Ordinanza emessa il 12 settembre 2006 dal tribunale di Genova nei procedimenti civili riuniti promossi da Canepa Giuseppe ed altri contro Ilva S.p.A. Lavoro e previdenza (controversie in materia di) - Questione pregiudiziale concernente l'efficacia, validita' ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi - Previsione tra i motivi del ric...

IL TRIBUNALE

Letti gli atti rileva quanto segue.

Con distinti ricorsi, poi riuniti attesa la identita' delle questioni dedotte, gli attori premesso:

1) che lavorano presso lo stabilimento Italsider Genova-Cornigliano, in cui si sono succedute, quali datori di lavoro, diverse societa' ultima delle quali, a decorrere dal 17 gennaio 1998, la Ilva S.p.A;

2) che dal giorno 11 marzo 1996 la rilevazione degli orari di lavoro avviene attraverso un sistema di terminali marcatempo installati nei vari reparti, e non piu', come invece avveniva in precedenza, presso i tre varchi di accesso allo stabilimento, nel quali il personale inseriva il proprio cartellino segna orario effettuandone la timbratura;

3) che dal momento in cui entrano nello stabilimento al momento in cui timbrano il cartellino segna orario in entrata impiegano nelle diverse operazioni (inclusa la vestizione della tuta) mediamente 20 minuti; ed inversamente compiono analoghe operazioni, per la medesima durata, dal momento in cui timbrano il cartellino in uscita a quello in cui escono effettivamente dallo stabilimento.

Tutto cio' premesso convengono in giudizio Ilva S.p.A. per sentirla condannare al pagamento in loro favore delle retribuzioni spettanti a titolo di lavoro straordinario per i tempi di cui sopra, cosiddetti "tempi di percorrenza" e "tempi tuta".

Si costituisce in giudizio l'Ilva S.p.A. contestando la fondatezza delle domande di cui chiede la reiezione.

Tuttavia l'Ilva S.p.A. non contesta le circostanze di fatto esposte dalle controparti, vale a dire non contesta gli accennati "tempi tuta" e "tempi di percorrenza", salva la loro quantificazione che resta da accertare.

La materia del contendere e' quindi sintetizzabile come segue: sono computabili nell'orario di lavoro i suddetti "tempi di percorrenza" e "tempi tuta"?

Ritiene il giudicante che la risposta positiva discenda dal nostro ordinamento.

Invero la disciplina dell'orario di lavoro, contenuta in origine nel r.d.l. n. 692/1923 e successivo regolamento, ha subito un duplice intervento correttivo, anche per adeguarsi sotto diversi profili ai parametri comunitari: il primo con la legge n. 196/1997, che tra le altre cose ha ridotto a 40 le ore di lavoro ordinario su base settimanale, e che si esprime in termini di orario normale di lavoro senza produrre effetti indiretti di revisione della nozione di lavoro effettivo di cui al regio decreto; il secondo con il d.lgs. n. 66/2003 che ha recepito in toto la definizione di orario di lavoro offerta dalla direttiva CEE 104/1993, che coincide con qualsiasi periodo in cui il lavoratore e' al lavoro, a disposizione del datore e nell'esercizio delle sue attivita' o funzioni.

Appare opportuno rilevare che i fatti di causa sono interamente riferibili al periodo di vigenza della legge del '97 che non ha, si e' visto, spostato il problema sulla definizione di orario di lavoro rispetto alla disciplina previgente.

Il regio decreto n. 692/1923 all'art. 3 nel computare la durata massima della giornata e della settimana lavorativa parla espressamente di "lavoro effettivo", ma usa tale espressione, come emerge dal chiaro tenore letterale della norma, in contrapposizione sia alla nozione di lavoro discontinuo, cioe' intramezzato da periodi di pausa, sia alla nozione di semplice attesa e custodia; pertanto e' compatibile con tale espressione far rientrare nella nozione della prestazione lavorativa, rilevante ai fini dell'orario di lavoro, attivita' strettamente propedeutiche alla lavorazione tipica. E tale esito interpretativo appare fondato perche' pone la norma interna in coerenza con il diritto comunitario e precisamente con i principi che ispirano la giurisprudenza della Corte di giustizia. La Corte ha infatti di recente (sentenza 9 settembre 2003, causa n. 151/2002) confermato l'orientamento gia' espresso in precedenti decisioni su casi analoghi (vedi Corte di giustizia 3 ottobre 2000, causa C-303/1998; 3 luglio 2001, causa C-241/1999). Secondo tale orientamento il periodo dedicato al servizio di guardia, svolto dai medici assicurando la presenza fisica nel centro sanitario, deve essere interamente considerato come orario di lavoro indipendentemente dalla effettivita' delle prestazioni lavorative.

Ne' vale obiettare, come fa la difesa della convenuta, che il servizio di disponibilita' che i medici di guardia garantiscono con la loro presenza in sede sia situazione diversa dalla mera percorrenza dall'ingresso di fabbrica al posto di lavoro e viceversa.

La obiezione non coglie nel segno perche', ad avviso del giudicante, e' estrapolabile dalla giurisprudenza comunitaria appena citata il seguente principio: il tempo di presenza sul luogo di lavoro, ed a disposizione del datore per prestare la propria attivita' subordinata, rientra nell'orario di lavoro; e cio' perche' tale presenza, ponendosi come funzionale rispetto alla prestazione tipica, resta comunque assoggettata al potere direttivo e gerarchico del datore.

