Ordinanza dell'11 ottobre 2007 emessa dal G.u.p. del Tribunale di Termini Imerese nel procedimento penale a carico di De Fecondo Antonio Reati militari - Disposizioni penali per i militari appartenenti alla Guardia di finanza - Appropriazione di valori o generi di cui il militare abbia l'amministrazione o la custodia - Trattamento sanzionatorio...

IL TRIBUNALE Nel procedimento indicato in epigrafe nei confronti di De Fecondo Antonino (nato il 22 novembre 1969 a Noto, residente a Catania, viale Benedetto Croce n. 14, ed elettivamente domiciliato ex art. 161 c.p.p. a Termini Imerese, corso Umberto e Margherita n. 61, presso lo studio del proprio difensore di fiducia, avvocato Pietro Sorce), imputato "del delitto p.p. dagli artt. 81 cpv. e 314 c.p. perche', in qualita' di comandante della Compagnia della Guardia di Finanza di Termini Imerese, con piu' atti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, avendo per ragioni del suo ufficio la disponibilita' di un'autovettura di servizio e del relativo autista, li utilizzava per fini privati ed in particolare per recarsi da Termini Imerese all'aeroporto di Punta Raisi e viceversa. In termini Imerese dal 20 febbraio 2003 all'agosto 2004"; All'udienza preliminare dell'11 ottobre 2007, emette la seguente ordinanza. In data 15 dicembre 2006 il pubblico ministero depositava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di De Fecondo Antonino per i reati indicati in epigrafe, a seguito della quale veniva fissata l'udienza preliminare del 26 aprile 2007, nella quale, dichiarata la contumacia dell'imputato, su richiesta delle parti, il processo veniva differito al 7 giugno 2007. A tale udienza, presente De Fecondo Antonino, il tribunale revocava la dichiarazione di contumacia dell'imputato e, preliminarmente, invitava le parti ad interloquire sulla questione di giurisdizione, peraltro gia' sollevata dalla difesa con memoria depositata il 20 aprile 2007, in relazione alla previsione di cui all'art. 215 del codice penale militare di pace (c.p.m.p.), anche alla luce delle disposizioni di cui all'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383. Indi, il pubblico ministero, insistendo nella qualificazione giuridica del fatto operata nell'imputazione, chiedeva di procedere oltre e di essere autorizzato a discutere nel merito; il difensore dell'imputato, insistendo nell'eccezione di giurisdizione gia' formulata nella memoria depositata il 20 aprile 2007 e depositando ulteriore memoria a conforto del proprio assunto, deduceva che il fatto contestato e' riconducibile alla previsione di cui all'art. 3 della legge n. 1383 del 1941 ovvero a quella dell'art. 215 c.p.m.p. e, fatto presente che la cognizione relativa ai reati previsti dalle disposizioni appena citate e' devoluta alla giurisdizione militare, chiedeva al tribunale di pronunciare il proprio difetto di giurisdizione. Al contempo, la difesa eccepiva la nullita' della richiesta di rinvio a giudizio per violazione dell'art. 417, lett. b) c.p.p. nonche' l'incompetenza territoriale di questo tribunale. All'odierna udienza, apparendo logicamente pregiudiziale la questione relativa alla contestata validita' della richiesta di rinvio a giudizio e ritenendo di dover decidere previamente tale questione, il tribunale rigettava l'eccezione di nullita' con separata ordinanza letta in udienza ed allegata al relativo verbale. Cio' posto, va ora osservato che, come risulta dall'imputazione riportata in epigrafe, il pubblico ministero contesta all'imputato alcune condotte, poste in essere tra il febbraio del 2003 e l'agosto del 2004, consistenti nell'avere utilizzato per scopi privati l'autovettura di servizio di cui aveva la disponibilita' per ragioni del suo ufficio servendosi altresi' del relativo autista. Dal punto di vista della qualificazione giuridica delle condotte in questione, il pubblico ministero opera un indistinto riferimento alla violazione dell'art. 314 del codice penale. A ben vedere, pero', utilizzo dell'autovettura ed utilizzo dell'autista, a prescindere da ogni valutazione di merito circa la fondatezza dell'accusa, sono condotte fra loro non assimilabili. Ed invero, l'illegittimo uso personale delle autovetture di servizio da parte di pubblici ufficiali e' pressoche' unanimemente ricondotto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione alla fattispecie di peculato c.d. d'uso