N. 77 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE

Ricorso per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente, prof.ssa Mercedes Bresso, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal prof. Roberto Cavallo Perin del Foro di Torino e dal prof. Alberto Romano del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, lungotevere Sanzio n. 1, in forza di procura speciale a margine del presente ricorso, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 23-bis, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 21 agosto 2008, n. 195.

F a t t o 1. - La legge 6 agosto 2008, n. 133, ha convertito in legge con modificazioni il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, introducendo l'art. 23-bis il quale pone direttamente nuove disposizioni generali per 'tutti' i servizi pubblici locali di rilevanza economica che 'prevalgono sulle relative discipline di settore' (comma 1, ult.

frase), ma al contempo autorizza il Governo ad emanare ulteriori disposizioni regolamentari anche di delegificazione (ex art. 17, secondo comma, legge 23 agosto 1988, n. 400) su oggetti determinati e complementari (comma 10), in particolare gli affidamenti della gestione di tali servizi [comma 10, lettera d) e lettera h)].

L'indicato art. 23-bis pone infine una disciplina transitoria, ancora una volta direttamente per il solo servizio idrico integrato (comma 8), e con rinvio al regolamento governativo per tutti gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica [comma 10, lettera e)].

La preesistente disciplina generale del servizio pubblico locale (art. 113, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) non e' tuttavia integralmente sottoposta ad abrogazione dal nuovo art. 23-bis, perche' quest'ultimo espressamente prevede che cessino di avere effetto le norme preesistenti nelle sole 'parti incompatibili' con le sue nuove disposizioni (comma 11, art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.).

La Regione Piemonte ritiene che tali disposizioni di legge statale ledano la propria sfera di competenza legislativa stabilita in Costituzione e pertanto propone ricorso ex art. 127, Cost., per le seguenti ragioni in D i r i t t o 1) Violazione dell'art. 117, commi primo, secondo, quarto, sesto e dell'art. 97, Cost. Difetto di tutela della concorrenza. Violazione della residua competenza legislativa regionale.

A) L'art. 23-bis, decreto-legge n. 112 del 2008, cit. - dopo aver precisato che trattasi di disciplina generale che prevale sulle norme di settore (comma 1) - prevede che 'il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalita'' (comma 2).

Il successivo comma soggiunge che l'affidamento diverso da quello 'ordinario' - tra cui spicca la forma di gestione denominata in house providing - puo' essere adottato 'nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria' solo 'in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato' (art. 23-bis, comma 3, decreto-legge n. 112 del 2008, cit.).

Il legislatore statale dunque riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale 'ordinaria' l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza, nonostante che la stessa abbia creato l'istituto giuridico dell'in house providing come senz'altro compatibile con l'ordinamento comunitario e i suoi principi.

In tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che taluna legislazione nazionale in materia di tutela dell'ambiente ha potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste dal diritto comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita' con altre disposizioni del Trattato (Corte di giustizia Ce, 14 aprile 2005, in causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz) tra le quali assume particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza.

B) La potesta' legislativa in Italia si esercita 'nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario' (art. 117, primo comma, Cost.) in particolare il vincolo si afferma anche nell'esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di 'tutela della concorrenza' (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.), anzi e' proprio con riferimento alla regolamentazione del mercato unico europeo che la legislazione statale italiana non puo' che configurarsi in attuazione della disciplina europea.

Il mercato unico europeo infatti e' concettualmente possibile e concretamente si e' affermato solo riconoscendo un'unitaria disciplina da parte dell'Unione europea, che deve trovare attuazione negli Stati membri attraverso norme di principio o di dettaglio, siano esse del Trattato, o piu' di frequente in norme di regolamento o di direttive comunitarie, con conseguente impossibilita' per gli Stati membri di procedere ad introdurre legislazioni ispirate da un indirizzo politico nazionale e percio' differenziate tra gli Stati membri, neppure configurando l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di 'integrale o totale concorrenzialita''.

Non appare infatti possibile confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta che abbiamo deciso di rivolgersi al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione dei servizi pubblici indicata dall'art. 23-bis in esame, nella quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato.

Questa configurazione offusca, sovvertendolo, il principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico.

Autonomia e relativa capacita' di scelta discrezionale che implicano anche la possibilita' di non voler correre l'avventura ed il conseguente rischio di un affidamento a terzi in un tempo di cattivo mercato economico e finanziario.

In tal senso si e' peraltro espresso da tempo l'ordinamento comunitario che ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora legge 11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso - imponendo il vincolo legislativo 'alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piu' basso' (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c. Autorita' per la Vigilanza sui Lavori Pubblici e Ingg. Provera e Carassi s.p.a.).

L'ordinamento europeo ha ritenuto che l'imposizione leda la discrezionalita' delle amministrazioni pubbliche, in particolare la possibilita' 'di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche peculiari di tali appalti, isolatamente considerati, scegliendo per ognuno di essi il criterio piu' idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta' (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, cit., § 40), ma ancor prima per l'impossibilita' istituzionale di una disciplina interna differenziata 'in termini non espressamente consentiti' dal diritto comunitario (cfr. conclusioni Avv. Gen.

Stix-Hackl 1° luglio 2004, in causa C-247/02, § 65).

L'indicato orientamento - che trova ragione giuridica nella stessa nozione di mercato unico il quale istituzionalmente comporta una regolazione omogenea sulla concorrenza fra gli Stati membri - e' del pari quello della Corte costituzionale italiana espresso proprio con riferimento alla nozione di 'concorrenza' ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. la quale non puo' non riflettere 'quella operante in ambito comunitario' con la conseguenza che la normativa interna 'si uniforma' a quella comunitaria (da ultimo: Corte cost., 23 novembre 2007, n. 401) di cui costituisce attuazione.

E' noto che le norme d'attuazione non esprimono un indirizzo politico proprio dell'organo o soggetto che le pone, ma recepiscono quello altrui che e' inderogabilmente stabilito nelle norme di cui sono appunto l'attuazione, ed in tal senso si e' affermato l'orientamento di codesta Corte costituzionale con riferimento alla potesta' legislativa regionale d'attuazione delle leggi statali (previgente art. 117, ultimo comma, Cost.; ma vedi anche Statuto Sardegna, art. 5, lettera d); Statuto Friuli-Venezia Giulia, art. 6, n. 3). Si e' chiarito che l'attuazione puo' comportare solo 'l'adozione di norme esecutive (secundum legem)', con l'impossibilita' di spingersi sino...

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