Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Processo penale - Principio di parita' tra le parti - Identita' tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell'imputato - Esclusione, nei limiti della ragionevolezza. Processo penale - Sentenza di proscioglimento emessa a seguito di giudizio abbreviato - Appello del pubbl...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Franco BILE;

Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 443 del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2 della legge 20 febbraio 2006 n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 21 marzo 2006 dalla Corte militare d'appello, sezione distaccata di Verona, del 6 aprile e del 28 aprile 2006 dalla Corte di appello di Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 275 e 589 del registro ordinanze 2006 ed al n. 115 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e nn. 1 e 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.

Udito nella Camera di consiglio del 4 luglio 2007 il giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte militare di appello, sezione distaccata di Verona, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 111, secondo e settimo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui, modificando l'art. 443 del codice di procedura penale, priva il pubblico ministero del potere di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento emesse a seguito di giudizio abbreviato; nonche' dell'art. 10 della medesima legge, nella parte in cui rende applicabile tale nuova disciplina ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, stabilendo, altresi', che l'appello anteriormente proposto dal pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento viene dichiarato inammissibile con ordinanza non impugnabile, salva la facolta' dell'appellante di proporre ricorso per cassazione entro quarantacinque giorni dalla notifica del provvedimento di inammissibilita'.

    Il giudice a quo, investito dell'appello proposto dal pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria emessa a seguito di giudizio abbreviato, ritiene che le norme impugnate - le quali imporrebbero, nel caso di specie, la declaratoria di inammissibilita' del gravame - ledano, anzitutto, il principio di parita' delle parti nel processo, sancito dall'art. 111, secondo comma, Cost.

    A seguito della novella, infatti, il pubblico ministero - ormai privo di ogni possibilita' di contrastare l'accesso dell'imputato al giudizio abbreviato - verrebbe a perdere in modo pressoche' completo la facolta' di appellare la sentenza emessa dal giudice di primo grado: potendo tale facolta' esercitarsi, da parte dell'organo dell'accusa, solo nella "marginale" ipotesi della sentenza di condanna che modifica il titolo del reato (art. 443, comma 3, cod. proc. pen.). Il dubbio di costituzionalita' assumerebbe consistenza, d'altra parte, proprio alla luce di quanto affermato da questa Corte con riguardo alla precedente limitazione del potere di appello del pubblico ministero nel giudizio abbreviato, relativa alle sentenze di condanna che lascino inalterato il titolo del reato: limitazione ritenuta legittima sia perche' costituente - assieme alla riduzione della pena - il "corrispettivo" per la rinuncia al dibattimento da parte dell'imputato, con opzione che favorisce una piu' rapida definizione dei processi; sia perche' concernente situazioni nelle quali la pretesa punitiva ha trovato comunque realizzazione (sentenza n. 363 del 1991 e ordinanza n. 421 del 2001). Quest'ultima decisiva condizione viene, per contro, a mancare nel nuovo assetto normativo, che - col rendere inappellabili le sentenze di proscioglimento - "mutila le prerogative della parte pubblica in modo generalizzato e proprio nell'aspetto piu' saliente del suo interesse ad impugnare".

    Ne deriverebbe, quindi, una asimmetria che oltrepassa la soglia della compatibilita' con il parametro costituzionale evocato: giacche', e' ben vero che il principio di parita' delle parti non implica necessariamente l'identita' tra i poteri processuali del pubblico ministero e dell'imputato; ma e' altrettanto vero che - sempre alla stregua della citata sentenza n. 363 del 1991 - la diversita' di trattamento potrebbe essere giustificata unicamente dalla peculiare posizione istituzionale del pubblico ministero, o dalla funzione allo stesso affidata, ovvero da esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia. Ipotesi, queste, non ravvisabili nella specie.