di cui all'art. 314, comma 2 c.p. (v., tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 5 giungo 2003, Buzzanca; nello stesso senso, piu' recentemente, ancorche' escludano nelle ipotesi sottoposte al loro vaglio la concreta sussistenza del reato, Cass. pen., sez. VI, 1 febbraio 2005, n. 9216, e Cass. pen., sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 10233). Invece, in ordine alla condotta del pubblico ufficiale che usi a fini privati le prestazioni lavorative di un pubblico dipendente, distogliendolo dalle mansioni istituzionali, si registra un netto contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo indirizzo, tale condotta andrebbe inquadrata non gia' nella fattispecie di peculato d'uso bensi' nella piu' grave forma di peculato prevista dal comma 1 dell'art. 314 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 7 novembre 2000, Cassetti). La tesi e' fondata, da un lato, sull'idea che l'attivita' lavorativa rientra nella nozione di "cosa mobile" e, dall'altro, sulla considerazione che le energie lavorative illegittimamente destinate a finalita' non istituzionali non sono suscettibili di restituzione (ragion per cui si esclude che possa ricorrere la fattispecie di peculato d'uso). Un diverso orientamento giurisprudenziale, invece, muovendo dall'idea che "non e' concepibile l'appropriarsi di una persona o della sua energia lavorativa", esclude che l'utilizzo del pubblico dipendente per fini privati sia riconducibile all'una o all'altra delle fattispecie di peculato previste dall'art. 314 c.p. ed afferma, invece, che esso puo' essere ricondotto, allorche' ricorrano gli ulteriori presupposti previsti dalla legge, alla fattispecie di abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, 13 maggio 1998, Agnello; Sez. VI, 27 gennaio 1994, p.m. in proc. Liberatore). Circa l'evidenziato contrasto, giova rilevare che, a conforto dell'orientamento indicato da ultimo, oltre all'impossibilita' di concepire l'appropriazione di una persona o della sua energia lavorativa, milita il rilievo che, per l'art. 314 c.p., oggetto dell'appropriazione deve essere il "danaro o altra cosa mobile". I concetti di "persona" e di "energie personali", infatti, sono senz'altro estranei all'area semantica circoscritta dall'espressione "danaro o altra cosa mobile". La riconduzione all'art. 314 c.p. dell'impiego di pubblici dipendenti per fini privati da parte di un pubblico ufficiale, pertanto, si risolverebbe in una non consentita applicazione analogica in malam partem della legge penale. Tra i due orientamenti sopra richiamati, dunque, appare preferibile quello che riconduce l'uso a fini privati del personale dipendente da parte del pubblico ufficiale alla fattispecie di abuso d'ufficio prevista dall'art. 323 c.p., sempre che, beninteso, ricorrano tutte le condizioni previste da tale articolo. Sul punto, pertanto, deve conclusivamente affermarsi che l'utilizzo per scopi privati di autovetture di servizio e l'impiego del relativo autista sono condotte astrattamente riconducibili a diverse fattispecie incriminatrici, e precisamente: il primo al reato di peculato d'uso di cui all'art. 314, comma 2 c.p.; il secondo all'abuso d'ufficio di cui all'art. 323 dello stesso codice. Conseguentemente, la condotta del pubblico ufficiale che si serve per scopi privati dell'autovettura di servizio con alla guida il relativo autista risulta astrattamente integrare sia il reato di peculato d'uso di cui all'art. 314, comma 2 c.p. sia quello di abuso d'ufficio previsto dall'art. 323 c.p., in concorso formale tra loro. Alla stregua di quanto precede, le condotte oggetto dell'imputazione - se non fosse per la particolare qualifica soggettiva dell'agente e per la natura di quanto oggetto materiale dell'azione, sulle quali ci si soffermera' tra breve - andrebbero astrattamente ricondotte all'art. 314, comma 2 c.p. (peculato d'uso) per quanto riguarda l'utilizzo dell'autovettura ed all'art. 323 c.p. (abuso d'ufficio) per quanto riguarda l'utilizzo dell'autista. L'inciso di cui al capoverso che precede si spiega in ragione delle speciali previsioni dettate dall'art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, e dall'art. 215 del codice penale militare di pace. Il comma 1 dell'art. 3 della legge n. 1383 del 1941, infatti, stabilisce: "Il militare della...

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