Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reato in genere - Configurazione delle fattispecie criminose - Incriminazione della semplice esposizione a pericolo - Discrezionalita' del legislatore - Limiti. Reati e pene - Possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli - Asserita configurazione di un reato di pericolo in r...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,

Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco

GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria

Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 707 del codice penale, promosso con ordinanza del 7 gennaio 2004 dalla Corte d'appello di Genova, nel procedimento penale a carico di A. M., iscritta al n. 277 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 2007;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 21 maggio 2008 il giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, pervenuta alla Corte il 28 marzo 2007, la Corte d'appello di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, 24, 25 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 707 del codice penale, che contempla la contravvenzione di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli.

    La Corte rimettente premette di essere investita del processo penale nei confronti di una persona imputata del reato previsto dalla norma denunciata, in quanto - essendo stata condannata per delitti determinati da motivi di lucro - veniva colta in possesso di un cacciavite con punta piatta della lunghezza di 14 centimetri, costituente strumento atto ad aprire e a sforzare serrature, senza giustificarne l'attuale destinazione.

    Facendo propri gli argomenti svolti dalla difesa a sostegno dell'eccezione di illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice, il giudice a quo muove dalla premessa che il reato in esame - definito come "di sospetto" - incrimini "fatti in se' stessi non lesivi del bene protetto ma tali da far presumere la commissione di reati". Il rimettente ricorda, altresi', come questa Corte abbia dichiarato costituzionalmente illegittimi gli artt. 707 e 708 cod. pen., nella parte in cui rendevano rilevanti, ai fini della configurabilita' delle contravvenzioni da essi previste, condizioni personali quali la condanna per mendicita', l'ammonizione, la sottoposizione a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta. Il giudice a quo rimarca, ancora, come la sentenza n. 370 del 1996 abbia dichiarato successivamente incostituzionale l'art. 708 cod. pen., per violazione dei principi di ragionevolezza e di tassativita', anche nel residuo riferimento ai soggetti precedentemente condannati per determinati reati; ritenendo invece conforme al principio di tassativita' l'art. 707 cod. pen.: cio', peraltro - ad avviso della Corte rimettente - senza considerare adeguatamente il principio di offensivita'. In ogni caso - soggiunge il giudice a quo - la sentenza n. 354 del 2002 avrebbe escluso, in relazione alla fattispecie contemplata dall'art. 688, secondo comma, cod. pen., che "lo status personale di condannato" possa "legittimare la sanzione penale".

    Tanto premesso, la Corte d'appello di Genova ritiene che l'art. 707 cod. pen. si ponga in contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), incriminando "non [...] il fatto in se', ma [...] elementi ad esso estranei attinenti alla persona", sulla base di una "presunzione di pericolosita" riguardante "il passato" e, al tempo stesso, "troppo generica".

    La norma censurata farebbe discendere, per giunta, da una condanna "effetti da essa non previsti", individuando nel pregiudicato un potenziale autore di nuovi reati: e cio' in contrasto con la valenza rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.), alla luce della quale il condannato andrebbe considerato, viceversa, socialmente recuperato e insuscettibile di "soffrire condizioni di iniquo sfavore".

    La disposizione de qua delineerebbe, quindi, una responsabilita' "per il modo di essere dell'autore", lesiva anche degli artt. 25 e 27, primo comma, Cost., che sanciscono i principi di offensivita' e della responsabilita' per fatto proprio colpevole.

    Un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 Cost. si connetterebbe alla disparita' di trattamento riscontrabile tra coloro che hanno riportato una condanna definitiva per i reati indicati dalla norma incriminatrice e coloro che - pur avendo commesso identici fatti - non siano stati invece condannati, a causa dell'estinzione del reato per "amnistia, prescrizione, remissione di querela, oblazione, risarcimento del danno"; ovvero in ragione dell'improcedibilita' dell'azione penale per mancanza di querela.

    Risulterebbe violato anche il principio di tassativita' (art. 25, secondo comma, Cost.), giacche' i comportamenti incriminati - diversamente che per i reati in materia di armi - non sarebbero descritti in termini che delineino "un disvalore sottostante alla fattispecie legale".

    La norma impugnata comprometterebbe, inoltre, il diritto di difesa (art. 24 Cost.), giacche' - invertendo l'onere della prova - imporrebbe all'imputato di giustificare la destinazione o l'origine dei beni detenuti e, dunque, di dimostrare la propria innocenza: precludendo, cosi', anche l'esercizio della facolta' di "tacere nel processo".

    Rimarrebbe lesa, di conseguenza, la "presunzione di innocenza" (recte, di non colpevolezza: art. 27, secondo comma, Cost.), in quanto la prova della destinazione criminosa degli oggetti verrebbe desunta, in via meramente presuntiva, da altri elementi (la condizione...

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