    Ad avviso del rimettente, le norme impugnate si porrebbero altresi' in contrasto con l'art. 112 Cost.: e cio' avuto riguardo segnatamente al dictum della sentenza n. 98 del 1994 di questa Corte, secondo cui la configurazione dei poteri del pubblico ministero - ancorche' affidata alla legge ordinaria - potrebbe essere censurata per irragionevolezza se i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero risultare inidonei all'assolvimento dei compiti funzionali all'esercizio dell'azione penale. Tale "situazione-limite" si sarebbe puntualmente realizzata per effetto dell'art. 2 della legge n. 46 del 2006: giacche' - introducendo un limite "generale ed indifferenziato" al potere del pubblico ministero di chiedere il riesame nel merito, da parte di un giudice superiore, delle sentenze che abbiano respinto la pretesa punitiva - la disposizione censurata avrebbe pregiudicato il "nucleo essenziale" delle attribuzioni prefigurate dal parametro costituzionale in parola.

    Il giudice a quo reputa inoltre compromesso l'art. 3 Cost., rilevando come sia del tutto irrazionale che, nel giudizio abbreviato, la parte pubblica risulti abilitata ad appellare in situazioni nelle quali la pretesa punitiva e' stata accolta solo in parte (sentenze di condanna modificative del titolo del reato); e non fruisca, invece, di analogo potere nella "piu' significativa" ipotesi in cui la pretesa punitiva e' stata totalmente disattesa (sentenze di proscioglimento).

    Al riguardo, non gioverebbe obiettare - sempre ad avviso del rimettente - che il pubblico ministero puo' comunque impugnare le sentenze di proscioglimento con ricorso per cassazione, e nei piu' ampi termini conseguenti alla riformulazione delle lettere d) ed e) dell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen. ad opera dell'art. 8 della stessa legge n. 46 del 2006. Anche dopo l'ampliamento dei motivi deducibili, il ricorso per cassazione resta, infatti, un mezzo di impugnazione "a critica vincolata": mentre l'appello e' un mezzo di gravame "a critica libera", che consente di censurare la sentenza per la sua "eventuale intrinseca ingiustizia". Non solo: per tal verso, il nuovo assetto delle impugnazioni genererebbe ulteriori sospetti di incostituzionalita', giacche' - trasformando il giudice di legittimita' "in un sostanziale giudice di merito con competenza estesa all'intero territorio nazionale" - comporterebbe un ineluttabile aumento dei processi pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, con altrettanto ineluttabile allungamento dei relativi tempi di definizione. Nel caso, infatti, di annullamento della sentenza di proscioglimento di primo grado da parte del giudice di legittimita', potrebbero occorrere non meno di cinque gradi di giudizio per pervenire ad una pronuncia definitiva (primo grado; giudizio di cassazione promosso dal pubblico ministero; nuovo primo grado; appello e ricorso per cassazione dell'imputato contro l'eventuale sentenza di condanna): con conseguente lesione anche del principio di ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111, secondo comma, ultima parte, Cost.

    In pari tempo, la possibilita' che la Corte di cassazione - divenuta "giudice unico delle sentenze di proscioglimento" emesse a seguito di giudizio abbreviato - sia chiamata a "rivalutare" le risultanze probatorie, o ad integrare la motivazione della sentenza "anche con riguardo a specifici atti", porrebbe le norme denunciate in "stridente contrasto" con il ruolo che, alla luce dell'art. 111, settimo comma, Cost., caratterizza detto giudice: il ruolo, cioe', di "ultima e suprema istanza giurisdizionale" contro le violazioni di legge ascrivibili alle sentenze e ai provvedimenti in materia di liberta' personale emessi dai giudici di merito. Tale ruolo costituzionale non esclude, in effetti, che alla Corte di cassazione possano essere attribuite anche funzioni diverse, le quali comportino la necessita' di esaminare parte degli atti del procedimento; ma una simile "deviazione" dovrebbe comunque risultare ragionevolmente contenuta e tale da non alterare in modo significativo le caratteristiche dell'istituto del ricorso di legittimita': condizioni, queste, non riscontrabili nel caso in esame.

  2. - Analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 443 cod. proc. pen., come modificato dall'art. 2 della legge n...

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