molecolare, volta alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. 1. La lettura costituzionalmente orientata della possibilita' di accedere alla diagnosi preimpianto. Partendo da questo secondo profilo, l'art. 13 prevede, in linea di principio, «il divieto di sperimentazione su ciascun embrione umano» (1° comma) per poi regolare, quale eccezione alla stessa regola, la possibilita' di effettuare «la ricerca clinica e sperimentale sull'embrione a condizione che si perseguano finalita' esclusivamente terapeutiche e diagnostiche volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell'embrione stesso» (2° comma) con esplicito divieto della «produzione di embrioni umani a fini di ricerca o sperimentazione» e di «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti» (3° comma, lettere a) e b)). La giurisprudenza di merito ha gia' ritenuto, sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata, che l'art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, consenta la c.d. selezione preimpianto nell'ipotesi di rischio di trasmissione al feto di una grave patologia, di cui siano portatori i genitori. L'interpretazione si fonda su una serie di considerazioni, quali l'assenza, nella legge, di un espresso divieto di diagnosi preimpianto;

la previsione del consenso informato nei confronti delle coppie;

la distinzione contenuta nella stessa norma tra la ricerca scientifica, comprendente la manipolazione e la sperimentazione, e l'accertamento a fini terapeutici e diagnostici, finalizzato alla tutela della salute e dello sviluppo dell'embrione, che impone di ritenere il divieto circoscritto alla sola finalita' di ricerca;

l'abrogazione, in sede di revisione delle linee guida elaborate dal Ministero della salute nel 2008...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT