Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Casi di revisione - Impossibilita' di conciliare i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia accertato l'assenza di equita' del processo ex art. 6 della CEDU - Manca...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente

Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 630, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 22 marzo 2006 dalla Corte di appello di Bologna nel procedimento penale a carico di D. P., iscritta al n. 337 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 27 febbraio 2008 il giudice relatore Giovanni Maria Flick;

Ritenuto in fatto

  1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Bologna ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 10 e 27 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 630, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale "nella parte in cui esclude, dai casi di revisione, l'impossibilita' che i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto di condanna si concilino con la sentenza della Corte europea che abbia accertato l'assenza di equita' del processo, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo".

    Il rimettente premette di essere investito della delibazione di un'istanza di revisione, proposta dal difensore di persona sottoposta a regime di detenzione domiciliare in espiazione di una pena di tredici anni e sei mesi di reclusione, inflitta dalla Corte d'assise di Udine. Tale persona - divenuta irrevocabile la condanna - si era rivolta alla Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale, con sentenza del 9 settembre 1998, aveva stabilito la non equita' del giudizio attraverso cui si era irrogata la condanna, per violazione dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; e cio' in quanto la condanna in questione era scaturita dalle dichiarazioni di tre coimputati non esaminati in contraddittorio, giacche' si erano avvalsi della facolta' di non rispondere.

    Dopo la pronuncia della Corte europea, il Comitato dei ministri aveva piu' volte sollecitato - senza effetto - lo Stato italiano ad adottare le misure necessarie per garantire l'adempimento della pronuncia del giudice di Strasburgo. Anche l'incidente di esecuzione - sollevato dal Procuratore della Repubblica per verificare la "legittimita" della detenzione, con contestuale richiesta di sospensione dell'esecuzione della pena - era stato rigettato dalla competente Corte d'assise di Udine. Quest'ultima aveva rilevato che, in sede di incidente di esecuzione, l'indagine del giudice deve ritenersi limitata alla verifica della eseguibilita' del titolo; mentre resta preclusa ogni valutazione sulla legittimita' del giudizio di cognizione e sull'eventuale violazione delle regole interne ad esso.

    Il giudice a quo evidenzia, inoltre, che la difesa del condannato ha sostenuto l'ammissibilita' del giudizio di revisione ai sensi dell'art. 630, comma 1, lettera a), cod. proc. pen.: sia per l'esistenza del contrasto tra giudicati; sia per la circostanza che la decisione della Corte europea - ritenuta prevalente sul giudicato "interno", in quanto proveniente da organo sopranazionale - potrebbe essere equiparata alla sentenza di un "giudice speciale". Sempre secondo la prospettazione della difesa, se cosi' non dovesse ritenersi, ne discenderebbe l'illegittimita' costituzionale dell'art. 630 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede "come titolo per ottenere la revisione" la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

    Il rimettente afferma, innanzitutto, di non condividere l'interpretazione secundum Constitutionem prospettata dalla difesa. Sarebbe impossibile ricondurre la Corte europea alla nozione costituzionale di "giudice speciale", perche' tale qualifica e' riferibile esclusivamente ai tribunali militari, per "i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate"; ed alla Corte costituzionale, "in relazione alle accuse mosse al Presidente della Repubblica". D'altra parte - prosegue il giudice a quo - non e' possibile neppure ritenere la sentenza della Corte europea quale "nuova prova" ai sensi dell'art. 630, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.; essa "nulla aggiunge di diverso rispetto al fatto storico" - gia' apprezzato nel giudizio considerato "non equo" - mirando alla semplice "ripetizione", ove possibile, delle prove ritenute invalide.

    Alla luce di tali considerazioni, la Corte rimettente ritiene rilevante il dubbio di costituzionalita' prospettato dalla difesa, in quanto l'istanza di revisione dovrebbe essere dichiarata inammissibile ai sensi dell'art. 634 cod. proc. pen., perche' proposta fuori dalle ipotesi previste dall'art. 630 del medesimo codice di rito.

    In ordine alla non manifesta infondatezza, la Corte - ritenuto inconferente il parametro dell'art. 111 Cost., rispetto alla prospettazione difensiva dell'eccezione - afferma, per contro, la sussistenza di dubbi di compatibilita' innanzitutto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della lesione del principio di ragionevolezza. L'art. 630, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. - prevedendo il contrasto tra i fatti stabiliti dalla sentenza o dal decreto penale di condanna e quelli stabiliti nella sentenza penale di altro giudice, ai fini dell'ammissibilita' della revisione - sembra innestare una "ingiustificata discriminazione tra casi uguali o simili", escludendo dai casi di revisione il riferimento alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo emessa ai sensi dell'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea.

    Secondo il giudice a quo, per "fatto" - ai fini della applicazione della norma censurata - non dovrebbe intendersi solamente "il fatto storico all'origine della vicenda processuale, ma anche l'accertamento dell'invalidita' di una prova del precedente giudizio", poiche' anche questo e' un fatto da cui, comunque, dipende l'applicazione di norme processuali che determina il venir meno di prove legittimamente assunte. Ne' la situazione in esame discende da una modifica della disciplina processuale intervenuta successivamente al giudizio, in quanto la decisione della Corte europea scaturisce da un raffronto tra la normativa convenzionale previgente (art. 6 della Convenzione) e quella interna.

    Un'ulteriore censura e' prospettata in riferimento all'art. 10 della Costituzione, secondo il quale "l'ordinamento giuridico si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". A parere del giudice a quo, e' vero che tale disposizione si riferisce alle norme del diritto internazionale consuetudinario; ma e' altrettanto indubbio che alcune norme della Convenzione di Roma del 1950 - segnatamente, quelle che sanciscono garanzie fondamentali, quali il diritto alla vita (art. 2), il divieto di tortura (art. 3), l'inammissibilita' della condizione di schiavitu' (art. 4), la presunzione d'innocenza (art. 6) - sono "effettivamente riproduttive di analoghe norme consuetudinarie esistenti nella Comunita' internazionale".

    Secondo il giudice a quo, la presunzione di innocenza si sostanzia anche nel diritto alla revisione di una condanna pronunciata in violazione delle garanzie dell'equo processo (nella specie, il diritto dell'accusato di interrogare e fare interrogare chi lo accusa, ai sensi dell'art. 6, comma 3, lettera d), della Convenzione europea). E, poiche' tale presunzione - in quanto norma consuetudinaria di diritto internazionale - si adatta automaticamente all'ordinamento interno, ai sensi dell'art. 10, primo comma, Cost., l'art. 630, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., si risolve conseguentemente in una violazione di quest'ultimo precetto costituzionale, nella parte in cui esclude la revisione del processo allorquando una sentenza della Corte europea abbia accertato un "vizio fondamentale nella procedura precedente".

    Infine, la disciplina censurata...

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