Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Costituzione ed intervento nel giudizio incidentale - Intervento di soggetti che non rivestono la qualita' parte nei giudizi a quibus - Insussistenza di un interesse qualificato - Inammissibilita' degli interventi. Costituzione ed intervento nel giudizio incidentale - Costituzione delle...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Franco BILE;

Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanza del 20 maggio 2006 dalla Corte di cassazione nei procedimenti civili riuniti vertenti tra il comune di Avellino ed altri ed E. P. in proprio e n. q. di procuratore di G. P. e di D. P. ed altri e con ordinanza del 29 giugno 2006 dalla Corte di appello di Palermo nel procedimento civile vertente tra A. G. ed altre e il comune di Leonforte ed altro, iscritte ai nn. 401 e 557 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 49, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.

Visti gli atti di costituzione di G. C. n. q. di erede di E. P. e di G. P. ed altri n. q. di eredi di D. P., di A. G. ed altre, fuori termine, nonche' gli atti di intervento di A. C. fu G. s.r.l., della Consulta per la giustizia europea dei diritti dell'uomo CO.G.E.D.U. e del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2007 e nella camera di consiglio del 4 luglio 2007 il giudice relatore Giuseppe Tesauro;

Uditi gli avvocati Maurizio de Stefano e Anton Giulio Lana per la Consulta per la giustizia europea dei diritti dell'uomo CO.G.E.D.U., Antonio Barra per G. C. n. q. di erede di E. P. e per G. P. ed altri n. q. di eredi di D. P. e l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - La Corte di cassazione e la Corte di appello di Palermo, con ordinanze del 20 maggio e del 29 giugno 2006, hanno sollevato, in riferimento all'art. 111, primo e secondo comma, della Costituzione, ed in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nonche' all'art. 117, primo comma, della Costituzione, ed in relazione all'art. 6 della CEDU ed all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (infra, Protocollo), questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) - convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 - comma aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

  2. - La Corte di cassazione premette che il giudizio principale ha ad oggetto una domanda proposta da alcuni privati nei confronti del comune di Avellino e dell'Istituto autonomo case popolari (IACP) della stessa citta', al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno subito a causa della occupazione acquisitiva di alcuni terreni di loro proprieta', sui quali sono stati realizzati alloggi popolari ed opere di edilizia sociale, nonche' al pagamento dell'indennita' per l'occupazione temporanea degli stessi immobili.

    La stessa Corte, con sentenza del 14 gennaio 1998, n. 457, accogliendo il ricorso proposto dagli enti pubblici, aveva cassato con rinvio la pronuncia d'appello, ritenendo applicabile la norma censurata, la quale ha introdotto un criterio riduttivo per il computo del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva.

    Riassunto il giudizio, il giudice del rinvio ha, quindi, liquidato l'indennita' in base alla disposizione censurata; la pronuncia e' stata impugnata dalle parti private, che, tra l'altro, hanno eccepito l'illegittimita' costituzionale del citato art. 5-bis, comma 7-bis.

    2.1. - La rimettente, dopo avere esposto le argomentazioni che inducono ad escludere l'abrogazione della norma denunciata ad opera dell'art. 111 Cost. - come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 (Inserimento dei principi del giusto processo nell'articolo 111 della Costituzione) - ovvero dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), sintetizza le pronunce di questa Corte che hanno gia' scrutinato la norma censurata, in riferimento agli artt. 3, 28, 42, 53, 97 e 113 Cost.

    L'ordinanza esamina, quindi, l'orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo in ordine all'interpretazione dell'art. 1 del Protocollo, evolutosi nel senso di garantire una piu' intensa tutela del diritto di proprieta'. In particolare, ricorda che la previsione di un'indennita' "equitable" e' stata limitata al caso della espropriazione legittima e che il carattere illecito dell'occupazione e' stato ritenuto rilevante al fine della quantificazione dell'indennita', sicche', qualora non sia possibile la restituzione in natura del bene, all'espropriato e' dovuta una somma corrispondente al valore venale.

