Ordinanza emessa dal Tribunale di Ancona il 21 novembre 2007 nel procedimento civile promosso da L.S. ed altra contro A.G. ed altri Procedimento civile - Responsabilita' aggravata per lite temeraria (in specie, azione di risarcimento dei danni derivanti da sinistro stradale) - Omessa proposizione da parte dei convenuti della domanda risarcitoria...

IL TRIBUNALE

Letti gli atti del procedimento n. 2353.01, ha emesso la seguente ordinanza.

Con atto di citazione del 25 agosto 2001 L. F. conveniva in giudizio A. G., la CONEROBUS e la FONDIARIA S.p.A., con domanda di risarcimento dei danni pari a £ 1.000.000.000 (un miliardo) a seguito di un investimento da lui subito quale pedone, con in braccio un bambino di due anni.

Esponeva l'attore che si trovava in un tratto ove mancava la transenna tra marciapiede e strada; che nello stesso momento giungeva l'autobus della societa' convenuta "a velocita' sconsideratamente elevata"; che egli, "spaventato dalla spropositata velocita' e dalla scellerata, imprudente e negligente condotta di guida tenuta dal citato autoveicolo, nel tentativo di levarsi dalla situazione di pericolo venutasi a creare, confuso, poneva un piede al di sotto del marciapiede, allorquando l'autobus lo andava ad urtare violentemente con il suo lato anteriore destro, scaraventandolo rovinosamente a terra...".

Si costituivano tutti i convenuti, contestando recisamente la ricostruzione e la domanda dell'attore, rilevando come la versione del fatto da parte del L. fosse smaccatamente contraddittoria ed illogica, osservando che l'incidente era dovuto esclusivamente alla grave imprudenza dell'attore che aveva deciso di attraversare la strada in maniera improvvisa ed imprevedibile, nonostante vi fossero a 20 metri le strisce pedonali, che peraltro i vigili urbani intervenuti avevano contestato contravvenzioni solamente al L. precisamente ex art. 190, comma 2 c.d.s.

Nel corso della trattazione istruttoria veniva disposta la riunione del procedimento n. 3419.01, relativo alla domanda proposta dal legale rappresentante del piccolo B. A. il bambino in braccio al De L. al momento dell'incidente.

Veniva poi compiuta un'istruzione probatoria piuttosto laboriosa e lunga, che conduceva infine all'assegnazione della causa a sentenza.

Ritiene questo giudice che - nonostante l'orientamento parzialmente contrario espresso, sia pure in sede di delibazione prettamente sommaria (e peraltro in limine), dal precedente giudice monocratico titolare del fascicolo, relativamente alla richiesta, accolta, di una provvisionale - la domanda risulti del tutto infondata, non essendovi spazio neppure per un concorso di colpa del conducente.

Infatti, non e' rimasto confutato dalle emergenze processuali che effettivamente c'era un passaggio pedonale a 20 metri dal punto d'impatto, che effettivamente il pedone inopinatamente ed illecitamente aveva cominciato ad attraversare, scendendo dal marciapiede, per di piu' con un bambino in braccio, che non solo risulta non provata l'alta velocita' del mezzo (non sono state riscontrate strisce di frenata, un solo teste riferisce di un fischio che gli sembra quello tipico di una frenata) ma altri testi riferiscono la sua moderata velocita' (20 km ora circa), la quale e' del tutto compatibile con i danni riportati dall'investito, che non fu ne' sbalzato ne' trascinato, ed e' pure compatibile con i danni per fortuna ancora minori riportati dal bimbo, che l'autista tento' anche di sterzare ma non evito' l'impatto.

Ma soprattutto non e' emersa alcuna spiegazione plausibile alla dinamica cosi' come descritta dall'attore, rimanendo del tutto illogica la versione fornita, essendo assurdo che chi vede sopraggiungere ad alta velocita' un autobus e si trova sul marciapiede abbandoni questo punto che lo mette al sicuro da improvvide manovre del conducente, piuttosto vi resta. Cio' non si puo' che spiegare con una condotta sconsiderata non del conducente, ma dell'investito.

