Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'11 settembre 2006 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Appalti pubblici - Norme della Regione Campania - Contratti pubblici - Procedure di affidamento - Lavori ed opere di competenza del Consiglio regionale - Rinvio alla disciplina della legge statale n. 109/...

Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per mandato ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha il proprio domicilio in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ricorrente;

Contro la Regione Campania, in persona del Presidente della giunta regionale attualmente in carica, resistente, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 27, 35, 36, 37, 38, 39, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57 e 58 del titolo III della legge regionale 20 giugno 2006, n. 12, recante "Disposizioni in materia di amministrazione e contabilita' del Consiglio regionale della Campania" pubblicata sul B.U.R. n. 29 del 3 luglio 2006.

Nell'esercizio della propria competenza legislativa, la Regione Campania ha emanato la legge regionale n. 12/2006 che ha ad oggetto la disciplina generale dell'ordinamento contabile dell'amministrazione regionale, la gestione delle risorse finanziarie necessarie, e soprattutto la fissazione di norme in materia contrattuale (titolo III), sia sotto il profilo organizzativo che sotto il profilo della scelta del contraente e dell'esecuzione dei contratti.

I contratti assoggettati alla disciplina legislativa regionale sono essenzialmente gli appalti di forniture e servizi di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario (e quelli di importo superiore qualora diversi da quelli menzionati dalle direttive europee), nonche' gli appalti di 1avori pubblici di qualunque importo, e i contratti d'opera professionale.

Ora, e' noto che la questione del riparto di competenza legislativa fra Stato e regioni in materia di affidamento ed esecuzione di commesse pubbliche ha avuto di recente un notevole contributo interpretativo ad opera delle sentenze n. 303 e 304 del 2003 e n. 345 del 2004 della Corte costituzionale, nonche' una precisa regolamentazione ad opera del c.d. "codice degli appalti" di cui al decreto legislativo n. 163/2006.

In base ai principi desumibili dalle pronunce e dalle norme ora richiamate, e' possibile affermare che la materia degli appalti pubblici - ancorche' non espressamente menzionata dall'art. 117 della Costituzione - non appartiene per residualita' alla competenza legislativa delle regioni.

Come affermato dalla Corte costituzionale a proposito dei lavori pubblici, ma con espressioni e concetti idonei a ricomprendere tutti gli appalti pubblici (e quindi anche servizi e forniture), "si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell'oggetto al quale afferiscono, e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potesta' legislative dello Stato, ovvero a potesta' legislative concorrenti".

Se dunque si procede a scomporre la disciplina degli appalti pubblici in tutti i suoi momenti (dell'organizzazione, della programmazione, del finanziamento, della scelta del contraente, della sua qualificazione, dell'esecuzione del contratto, delle controversie) si ha che ciascuno di essi puo' essere ricondotto all'ambito di legislazione cui appartiene la relativa materia, e di conseguenza puo' essere individuato il soggetto titolare della connessa potesta' legislativa.

Per grandi linee, si puo' affermare dunque che tutto cio' che attiene alla fase dell'affidamento dell'appalto - contenuto dei bandi di gara, criteri di aggiudicazione, disciplina della gara, qualificazione dei concorrenti - rientra nel generale concetto di regolamentazione della concorrenza e di regolazione del mercato (ed in questa prospettiva e' la genesi di tutta la normativa comunitaria in materia, nonche' la ragione della predominanza di questa sulla normativa interna), regolamentazione che, in quanto tale, appartiene allo Stato in via esclusiva.

In tal senso e' espressamente l'orientamento della Corte costituzionale, che ha affermato che l'acquisto di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni secondo le procedure ad evidenza pubbliche costituisce la concreta attuazione della pienezza dei rapporti concorrenziali. "Le procedure ad evidenza pubblica, anche alla luce delle direttive della Comunita' europea (cfr. da ultimo, la direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e servizi), hanno assunto un rilievo fondamentale per la tutela della concorrenza tra i vari operatori economici interessati alle commesse pubbliche. Viene in rilievo, a questo proposito, la disposizione di cui all'art. 117, secondo comma, della Costituzione, secondo la quale spetta allo Stato legiferare in via esclusiva in tema di tutela della concorrenza" (Corte cost. 345/2004).

E la ragione e' piu' che evidente e risiede nella insopprimibile esigenza che il mercato e le sue regole non soffrano della frantumazione conseguente alla pluralita' di possibili discipline, articolate secondo le differenziazioni del territorio regionale e ciascuna rispondente a finalita' politiche diverse, ed abbiano viceversa una disciplina omogenea ed unitana su tutto il territorio nazionale.

La regione, dunque, non puo' emanare autonome norme di legge destinate a disciplinare le procedure di affidamento di contratti pubblici.

Analogamente va ritenuto con riguardo ad altri aspetti della materie dei contratti pubblici, quali la sottoscrizione del contratto e la sua esecuzione, il subappalto, la disciplina delle controversie.

E' infatti evidente che tutta la vicenda contrattuale appartiene alla disciplina civilistica delle obbligazioni, delle loro fonti, del loro adempimento, del loro inadempimento e delle relative conseguenze giuridiche (non a caso il contratto di appalto trova compiuta disciplina negli articoli del codice civile, e l'appalto pubblico e' tradizionalmente ritenuto un contratto di diritto privato, ancorche' speciale), e come tale rientra a pieno titolo nella potesta' legislativa esclusiva dello Stato, cui spetta, sempre a norma dell'art. 117 della Costituzione, legiferare in tema di ordinamento civile e penale.

Per quanto poi riguarda il subappalto, oltre alla gia' rilevata considerazione del suo appartenere all'ambito del diritto civile (art. 1656 c.c.), vi e' l'ulteriore e non meno rilevante aspetto dell'assoggettamento dell'istituto in questione a normativa speciale (la legge 19 marzo 1990, n. 55) di chiara ispirazione di ordine pubblico, e cio' costituisce ulteriore elemento per ricondurre la disciplina del subappalto nell'esclusiva signoria dello Stato, competente a legiferare sempre ai sensi dell'art. 117 della Costituzione in materia di ordine pubblico e sicurezza.

Le regioni pertanto non possono emanare norme proprie volte a regolare gli aspetti contrattuali degli appalti pubblici.

Possono invece emanare norme dirette a disciplinare argomenti ed istituti che sono oggetto di competenza legislativa concorrente (programmazione, esercizio ed effetti dei poteri approvativi specialmente per quanto attiene all'ambito urbanistico ed espropriativo, ecc.) ma cio' nel rispetto dei principi fondamentali desumibili dalle norme statali.

Questo e' l'assetto delle competenze legislative nella materia degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture quale risulta dalla piu' corretta interpretazione dei principi costituzionali, e quale attualmente accolta nella piu' recente normativa emanata dallo Stato sul punto: l'articolo 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

Sulla base di questi concetti e considerazioni preliminari e generali, la legge regionale n. 12/2006 che qui si impugna si presenta per molti versi esuberante rispetto alle linee di demarcazione della potesta' legislativa tra Stato e regioni tracciata dalla Costituzione, e sembra aver travalicato i limiti della competenza legislativa regionale in...

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