Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Procedimento civile - Giudizio di opposizione all'esecuzione - Inappellabilita' della sentenza pronunciata in primo grado - Previsione introdotta nel novellato art. 616 cod. proc. civ. dall'art. 14 della legge n. 52 del 2006 - Questione sollevata in sede di appello avverso sentenza emes...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 616, ultimo periodo, del codice di procedura civile, come sostituito dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52 (Riforma delle esecuzioni mobiliari), promossi dalla Corte d'appello di Salerno, nei procedimenti civili vertenti tra R. S. e la Banca della Campania e tra G. S. e E. I., con ordinanze del 18 ottobre 2006 e del 25 gennaio 2007 rispettivamente iscritte ai nn. 512 e 610 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 e n. 36, 1ª serie speciale, dell'anno 2007;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella Camera di consiglio del 30 gennaio 2008 il giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto in fatto

  1. - La Corte d'appello di Salerno, nel corso di un giudizio di appello (introdotto con atto notificato il 30 maggio 2006) avverso una sentenza resa su un'opposizione all'esecuzione (pubblicata il 30 maggio 2005), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24 e 111, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 616, ultimo periodo, del codice di procedura civile (r. o. n. 512 del 2007), come sostituito dall'art. 14 della legge 24 febbraio 2006, n. 52 (Riforma delle esecuzioni mobiliari).

    La norma e' censurata nella parte in cui, a seguito della citata novella (entrata in vigore il 1° marzo 2006), ha soppresso l'appellabilta' della sentenza che definisce l'opposizione all'esecuzione.

    Quanto alla rilevanza, il remittente afferma l'applicabilita' di tale norma nel giudizio a quo (con conseguente inammissibilita' dell'appello) sulla base di una ricognizione dei principi generali del processo, in difetto di una normativa transitoria (quale invece e' stata dettata per i precedenti interventi legislativi di cui alle leggi 14 maggio 2005, n. 80, e 28 dicembre 2005, n. 263). In particolare, la Corte d'appello fa applicazione della regola tempus regit actum, rilevandone il carattere talmente generale da essere derogabile soltanto per le questioni di giurisdizione e di competenza ai sensi dell'art. 5 del codice di rito civile, con la conseguenza della assoluta eccezionalita' della cosiddetta perpetuatio iurisdictionis e dell'impossibilita' di una applicazione analogica della normativa che la prevede. Secondo il giudice a quo, va escluso che una sentenza emessa prima dell'entrata in vigore della norma (nel caso di specie, il nuovo testo dell'art. 616 cod. proc. civ.) che ne sopprime la appellabilita' abbia come effetto il mantenimento del regime delle sue impugnazioni.

    Un giudizio di appello ha, secondo il remittente, quale suo presupposto processuale specifico, la vigenza di una norma che l'appello stesso consenta: ne consegue che e' al momento in cui l'appello e' proposto che va verificato se esso sia previsto e, quindi, ammissibile.

    Nella specie, l'appello, proposto con atto di citazione notificato il 30 maggio 2006, andrebbe dichiarato inammissibile per l'immediata applicabilita' della norma denunciata, ma proprio una tale interpretazione di quest'ultima rende, a parere della Corte remittente, immediatamente rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata.

    Nel merito, poi, il giudice a quo osserva che, con la soppressione di un grado di giudizio di merito e l'equiparazione delle opposizioni all'esecuzione a quelle agli atti esecutivi, nonostante l'ontologica diversita' dei presupposti e degli oggetti delle prime rispetto alle seconde, risulta sensibilmente limitata la tutela del debitore.

    Pur premettendo che la questione non e' posta in riferimento alla pretesa di un doppio grado di giurisdizione di merito (principio non assistito da copertura costituzionale), "ma in relazione al rapporto tra la soppressione di un grado di merito con il complessivo contesto normativo del processo esecutivo riformato", il remittente osserva che, con l'inclusione tra i titoli esecutivi stragiudiziali delle scritture private autenticate (suscettibili di essere poste in esecuzione con la loro mera trascrizione nel testo del precetto) e con la conseguente agevolazione dell'avvio della procedura esecutiva a favore del titolare del credito anche prima ed a prescindere da un controllo giurisdizionale sul contenuto del titolo, vengono a ridursi le possibilita', per il debitore, di contestare il merito del rapporto (che potrebbe non essere mai stato in precedenza sottoposto al vaglio del giudice, come invece accade normalmente nell'ipotesi di un titolo esecutivo giudiziale), in quanto limitate ad un solo grado, potendo semmai egli dolersi per esclusivi motivi di legittimita' dell'unica pronuncia di merito che potra' conseguire sul punto.

    Peraltro, rileva il remittente, il principio della non costituzionalizzazione del doppio grado risulta "talvolta temperato", per escludere i...

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