n. 22 SENTENZA 10 - 11 febbraio 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio, Veneto, Campania, dalla Regione autonoma Sardegna e dalla Regione Puglia con ricorsi notificati il 12-17, il 12, il 13-17, il 12 e il 15-18 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16, il 17, il 18, il 19 e il 24 ottobre 2012 e rispettivamente iscritti ai nn. 145, 151, 153, 160 e 172 del registro ricorsi 2012. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per la Regione Puglia, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi, Daniela Palumbo e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania, Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l'avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Le Regioni Lazio, Veneto, Campania e Puglia, e la Regione autonoma Sardegna, con i ricorsi in epigrafe, hanno proposto questioni di legittimita' costituzionale di varie disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonche' misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dell'art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, e, tra queste, dell'art. 19. In particolare, le disposizioni censurate sono quelle di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), ed ai commi da 2 a 6, con la precisazione, pero', che le questioni relative ai commi 2, 5 e 6 sono state riservate a separata trattazione nella stessa udienza pubblica del 3 dicembre 2013. In estrema sintesi, l'art. 19, per quanto forma in questa sede oggetto di impugnazione, rispettivamente: - al comma 1, lettera a) - che reca il nuovo testo del comma 27 dell'art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 - ridefinisce le funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi della lettera p) dell'art. 117, secondo comma, Cost. - al comma 1, lettera b) - che sostituisce il comma 28 dell'art. 14 anzidetto - dispone, con riferimento ai Comuni con popolazione fino ai 5.000 abitanti, l'esercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unione di Comuni o convenzioni di durata triennale;

- al comma 1, lettera c) - che aggiunge il comma 28-bis al citato art. 14 - prevede che alle unioni di Comuni di cui al riscritto precedente comma 28 si applichi la disciplina di cui all'art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e successive modificazioni;

e che ai Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti si applichi quanto previsto al comma 17, lettera a), dell'art. 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, a norma del quale il Consiglio comunale e' composto dal sindaco e da sei consiglieri;

- al comma 1, lettera d) - che sostituisce il comma 30 dello stesso art. 14 - dispone che le Regioni, nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., individuano le dimensioni territoriali ottimali per l'esercizio delle funzioni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni;

- al comma 1, lettera e) - che sostituisce il comma 31 del medesimo art. 14 - individua il limite demografico minimo delle unioni di Comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determinazione da parte della Regione;

- al comma 3 - che sostituisce l'art. 32 del citato d.lgs. n. 267 del 2000 - pone una disciplina articolata delle unioni di Comuni, con differenti profili, attinenti alle procedure di istituzione ed alla struttura organizzativa delle unioni, nonche' alla disciplina delle funzioni che queste ultime sono destinate a svolgere;

- al comma 4 prevede, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, una facolta' di scelta tra i modelli organizzativi di cui ai precedenti commi 1 e 2. 2.- La Regione Lazio deduce che la disciplina recata dall'art. 19 denunciato - e, secondo il tenore della prospettazione, in particolar modo quella di cui al comma 1, lettere da a) a d) - violerebbe il combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., ledendo le attribuzioni costituzionali regionali, dovendo essere ricondotta nell'alveo di siffatte attribuzioni «la regolazione delle associazioni degli enti locali», la' dove lo Stato dovrebbe «limitarsi a stabilire la disciplina in tema di "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane", restando evidentemente esclusi da tale "voce" tutti gli aspetti riguardanti l'associazionismo di tali enti». In questi termini - sottolinea la ricorrente - si sarebbe orientata la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 456 del 2005, n. 244 del 2005 e n. 229 del 2001), mettendo in luce il carattere «puntuale» della «tassativa» elencazione «degli enti, e degli aspetti della loro disciplina, contenuta nell'art. 117, comma secondo, lettera p)». E tali conclusioni la medesima ricorrente ha ribadito con memoria depositata in prossimita' dell'udienza del 3 dicembre 2013 (cui e' stata rinviata, a seguito di ordinanza n. 227 del 2012, la trattazione delle questioni), nella quale aggiunge che, sulla scorta dell'orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 27 del 2010), l'esercizio associato di funzioni da parte degli enti locali e' da ascriversi alla potesta' legislativa residuale delle Regioni, salva l'eventualita' di un intervento di contenimento della spesa pubblica in base ai principi di coordinamento della finanza pubblica, che pero', nel caso di specie, non sarebbe ravvisabile, posto che la normativa denunciata risulta dettagliata e non transitoria. 3.- Anche la Regione Veneto assume che il denunciato art. 19, con le sue plurime disposizioni (e, in particolare, i commi 1, lettere da b ad e, e 3) - le quali, la' dove attengono specificamente ai Comuni, sono suscettibili di essere impugnate dalla Regione, giacche' i profili di illegittimita' che le riguardano «si traducono in altrettante violazioni dell'autonomia regionale costituzionalmente garantita» - violerebbe, in primo luogo, l'art. 117, quarto comma, Cost., dal quale, letto in combinato disposto con il secondo e il terzo comma dello stesso art. 117, si ricaverebbe che la materia «forme associative tra gli enti locali» rientra nella potesta' legislativa regionale residuale. Il che sarebbe, del resto, confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 27 del 2010, n. 237 del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005), che ha escluso, in riferimento alle comunita' montane (e lo stesso varrebbe per le unioni di Comuni alle quali ha riguardo la norma denunciata), l'intervento della competenza statale di cui alla lettera p) del secondo comma dell'art. 117 Cost., ascrivendo la relativa disciplina alla competenza residuale delle Regioni. Invero, nonostante le disposizioni di cui all'art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, siano qualificate come norme di «coordinamento della finanza pubblica», esse sarebbero ben lungi dal costituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che, per un verso, non si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, «intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente»;

e, per altro verso, prevedono «in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi». Inoltre, sarebbe violato anche l'art. 118, primo comma, Cost., il quale non fa riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra Comuni, che, pertanto, «dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art. 114 Cost., libere forme associative cui il Comune puo' (non deve) ricorrere». Infine, la Regione Veneto sostiene che il «complesso di censure avanzate nei confronti dell'art. 19» condurrebbe a ritenere sussistente anche la violazione dell'art. 119 Cost., «peraltro anche con riguardo all'autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei Comuni», nonche' degli artt. 3 e 97 Cost., «specialmente per il fatto che i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti sono obbligati tout court (e quindi in violazione del principio costituzionale di differenziazione) all'esercizio mediante unione di Comuni o convenzione delle loro funzioni fondamentali». 3.1.- In prossimita' dell'udienza del 3 dicembre 2013, la Regione Veneto ha depositato memoria con la quale insiste per l'illegittimita' costituzionale delle denunciate disposizioni dell'art. 19. 4.- La Regione Campania ritiene, a sua volta, illegittimo il comma 1, lettera a) dell'art. 19, «nella parte in cui, nel modificare la disciplina delle funzioni fondamentali dei comuni precedentemente recata dall'art. 14, comma 27, decreto-legge n. 78/2010, riconosce in materia alle Regioni le sole funzioni di programmazione e di coordinamento, spettanti nelle materie di cui all'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., nonche' quelle esercitate ai sensi dell'art. 118 Cost.». La ricorrente osserva al riguardo che la norma denunciata, nel circoscrivere il ruolo delle Regioni a quello dell'esclusivo svolgimento dei...

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