La domanda, quindi, andrebbe rigettata, con il favore delle spese per le parti convenute. Occorre a questo punto osservare, che, a giudizio di questo giudice emergono anche tutti gli elementi per la c.d. responsabilita' aggravata di cui all'art. 96 c.p.c., senonche' nessuna delle parti convenute ha avanzato la relativa domanda, e la questione, alla luce dell'attuale diritto positivo - nonche' dell'interpretazione assolutamente dominante che viene data dall'art. 96 sul punto dell'impossibilita' di una condanna d'ufficio ai sensi di questa norma, confortata peraltro dal dato letterale - neppure si porrebbe.

Questo giudice, tuttavia, ritiene che questo non sia compatibile con l'adeguata osservanza ed applicazione di alcuni principi costituzionali. Ritiene infatti che l'attuale disciplina positiva della cosiddetta lite temeraria, prevista dall'articolo 96 c.p.c., sia in contrasto con i valori costituzionali di ragionevolezza, parita' di trattamento, diritto di difesa e con i principi sul cosiddetto giusto processo, costituzionalizzati nella nuova disposizione dell'articolo 111, commi primo e secondo, proprio nel punto in cui non consente una pronuncia d'ufficio sulla sussistenza della c.d. lite temeraria.

Tradizionalmente, la responsabilita' di cui parla l'articolo 96 c.p.c. e' stata sempre vista come responsabilita' verso un singolo soggetto, vale a dire la controparte processuale, il singolo privato con il quale si contende.

Il profilo sanzionatorio della norma, nonostante anch'esso sia partecipe delle finalita' della stessa, e nonostante fosse ben presente a tutti gli interpreti, all'uscita del codice del 1940, non era inteso che come sanzione in senso lato.

In altre parole, tutelando il singolo soggetto "processualmente danneggiato", si veniva a conseguire, o si sarebbe dovuto conseguire anche un vantaggio per la speditezza, l'efficienza e il giusto andamento del sistema processuale nel suo complesso.

Certo, la previsione di una condanna per lite temeraria avrebbe dovuto anche essere una remora per coloro che avessero intenzione di provocare ingiustamente un processo.

Ma sicuramente il legislatore del 1940 non era pressato dall'esigenza di evitare il distorto uso del diritto di agire in giudizio come lo e', invece, quello attuale.

Pertanto l'efficacia solamente ipotetica e indiretta di tale "sanzione" poteva apparire comunque sufficiente.

Tuttavia, anche nei tempi meno recenti, il quadro normativo nel suo complesso non risultava omogeneo secondo le stesse prime ricostruzioni operate dai commentatori dell'epoca e dalla giurisprudenza, almeno sino ai primi anni '50.

Se la responsabilita' cosiddetta aggravata per lite temeraria era strutturata a protezione di un interesse del singolo, era logico che dovesse essere oggetto di specifica domanda da parte di quest'ultimo al giudice. Ma, pur tenendo ferma l'impossibilita' di una pronuncia d'ufficio nella fattispecie, autorevole dottrina poneva in evidenza il rapporto intercorrente fra l'articolo 92, primo comma, dell'articolo 96, primo comma del codice di procedura civile.

Il primo recita "Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, puo' escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e puo', indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'art. 88, essa ha causato all'altra parte". Il secondo: "Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza".

Mentre la prima norma avrebbe colpito la temerarieta' della lite a prescindere dalla soccombenza, la seconda avrebbe contenuto una "ulteriore" sanzione a carico del soccombente temerario.

Tale ricostruzione trova contrasti in dottrina, sebbene sembri avvallata dalla giurisprudenza. Con riguardo in particolare al rimborso delle spese processuali irripetibili di cui all'art. 92 c.p.c., cfr. Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1986, n. 2174 "Resta da dire, con riferimento ad un rilievo svolto dal ricorrente nella discussione orale, che la ipotesi del rimborso delle spese irripetibili, cioe' di quelle spese che eccezionalmente possono essere rimborsate a titolo di risarcimento del danno, non si esaurisce nella disciplina dell'art. 92 c.p.c., dove la relativa condanna, collegata alla trasgressione del dovere di lealta', prescinde dalla soccombenza, potendo la stessa condanna, per quanto concerne la parte soccombente, trovare una specifica applicazione nell'ambito della previsione dell'art. 96 c.p.c.". Con il che, lo stretto collegamento tra le due norme, per quello che qui interessa, appare confermato.

Secondo altra, e piu' recente ricostruzione dottrinale, il comportamento fonte di responsabilita' aggravata ex art. 96 c.p.c. - una volta...

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