Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.¿ ¢Processo penale - Appello dell'imputato - Appello avverso la sentenza di proscioglimento relativa a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda (o con pena alternativa) - Preclusione, salvo nelle ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, cod. proc. pen. se la nuova p...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), sostitutivo dell'art. 593 del codice di procedura penale, e dell'art. 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 26 aprile 2006 dalla Corte d'appello di Roma, del 9 febbraio 2007 dalla Corte d'appello di Bologna e del 30 marzo 2007 dalla Corte d'appello di Bari, rispettivamente iscritte ai nn. 543, 668 e 742 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 32, 39 e 44, 1ª serie speciale dell'anno 2007.

Udito nella Camera di consiglio del 13 febbraio 2008 il giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, impedisce all'imputato di proporre appello contro la sentenza di non doversi procedere per prescrizione, conseguente al riconoscimento di circostanze attenuanti; nonche' dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui impone di dichiarare inammissibile detto appello, ove proposto anteriormente alla data di entrata in vigore della legge stessa.

    La Corte rimettente riferisce di essere investita dell'appello proposto da tre imputati contro la sentenza emessa dal Tribunale di Frosinone il 2 marzo 2004, che aveva dichiarato non doversi procedere nei loro confronti in ordine ad una serie di reati (corruzione aggravata per atti contrari ai doveri di ufficio, truffa pluriaggravata e abuso in atti d'ufficio), per essere i medesimi estinti per prescrizione, a seguito della concessione delle attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti contestate.

    Il gravame - prosegue il giudice a quo - dovrebbe essere dichiarato inammissibile ai sensi degli artt. 1 e 10 della legge n. 46 del 2006, non essendo piu' previsto l'appello come mezzo di impugnazione delle sentenze di proscioglimento.

    Il rimettente dubita, tuttavia, della legittimita' costituzionale di tale disciplina.

    E' ben vero - osserva il giudice a quo - che il principio del doppio grado di giurisdizione di merito non risulta costituzionalizzato: tanto che si e' discussa l'opportunita' di abolire l'appello, sia per rendere piu' celere la definizione dei processi, che per eliminare il contrasto tra un giudizio di primo grado improntato all'oralita' e un giudizio di secondo grado essenzialmente "cartolare". Ma una volta che la legge n. 46 del 2006 continua a prevedere l'istituto, le limitazioni poste all'esperibilita' di tale mezzo di impugnazione da parte dell'imputato si rivelerebbero contrarie tanto al principio di ragionevolezza, in correlazione al diritto di difesa; quanto al principio di ragionevole durata del processo.

    L'esclusione di un secondo grado di merito, rispetto ai processi conclusisi in primo grado con una declaratoria di prescrizione, potrebbe ritenersi, difatti, ragionevole allorche' sia non vi sia stato, in tali processi, "un sostanziale giudizio di merito": come avverrebbe nel caso di sentenza emessa ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., con cui il giudice di prime cure si limita a delibare la non evidenza dell'insussistenza del fatto o dell'estraneita' ad esso dell'imputato.

    Ben diversa sarebbe, invece, l'ipotesi in cui - come nella specie - si pervenga alla declaratoria di prescrizione del reato in esito ad una valutazione di merito, che presuppone il riconoscimento della colpevolezza dell'imputato: riconoscimento il quale non sfocia in una pronuncia di condanna solo a seguito della concessione di attenuanti, che fanno rientrare il reato nell'ambito di applicazione della causa estintiva. In tale evenienza, negare all'imputato la possibilita' di ottenere la modifica della decisione, tramite un secondo giudizio "in fatto", costituirebbe soluzione irrazionale, ove si consideri che, in base alla normativa vigente, l'imputato puo' proporre appello anche solo per ottenere la riduzione della pena della multa; ma non quando - come nell'ipotesi oggetto del giudizio principale - sia stato ritenuto, nella sostanza, un "corrotto".

    La soluzione normativa censurata violerebbe, altresi', il diritto di difesa: giacche' se, da un lato, la sentenza dichiarativa della prescrizione non costituisce, in senso formale, una condanna e, pertanto, non puo' fare stato nei processi civili e amministrativi; dall'altro lato, pero' - a prescindere dall'influenza che la sentenza stessa puo' comunque dispiegare in detti processi - l'art. 24 Cost. assicurerebbe all'imputato il diritto ad esperire tutti i mezzi previsti dall'ordinamento (e l'appello lo e' ancora) al fine di tutelare la propria "immagine morale": immagine certamente compromessa da una pronuncia di prescrizione quale quella in discorso.

    Da ultimo, l'innovazione introdotta dalla legge n. 46 del 2006 gioverebbe solo apparentemente alla celerita' del processo. In realta', precludendo all'imputato la possibilita' di ottenere, con un secondo giudizio "di fatto", una assoluzione nel merito - e, quindi, di giovarsi del giudicato favorevole in un giudizio civile, amministrativo o disciplinare - la disciplina denunciata esporrebbe l'imputato stesso "all'alea di tre gradi di giudizio in sede civile e/o di altri due in sede di contenzioso amministrativo", in contrasto col principio della ragionevole durata del processo.

  2. - Con l'ulteriore ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 10 della legge n. 46 del 2006, nella parte in cui, rispettivamente, escludono che l'imputato possa proporre appello contro sentenze dichiarative di cause di non punibilita' che hanno come presupposto un accertamento della responsabilita' penale; e prevedono che un simile appello, ove proposto anteriormente all'entrata in vigore della legge, debba essere dichiarato inammissibile.

    La Corte rimettente riferisce che, con sentenza del 3 ottobre 2002, il Tribunale di Ferrara aveva assolto due persone dal reato di cui all'art. 387 del codice penale (procurata evasione per colpa del custode), in quanto non punibili ai sensi del secondo comma dello stesso articolo (in forza del quale "il colpevole non e' punibile se nel termine di tre mesi dalla evasione procura la cattura della persona evasa o la presentazione di lei all'Autorita"). Avverso la sentenza avevano proposto appello sia il pubblico ministero, chiedendo che la causa di non punibilita' fosse esclusa e, quindi, la condanna degli imputati; sia questi ultimi, chiedendo di essere assolti per non avere commesso il fatto, o perche' il fatto non costituisce reato.

    Cio' premesso, il giudice a quo osserva come l'"esimente speciale" di cui all'art. 387, secondo comma, cod. pen., da un lato, presupponga l'accertamento che il preposto alla custodia abbia cagionato colposamente l'evasione di un detenuto; e, dall'altro lato, non costituisca una causa di giustificazione, idonea ad escludere l'antigiuridicita' del fatto, ma una semplice causa di...

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