Nel caso in esame le attivita' svolte nell'ambito dello stabilimento, strettamente propedeutiche alla prestazione tipica (e' bene sottolineare che gli attori chiedono il riconoscimento dei tempi minimi di percorrenza e vestizione ed il discorso vale specularmente per le attivita' dalla timbratura del cartellino in uscita alla uscita effettiva dallo stabilimento) sono assoggettabili al potere direttivo del datore di lavoro.

Non vale opporre che tali attivita' non siano in concreto soggette a specifiche direttive, poiche' in qualunque momento sulle stesse puo' esercitarsi il potere organizzativo e direttivo imprenditoriale (ad esempio disporre orari di ingresso, percorsi da osservare, mezzi da utilizzare).

Fra l'altro una espressione del potere organizzativo del datore di lavoro, pacifica in causa, si ravvisa nel fatto che i lavoratori possono servirsi di pullman aziendali per effettuare il tragitto necessario per recarsi sulla postazione di lavoro: ecco una specifica espressione del potere organizzativo del datore di lavoro.

In questo ordine di idee la previsione dell'art 5 del regio decreto n. 1955/1923 secondo cui resta espressamente escluso, fra l'altro, il tempo impiegato per recarsi al posto di lavoro e' da intendersi come riferito al percorso dalla abitazione del lavoratore all'ingresso dell'azienda, percorso sottratto ad ingerenze del datore di lavoro (con la opportuna precisazione che non e' cosi' per le ipotesi in cui il viaggio sia intrinsecamente connaturato alla prestazione di lavoro).

Tale conclusione trova conferma anche nella parte in cui il cennato articolo aggiunge che nelle miniere o cave la durata del lavoro si computa dall'entrata all'uscita del pozzo: quella fase - tragitto dalla entrata nel pozzo al punto in cui iniziano le specifiche attivita' lavorative, e viceversa - rientra a pieno titolo nell'attivita' lavorativa perche' gia' inerente alla sfera organizzativo-imprenditoriale del datore di lavoro e, intesa in questo senso, la norma si pone quale specifica applicazione del principio rinvenibile nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

Osserva la difesa della convenuta che, alla luce dei principi generali dell'ordinamento, il debitore di una prestazione e' tenuto, in virtu' della buona fede esecutiva, a realizzare l'interesse del creditore non solo mediante la prestazione principale, ma altresi' svolgendo tutte le correlative attivita' di carattere accessorio (quali sarebbero nel caso in esame la percorrenza dai varchi di accesso allo stabilimento alle rispettive postazioni di lavoro, nonche' la vestizione della tuta, e le attivita' inverse al termine della giornata di lavoro). Tali attivita' integrando il contenuto stesso dell'obbligazione non comporterebbero retribuzioni aggiuntive. La osservazione e' corretta ma non pertinente al caso in esame in cui i ricorrenti chiedono che le specificate attivita' accessorie siano retribuite non perche' esulano dalla obbligazione dedotta nel contratto di lavoro, ma perche' rese oltre l'orario ordinario di lavoro. Orario ordinario, e' bene ribadire, calcolato, come e' pacifico in causa, sulla timbratura, in entrata ed uscita, del cartellino marcatempo.

E' opportuno sottolineare, tra l'altro, che l'opinione sostenuta dalla resistente, volta ad escludere l'accezione lavorativa dei tempi di percorrenza o tempi tuta, rischierebbe di vanificare la tutela assicurata dalla normativa in materia di orario massimo di lavoro, laddove le prestazioni propedeutiche e funzionali all'attivita' lavorativa dovessero per consistenza ed onerosita' travalicare i limiti fissati dal Legislatore (si pensi all'ipotesi in cui la percorrenza dall'ingresso della fabbrica al posto di lavoro richieda un'ora per l'andata ed un'ora per il ritorno).

Infatti tali tempi di percorrenza sono direttamente imputabili alla struttura ed organizzazione aziendale i cui costi, secondo un principio pacifico, non possono essere messi a carico del lavoratore.

A questo punto va richiamata la contrattazione collettiva del settore. Il c.c.n.l. del 9 luglio 1994, prodotto in causa, all'art. 5, intestato "orario di lavoro" dispone al comma 9 :" agli effetti del presente articolo sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione...". Tale norma sembra escludere, come del resto sostiene la difesa dell'Ilva, che il tempo impiegato per percorrere il tragitto dai cancelli della fabbrica all'orologio di reparto sia da considerare tempo di lavoro; come confermato dal comma 6 del medesimo articolo che recita: "Le ore di lavoro sono contate con l'orologio di stabilimento o reparto.".

E siffatta disciplina, ribadisce la difesa dell'Ilva, sembra puntualmente confermata dal successivo c.c.n.l., anch'esso prodotto, il quale all'art. 3 dispone: "L'entrata dei lavoratori nello stabilimento sara' regolata come segue:

1) il primo segnale verra' dato 20 minuti prima dell'orario fissato per l'inizio del lavoro; a questo segnale sara' aperto l'accesso allo stabilimento;

2) il secondo segnale sara' dato cinque minuti prima...

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