    Secondo il rimettente, la Corte europea, in alcune sentenze, puntualmente indicate, ha ritenuto che l'occupazione acquisitiva si pone in contrasto con le citate norme convenzionali, tra l'altro, nella parte in cui non garantisce il diritto degli espropriati al risarcimento del danno in misura corrispondente al valore venale del bene, affermando analogo criterio di computo per il calcolo dell'indennita' nel caso di espropriazione legittima. Infatti, detta indennita' puo' non essere commisurata al "valore pieno ed intero dei beni" nei soli casi di espropriazioni dirette a conseguire legittimi obiettivi di pubblica utilita' e, tuttavia, questi ultimi sono stati individuati in quelli coincidenti con misure di riforme economiche o di giustizia sociale, ovvero strumentali a provocare cambiamenti del sistema costituzionale.

    In seguito, la medesima Corte, con le sentenze indicate nell'ordinanza di rimessione, ha applicato questi principi anche in riferimento al criterio stabilito dal censurato art. 5-bis e, ritenuta irrilevante la circostanza che questa norma era parte di una complessa manovra finanziaria, ha condannato lo Stato italiano al risarcimento commisurato alla differenza tra l'indennita' percepita ed il valore venale del bene, reputando che l'espropriato, a causa del tempo trascorso, aveva visto leso il proprio affidamento ad un indennizzo calcolato in base a quest'ultimo parametro. In virtu' delle sentenze di questa Corte n. 5 del 1980 e n. 223 del 1983, il criterio di liquidazione per l'espropriazione delle aree edificabili avrebbe infatti dovuto essere quello del giusto prezzo in una libera contrattazione di compravendita (art. 39 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, recante "Espropriazioni per causa di utilita' pubblica"); quindi, l'applicabilita' del sopravvenuto art. 5-bis avrebbe leso il diritto della persona al rispetto dei propri beni, anche perche' la disciplina fiscale incide ulteriormente sulla somma concretamente percepita.

    Pertanto, secondo la Corte di Strasburgo, l'espropriazione indiretta o occupazione acquisitiva - riconosciuta dalla legislazione (art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita") e dalla giurisprudenza italiane - sarebbe incompatibile con l'art. l del Protocollo e la norma censurata violerebbe la regola della riparazione integrale del pregiudizio, realizzando una lesione aggravata dalla retroattivita' della disposizione e dalla sua applicabilita' ai giudizi in corso.

    In definitiva, la norma censurata e' stata giudicata in contrasto con l'art. 1 del Protocollo sotto i seguenti profili: in primo luogo, poiche' al solo scopo di sopperire ad esigenze di bilancio, al di fuori di un contesto di riforme economiche o sociali, viola la regola della corresponsione di un valore pari al valore venale del bene; in secondo luogo, in quanto stabilisce un criterio riduttivo, fondato su di un parametro irragionevole anche nel caso di espropriazione legittima; in terzo luogo, poiche' dispone l'applicabilita' del criterio ai giudizi in corso, in violazione dell'art. 6 della CEDU; in quarto luogo, poiche' viola il principio di legalita' ed il diritto ad un processo equo, dato che la disposizione ha inciso sull'esito di giudizi in corso, nei quali erano parti amministrazioni pubbliche, obbligando il giudice ad adottare una decisione fondata su presupposti diversi rispetto a quelli sui quali la parte aveva legittimamente fatto affidamento all'atto dell'instaurazione della lite.

    2.2. - Secondo la rimettente, benche' la disposizione censurata si ponga in contrasto con le citate norme convenzionali, come interpretate dalla Corte europea, non sarebbe tuttavia ammissibile la sua "non applicazione", mentre la Corte di cassazione talora ha affermato che il giudice nazionale e' tenuto ad interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto possibile, in modo conforme alla CEDU ed all'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, talaltra ha attenuato l'efficacia vincolante delle sentenze della Corte europea.

    A suo avviso, nella specie non sarebbe configurabile il potere del giudice comune di "non applicare" la norma interna, in quanto sussistente soltanto nel caso di contrasto con norme comunitarie e...

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